HomeProgressoBiologico, reg. UE 2018/848

Biologico, reg. UE 2018/848

Biologico. È stato alfine pubblicato il nuovo regolamento UE, reg. UE 2018/848. L’ennesimo scheletro ancor privo degli organi vitali. Un testo di base, a cui mancano tutti gli allegati tecnici – fertilizzanti, prodotti per la difesa fitosanitaria, mangimi, prodotti per la sanificazione, additivi e coadiuvanti, spazio minimo del bestiame, etc. – su cui lavorare nei due anni a venire. 

Residui di pesticidi altrui, la soglia inevitabile 

La soglia di Contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili di prodotti fitosanitari in agricoltura biologica’ (1) non autorizza affatto l’uso di fitofarmaci di sintesi nella produzione biologica, come sostengono strumentalmente le organizzazioni italiane degli agricoltori convenzionali. Tale soglia serve invero soltanto a offrire criteri uniformi di valutazione nello svolgimento dell’attività di controllo. 

Sopra la soglia di 0,01 ppm – pari a 1 grammo di fitofarmaco su 100 tonnellate di prodotto – la certificazione ‘bio’ non può venire concessa, neppure se dalle verifiche ispettive risulti l’assoluta estraneità dell’operatore alla contaminazione. Al di sotto di tale soglia (ad esempio, in presenza di un residuo di 0,003 ppm, 1 grammo di fitofarmaco su 333 tonnellate di prodotto), l’organismo di controllo deve condurre una specifica indagine per accertare che la contaminazione dipenda da fattori al di fuori del controllo dell’operatore. (2)

Il Monitoraggio nazionale dei pesticidi nelle acque’ pubblicato dall’ISPRA nel 2015 rivela la presenza nei fiumi italiani di 259 fitofarmaci, con concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali nel 23.9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nell’8.3% di quelli delle acque profonde.  ‘Per alcune sostanze la contaminazione per frequenza, diffusione territoriale e superamento dei limiti di legge, costituisce un vero e proprio problema, in alcuni casi di dimensione nazionale’, commenta l’Istituto.

Glifosate (o glifosato) in quasi il 50% dei campioni delle acque superficiali. Ma anche atrazina, erbicida proibito dal 1992 – più d’un quarto di secolo fa (!) – in oltre metà dei campioni di acque di falda si trova. E DDT, insetticida vietato dal 1969 – mezzo secolo fa (!!) – nel 15% dei campioni di acque superficiali.

Le regole UE sullagricoltura biologica, del resto, impongono agli operatori di non usare prodotti chimici di sintesi. Non anche di garantire l’assenza di residui (la certificazione è di processo e non di prodotto). Né, d’altra parte, essi potrebbero garantire l’assenza nelle acque di residui di fitofarmaci il cui uso è cessato da decenni e non può certo venire loro attribuito. A maggior ragione in quanto i fenomeni di inquinamento ambientale, come gli stessi regolamenti europei attestano, sono ‘tecnicamente inevitabili’.

Un approccio uniforme a livello UE è del resto indispensabile. Per evitare situazioni grottesche, come il caso di un’impresa di trasformazione italiana che si trovi costretta a rifiutare un prodotto agricolo italiano con contaminazione accidentale e tecnicamente inevitabile nella misura di 0,011 ppm. E non possa invece rifiutare, secondo il principio di libera circolazione delle merci, un prodotto con contaminazione accidentale e tecnicamente inevitabile, magari di 0,018 ppm, da altro Paese UE che abbia invece stabilito una soglia legale di 0,02 ppm.

In ogni caso non ha senso pretendere un irrealistico zero assoluto. Se l’agricoltura biologica fosse relegata alle sole aree già del tutto incontaminate – ammesso che in tali aree non si registri comunque una contaminazione di fondo – non si potrebbe promuovere lo sviluppo di tale sistema.  Che è invece necessario proprio per la ‘bonifica’ di aree in precedenza devastate dall’agricoltura convenzionale.

Il metodo biologico si basa infatti sull’interazione delle migliori pratiche ambientali con la salvaguardia delle risorse naturali e di un elevato livello di biodiversità. Adempiendo così al contempo a un interesse pubblico condiviso, di contributo alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo rurale. L’agricoltura biologica costituisce perciò un modello di conversione della produzione agroalimentare all’insegna della sostenibilità, da non relegare ai giardini dell’Eden.

