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Canapa sativa e tisane, ABC

Canapa sativa, alimenti e tisane. L’Italia è stata protagonista nelle sue coltivazioni, seconda solo all’Unione Sovietica, fino al secolo scorso. Ignorandone purtroppo, fino a pochi decenni or sono, le virtuose proprietà nutritive. E proprio ora che la Cannabis Sativa e i suoi derivati emergono sui mercati internazionali, la filiera nazionale rischia di rimane impigliata nell’incertezza del diritto. Un riepilogo, l’ABC.

Canapa sativa a uso alimentare, il contesto regolatorio europeo

La Commissione europea ha già riconosciuto la consolidata presenza della canapa nel vecchio continente. Non solo in cosmetica e farmacopea tradizionale, ma anche tra gli alimenti di uso corrente. Basti pensare ai semi, all’olio e alla farina di canapa, cui numerosi studi attribuiscono il ruolo di ‘superfood’.

In the European Union, the cultivation of Cannabis sativa L varieties is granted provided they are registered in the EU’s ‘Common Catalogue of Varieties of Agricultural Plant Speciesand the tetrahydrocannabinol (THC) content does not exceed 0.2 % of the plant. Without prejudice to other legal requirements concerning the consumption of hemp (Cannabis sativa) and hemp products, Regulation (EU) 2015/2283 on novel foods is not applicable to most foods and food ingredients from this plant.’ (European Commission)

Deve perciò escludersi l’applicazione del regolamento sui Novel Foodalla ‘gran parte degli alimenti e ingredienti alimentari’ che derivano da questa pianta, secondo l’avviso di Bruxelles. La soglia dello 0,2% di THC– vale a dire, il limite tollerabile di sostanza psicoattiva – era stata già introdotta, a ben vedere, nell’ormai lontano anno 2000 (mediante reg. CE 2860/00, riferito alla varietà di canapa da fibra). Ed è stata confermata di recente, nel quadro della politica agricola comune (reg. UE 639/14, come modificato da reg. UE 1308/13, Allegato X).

Le autorità per la sicurezza alimentare di diversi Paesi europei – tra cui Germania, Belgio e Svizzera – hanno a loro volta stabilito i limiti prudenziali di THC su diverse matrici alimentari derivate dalla cannabis (es. semi, olio, farina, tisane). A seguito delle valutazioni scientifiche dei rischi adottate da istituti, come il BfR tedesco, noti per i loro approcci particolarmente conservativi.

Il principio di mutuo riconoscimento, che la Corte di Giustizia UE ha introdotto con la storica sentenza ‘Cassis de Dijon’, vieta agli Stati membri di ostacolare la circolazione di alimenti immessi sul mercato interno tramite altri Paesi, nel rispetto del diritto comune. Laddove viceversa l’autorità nazionale intenda limitare la commercializzazione di prodotti (es. tisane) autorizzati altrove, essa dovrà dimostrare l’inadeguatezza della valutazione del rischio espressa dall’autorità di altro Paese membro e circostanziare le proprie decisioni in termini di concrete esigenze di tutela della salute pubblica.

Canapa a uso alimentare, la situazione in Italia

La legge 242/2016 espressamente riferisce alla ‘canapa per la filiera agro-alimentare, con livelli massimi di THC stabiliti già in fase di coltivazione. 0,2, con margine di tolleranza fino a 0,6 e non-punibilità del coltivatore, entro il predetto limite, a condizione di poter dimostrare l’approvvigionamento delle sole varietà di Cannabis Sativa previste dal Catalogo Unico Europeo (elenco fornitori, cartellini sementi, documenti contabili, rintracciabilità forniture).

L’obiettivo del legislatore italiano è stato quello di promuovere l’integrità della filiera della canapa nazionale. Con l’idea di garantire coltivazioni improntate a sicurezza e qualità, in vista della ‘produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori. Nel rispetto, come è ovvio, di ogni regola a salvaguardia dei consumatori (anche sotto il profilo dell’informazione), della salute delle piante, la biodiversità e l’ambiente.

