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Orti online, partecipazione digitale e consegna a domicilio 

Orti urbani, orti online con ‘partecipazione digitale’ alla vita nei campi e consegna dei prodotti a domicilio. Tre brillanti iniziative mostrano come i #sognidorto possono davvero realizzarsi. Grazie a un’alleanza tra  agricoltura contadina  e ConsumAttori attenti al valore autentico del cibo. Senza trascurare le premesse.

Il cibo del contadino è sempre più buono?

È  davvero migliore, il cibo del contadino? Dipende. Il ‘km0’ ha un vantaggio certo, la riduzione dei trasporti e del loro impatto ambientale. E la relazione umana ha un buon peso sulla bilancia. Ma non basta. Prova ne è il successo – relativamente modesto, rispetto agli enormi investimenti – di  Campagna amica. Cosa manca allora? Anzitutto, la dimostrazione dell’effettiva sostenibilità delle pratiche agronomiche, che non è affatto scontata.

Il cibo del contadino  ha un valore riconoscibile e apprezzato quando è  biologico. Poiché è questa l’unica garanzia identitaria di ciò che il ConsumAttore riconosce come ‘buono e sano’. Buono per l’ecosistema  e la biodiversità, di cui l’agricoltore ‘bio’ è e custode. E sano, grazie alla sostanziale assenza di residui di prodotti chimici i cui pericoli per la salute pubblica stanno emergendo con crescente evidenza.

L’agricoltura contadina, locale ed eco-logica, può dunque assumere un ruolo chiave nella definizione di un nuovo patto sociale con i consumatori che ricevono garanzia di prodotti ‘buoni e sani’. Una garanzia di base è insita nella certificazione biologica e nei relativi controlli. E non è un caso che la stessa Coldiretti, madre di Campagna amica, abbia di recente siglato un accordo  con  Federbio.

Il patto tra agricoltori e consumAttori  può venire rafforzato con ulteriori forme di condivisione. Dalla presenza fisica dei consumatori nelle aziende agricole – grazie a iniziative come quelle promosse da #Vazapp!  – alla loro ‘partecipazione digitale’. Che può venire realizzata con diversi strumenti innovativi, dalla blockchain all’installazione di videocamere che consentano a ciascuno di osservare i campi e i laboratori, assaporare la natura attraverso uno smartphone quando non si abbia occasione di fare visite ‘fuori porta’.

L’abbreviazione della filiera  – dai campi al domicilio dei consumatori, o ai Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), secondo tradizione – può apportare vantaggio agli agricoltori, non più costretti a ‘svendere’ le loro derrate e a trasformare (o destinare agli animali) l’ortofrutta meno ‘bella’. Ma anche di ciò non bisogna abusare, poiché i consumatori stessi devono trarne un vantaggio. Non solo idealistico, ma anche economico. E la GDO a sua volta sta organizzando filiere ‘bio’ che sono inevitabilmente meno ‘eque’ ma tendono ad avvicinarsi alla portata di tutte le tasche. La formazione del prezzo deve quindi considerare anche tale aspetto, per contemperare il valore autentico dei prodotti dell’eco-agricoltura locale con le esigenze di spesa di un pubblico non elitario a cui bisogna potersi rivolgere.

Orti online, un modello di innovazione  sostenibile

Gli orti ‘online’  possono rappresentare un modello di innovazione sostenibile e condivisa sui territori. Possono stimolare la domanda interna di prodotti locali, favorire l’economia dei distretti e generare occupazione. Oltre a proteggere le aree rurali da abbandono, inquinamento e cemento. Magari anche mettendo le basi per un turismo diffuso in aree altrimenti vocate alla desertificazione sociale. La ‘green economy’, spesso predicata a vanvera nei convegni delle alte istituzioni, trova così applicazione concreta. Sviluppando nuovi modelli d’impresa – anche cooperativa e sociale – per produrre ‘con occhi nuovi’ cibi buoni e giusti e reinventare il mercato locale del ‘food & drink’.

L’ecommerce dei colossi  globali – che pure miete consensi presso le PMI italiane – non sembra essere il contesto più appropriato a questo contesto. (1) Amazon, con il recente investimento su Deliveroo, ottimizzerà senz’altro la logistica con una distribuzione puntuale e capillare, a partire dalle grandi città. Ma il suo modello di  business  è del tutto iniquo perciò incompatibile con il concetto-base di filiera equa. All’evasione fiscale  si aggiungono lo sfruttamento dei lavoratori e l’opacità d’informazione al consumatore.

L’economia locale  non ha bisogno di piegarsi alle vessazioni contrattuali ed economiche dell’ecommerce globale. Né di regalare provvigioni sproporzionate, fino al 20%, per un servizio di ‘marketplace’ di cui gli orti  online  non hanno neppure bisogno. La loro visibilità può venire promossa a costi ben inferiori, affidandosi anche alle risorse fisiche sui territori e al passa-parola. E la digitalizzazione può venire realizzata anche con l’aiuto di informatici freelance e software ‘open-source’. Magari organizzandosi in rete, per condividere i costi dell’innovazione sostenibile, o affidandosi a un  marketplace  locale, non avido come i colossi. Solo in questo modo si possono mantenere prezzi ragionevoli per i consumatori, senza rinunciare alla propria meritata quota di valore.