Paradossalmente, quanto maggiore è l’inquinamento delle acque e dei suoli in alcuni territori, tanto più è urgente avviare proprio lì la produzione biologica. Prima che sia troppo tardi, e posto che non lo sia già. Se quindi il superamento degli indici di qualità ambientale interessa Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia (e a tratti ancheToscana, Lazio e Sicilia), è proprio lì che bisogna ripensare il modello agricolo. Bisogna alleviare l’ecosistema da un carico di sostanze chimiche che lo ha condotto al collasso. Anziché confinare l’agricoltura ‘pulita’ alle sole aree incontaminate, lasciando che prosegua l’inquinamento delle altre zone d’Italia e d’Europa.

In Italia nel 2016 sono state distribuite 4,515 milioni di tonnellate di fertilizzanti di sintesi per ettaro di SAU, con un impiego complessivo di 124,1 mila tonnellate di prodotti ‘fitosanitari’. Vale a dire, oltre 350 kg di fertilizzanti e quasi 10 kg di diserbanti, anticrittogamici e insetticidi per ettaro.

Se non si riduce drasticamente questo cattivo uso del territorio, anzi, rimane da chiedersi se tra cinquant’anni si potrà ancora discutere su come risolvere il dissesto ambientale causato dall’agricoltura convenzionale. 

I commenti delle organizzazioni italiane dellagricoltura convenzionale

Le organizzazioni dellagricoltura convenzionale italiane si scagliano contro il regolamento UE 2018/848 che, si ribadisce, è ancora privo degli allegati tecnici necessari a definirne la portata applicativa concreta. Si distinguono così da Copa Cogeca, la ‘confederazione delle organizzazioni agricole e della cooperazione in UE’, la quale ha invece salutato con gioia il nuovo testo.

Coldiretti, Confagricoltura e CIA contestano in particolare la soglia di tolleranza sulle contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili. Dimenticando tuttavia che sono proprio i loro iscritti ad avere impiegato prima il DDT, poi l’atrazina e a impiegare tuttora il glifosate (o glifosato), insieme a più di 100 mila tonnellate di  altri agrotossici ogni anno sul territorio nazionale. La memoria di questo utilizzo si trova però nei livelli di crescente contaminazione delle acque, puntualmente aggiornati dall’ISPRA (oltreché nelle ‘contaminazioni involontarie e tecnicamente inevitabili‘).

Le confederazioni hanno così il coraggio di affermare che ‘le norme approvate sono un via libera a prodotti certificati come biologici ma contaminati da prodotti chimici fitosanitari’. O ancora, ‘il provvedimento annacqua la qualità della produzione agricola biologica italiana ed europea”, oppure ‘si penalizza il nostro Paese, ponendoci in una condizione di svantaggio competitivo in Europa’. La coerenza, insomma, non è di casa.

A ben vedere, il decreto ministeriale che introduce la soglia di decertificazione per l’Italia risale al maggio 2011. Da sette anni ormai dunque le imprese ‘bio’ investono cospicue somme per arginare l’inquinamento causato dai loro vicini ‘convenzionali’. Mediante piantumazione di siepi, esclusione dal mercato biologico delle file vicine ai confini, e analisi ulteriori. Proprio perché le stesse organizzazioni sindacali – nel perseguire un interesse opposto allo sviluppo della produzione biologica, ancora troppo distante dal loro modello culturale ed economico – sono riuscite a convincere il ministero sul teorema secondo cui l’azienda biologica è responsabile delle contaminazioni causate dai loro soci agricoltori convenzionali (magari con gli agrotossici acquistati nei magazzini dei consorzi che pure aderiscono alle stesse organizzazioni).

Il principio chi inquina paga’, cui da anni sono teoricamente ispirate le politiche ambientali europee, viene così ribaltato a uso e servizio di quelle stesse confederazioni che – è bene ricordare – hanno sostenuto Big Ag nella opaca lobby a favore del glifosate. (3) 

E allora, se un operatore biologico lavora con la massima diligenza, attua ogni misura ragionevole per evitare contaminazioni, mentre il suo vicino ‘convenzionale’ irrora i propri terreni in giornate ventose, con ugelli degli atomizzatori mal tarati e fa ‘piovere’ contaminanti indesiderati sui terreni biologici, chi paga i danni?

Secondo logica condivisa a livello internazionale, chi inquina paga. E invece no. In questo sistema alla rovescia, è l’azienda biologica a pagare ogni danno causato da altri. Al punto di subire il ritiro della certificazione per una contaminazione‘aliena’ di 0,1 grammi di fitofarmaco su 10 tonnellate del suo prodotto. Anche se si tratta di un principio attivo il cui uso è privo di senso tecnico sulla sua coltura e deriva invece, in tutta evidenza, dall’uso ‘esuberante’ nell’azienda convenzionale limitrofa.