Garden Chef, Korto, Biofarm. Tre esperienze di  orti  online

Il modello di orto  online  è stato sviluppato con varie iniziative, la cui varietà conferma come la fantasia non abbia limiti quando basata su buone idee. Non sempre ‘bio’ – come a noi più piace, quale emblema del massimo rispetto verso la natura e chi la abita – ma pur sempre interessanti. Tutti basati su uno schema di vendita diretta, dal produttore al consumatore. I primi due esempi, a Torino e nei pressi, richiamano l’idea pre-rinascimentale di addomesticare le terre che circondano le città per soddisfare la domanda di cibo dei borghi e Comuni. Quando ancora mancavano i mercati globali, nazionali o regionali, ogni Comune aveva il proprio serbatoio di produzione ortofrutticola.  Perché rinunciarvi proprio ora?

Garden Chef. L’ex informatico Davide Almondo avvia nel 2014 un percorso di orticoltura urbana, in alcuni giardini di demanio pubblico della città di Torino. I riconoscimenti di merito dell’ex-sindaco Piero Fassino e del fondatore di  Slow Food  Carlo Petrini stimolano Davide a dare vita, nello stesso anno, a un progetto ancora più ambizioso,  Garden Chef. L’idea è coltivare alcuni terreni periurbani per produrre un cibo di qualità destinato alla ristorazione. L’idea di una cucina che si serve di materie prime del proprio orto è nuova a una metropoli come Torino e si sviluppa con due ristoranti cittadini. Uno dei quali è l’orto pensile – più precisamente, una serra bioclimatica – al grattacielo Sanpaolo, a 150 metri di altezza. Innovazione vertiginosa, di valenza simbolica per l’avanguardia ‘green’ metropolitana, se pure di impatto sociale irrilevante.

Korto.  Lo stesso Davide mette a frutto l’esperienza orticola urbana per un progetto invece dedicato alle famiglie della città, Korto. Frutta e verdura vengono coltivate su diversi ettari di terra, nel parco della Reggia di Venaria Reale e a Chivasso, in provincia. Una cassetta di ortofrutta prodotta a pochi chilometri da casa viene consegnata ogni settimana a buon prezzo alle famiglie abbonate. La ‘partecipazione digitale’ dei cittadini è favorita dalle webcam sui campi, grazie alle quali è possibile seguire la crescita dei vegetali, le attività agricole, la cura dell’ambiente. Il servizio è ora momentaneamente sospeso, poiché si stanno sviluppando gli impianti di trasformazione di alcuni alimenti. E altre novità, ancora da disvelare.

Biofarm  è un progetto più ampio che ambisce a stabilire una relazione diretta tra i consumatori e gli agricoltori che applicano il metodo biologico nelle diverse regioni d’Italia. Il rapporto può addirittura venire stabilito con Ie singole piante, che possono venire ‘adottate’. Nell’ottica di condividere, sia pure ‘in remoto, i cicli della natura e l’impresa dell’agricoltura. Costi iniziali, manutenzione, rese e rischi, stagionalità. Cambia la prospettiva del consumAttore che può così apprendere il significato delle sue esigenze. L’egocentrismo del ‘volere’ questo o quel prodotto si declina in un rapporto trasparente – se pur mediato dalla tecnologia – con la natura e i suoi frutti. Quanto vive la pianta, di cosa ha bisogno, quando posso raccogliere le messi, con chi condivido questa risorsa?

Dario Dongo e Guido Cortese

Note

(1) Il 7.5.19 Amazon ha siglato un’intesa anche con l’ICE, per promuovere il ‘Made in Italy’ all’estero (v.  https://www.ice.it/it/amazon). Ma a quali condizioni? L’Antitrust, da noi ripetutamente interpellata per valutare le pratiche commerciali manifestamente sleali e fuorilegge applicate dal colosso USA ai suoi fornitori, ha finora omesso di considerare clausole vessatorie che arrecano ingiusto danno a migliaia di imprese italiane. Quindi, all’economia nazionale. Si vedano i precedenti articoli  https://www.greatitalianfoodtrade.it/consum-attori/amazon-cyber-bullismo,  https://www.greatitalianfoodtrade.it/consum-attori/amazon-nuove-denunce-a-antitrust-e-icqrf

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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Informatico e apicoltore professionale. Ex obiettore di coscienza, ha prestato servizio e poi volontariato in una mensa per senza fissa dimora a Torino. Si occupa di diritto al cibo, food policy, sovranità alimentare e biodiversità. Ha fondato l’associazione degli Impollinatori Metropolitani con l’obiettivo di difendere la biodiversità attraverso progetti specifici di rigenerazione sociale e ambientale. Rappresenta la Comunità Slow Food degli Impollinatori Metropolitani. Ha promosso la nascita della rete nazionale degli apicoltori urbani. Dirige un mercato agricolo indipendente, collabora e scrive per Egalitè (Onlus Roma) che si occupa di difendere i diritti di persone svantaggiate, e con i giornali Great ItalianFood Trade, Qualeformaggio, L'apicoltore Italiano e riviste minori.

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