Coldiretti, Confagricoltura e CIA inneggiano al calo della ‘qualità del biologico’, ‘Via libera al biologico contaminato’, tacendo che i loro stessi associati sono i responsabili delle contaminazioni accidentali in Italia. Adducendo che ‘l’ortofrutta che importiamo  dalla Germania e dalla Svezia potrebbe teoricamente presentare una contaminazione superiore alla soglia del biologico italiano, quindi è meglio acquistare prodotto convenzionale italiano’. (4) Uno scenario del tutto irrealistico, per almeno un paio di ragioni:

– quante arance e lattuga arrivano in Italia dalla Scandinavia e dall’Europa centrale?

– il livello di contaminazione ammesso a livello europeo è comunque infimo (es. 0,15 grammi di residui su 10 tonnellate di prodotto).

Coltivazione fuori terra. Le confederazioni agricole contestano poi il regime transitorio concesso a un manipolo di aziende biologiche danesi, svedesi e norvegesi. Le quali potranno coltivare funghi, fragole e ortaggi in cassoni di terra nelle serre, invece vietate a livello europeo dal reg. UE 2018/848.  Una polemica basata sul nulla, atteso che la deroga riguarda un’area complessiva di 20 ettari (già identificata, vincolata e non soggetta ad alcun possibile ampiamento), cioè lo 0,00016% dei12,1 milioni di ettari coltivati secondo metodo biologico in UE.

OGM? No, grazie

Le confederazioni dellagricoltura convenzionale evocano poi il ‘mostro OGM’, asserendo che il regolamento aprirebbe la porta alla contaminazione da OGM. Falso. Il regolamento UE 2018/848 precisa invece quanto segue.

Luso di radiazioni ionizzanti, clonazione animale e animali poliploidi artificialmente indotti od organismi geneticamente modificati («OGM»), nonché prodotti derivati od ottenuti da OGM, è incompatibile con il concetto di produzione biologica e con la percezione che i consumatori hanno dei prodotti biologici,

Gli OGM, i prodotti derivati da OGM e ottenuti da OGM non sono usati negli alimenti o nei mangimi o come alimenti, mangimi, coadiuvanti tecnologici, prodotti fitosanitari, concimi, ammendanti, materiale riproduttivo vegetale, microrganismi o animali in produzione biologica’.

La soglia di contaminazione accidentale o tecnicamente inevitabile con OGM autorizzati in UE non è neppure citata nel regolamento sulle produzioni biologiche. È stata invece definita, in quota 0,9%, dal reg. CE 1829/03 e si applica a tutte le produzioni, convenzionali e biologiche. A condizione che gli operatori siano in grado di dimostrare alle autorità competenti di avere adottato tutte le misure appropriate per evitarne la presenza.

Le organizzazioni agricole convenzionali italiane pretendono invece che la contaminazione da OGM entro la soglia dello 0,9% venga considerata a priori ‘tecnicamente inevitabile’ sui loro prodotti, e intollerabile su quelli ‘bio’.

Lipocrisia impera, ove si ricordi che 15 anni fa si schieravano a favore degli OGM sia Confagricoltura (tuttora fedele alla linea), sia CIA (la quale invece ha poi fatto dietrofront). Coldiretti si dichiara contraria agli OGM, ma annovera tra i propri iscritti i consorzi agrari che tuttora sono i primi rivenditori di mangimi OGM di provenienza estera (come pure di glifosate) in Italia. 

Non a caso, mai si è sentita la voce di alcuno dei suoi rappresentanti, nei Consorzi di tutela delle DOP e IGP, per proporre l’impiego esclusivo di mangimi ‘OGM free e vietare quelli OGM. Come ha invece fatto, di sua autonoma sponte, il Consorzio della Fontina DOP.

Dario Dongo 

Note 

(1) Soglia introdotta in Italia con il DM 309/2011

(2) Un fenomeno classificato come ‘tecnicamente inevitabile’ si può verificare, ad esempio, in ipotesi di presenza nel suolo o nelle acque d’irrigazione di fitofarmaci non utilizzati dai produttori biologici, ma da quelli convenzionali, magari anche in epoca passata. I regolamenti europei danno atto che ‘alcuni antiparassitari contaminano lambiente, per cui si possono trovare i loro residui’ negli alimenti

(3) Si vedano al proposito le posizioni espresse da Copa-Cogeca, la confederazione europea che rappresenta le confederazioni dell’agricoltura convenzionale, di cui il presidente di Coldiretti ha la vicepresidenza

(4) Il dato nazionale, al di là degli slogan, rivela invece che il 42% dei prodotti presenta residui (elaborazione Legambiente su dati Arpa, Asl, Izs 2015)

Articoli correlati

Articoli recenti

Commenti recenti