Il Ministero della Salute e quello delle Attività Produttive avrebbero dovuto definire con appositi atti, entro 6 mesi dalla pubblicazione della legge del 2016, i livelli di THC tollerabili nelle varie categorie di alimenti a base di Cannabis Sativa. Un atto doveroso e indispensabile a tutti gli operatori della filiera, per assicurare la certezza del diritto e così affidare gli investimenti dedicati a una coltura promettente. Ma Carlo Calenda e Beatrice Lorenzin sono mancati all’appello. E all’incertezza causata dalla loro inazione si è aggiunta quella provocata da un improvvido documento del CSS.

L’ISS, Istituto Superiore di Sanità, è l’unico organismo titolato alla valutazione dei rischi di sicurezza alimentare ed è stato perciò incaricato di esprimere un parere scientifico utile a stabilire i limiti tecnici di THC sulle diverse matrici alimentari, ai sensi della legge 242/2016. Parere atteso entro le prossime settimane. Nell’attesa, il Ministero dell’Interno – con propria circolare 31.7.18 – ha chiarito che

– la tolleranza per livelli di THC tra 0,2 e 0,6 vale solo in campo e limitatamente agli agricoltori,

– nelle fasi successive, ivi compresa la finalità di vendita di infiorescenze per usi tecnico-collezionistici, il limite è fissato a 0,5% per le infiorescenze.

Il Ministero dell’Interno ha così fornito istruzioni utili agli ufficiali di polizia giudiziaria, dopo l’increscioso equivoco occorso sotto il precedente governo. Allorché la Guardia di Finanza di Ponte Chiasso, il 23.1.18, sequestrava oltre 60 kg di infiorescenze e altri prodotti (olio al CBD e infusi per tisane). I vettori – denunciati a piede libero per traffico di stupefacenti (!) – venivano poi scagionati dalla Procura della Repubblica la quale, a seguito danalisi tossicologiche che rivelavano una concentrazione di THC inferiore allo 0,2%,otteneva l’archiviazione del procedimento.

Canapa a uso tisana, le doverose attenzioni

In attesa del parere ISS e dei conseguenti atti ministeriali, si raccomanda a tutti gli operatori della filiera di distribuzione e ai consumatori di tisane a base di infiorescenze di canapa l’adozione di alcuni accorgimenti:

– verificare l’effettiva provenienza del prodotto dalle specie botaniche ammesse nel Catalogo Unico Europeo (selezionate per il ridotto tenore di sostanze psicoattive),

– evitare l’acquisto di infiorescenze in forma sfusa o contenute in imballi anonimi (cioè privi delle indicazioni necessarie a identificare la natura del prodotto e l’operatore responsabile) o de-sigillati.

La sicurezza alimentare deve venire verificata con attenzione anche da parte di importatori e distributori. I quali sono responsabili al pari degli Osa (operatori del settore alimentare), nel quadro della responsabilità integrata di filiera introdotta dal General Food Law (reg. CE 178/02, articolo 17). L’attenzione va dedicata, soprattutto in caso di materie prime d’importazione, ai rischi di cui a seguire. I quali meritano l’adozione di appositi protocolli di campionamento e analisi, in sede di autocontrollo secondo metodo HACCP:

– contaminanti di cui al reg. CE1881/06 (es. diossine, PCB). Da valutare con estrema prudenza, a fronte del vacuum legis sulla matrice alimentare in esame,

– residui di metalli pesanti ed eventuali metaboliti fitosanitari (tenuto anche conto, ad esempio, delle coltivazioni limitrofe).

– residui di THC da valutare con riguardo sia alla materia prima agricola, sia al prodotto alimentare (tisana).

L’informazione al consumatore deve seguire le regole che si applicano alla generalità degli alimenti. Avuto particolare riguardo alle notizie facoltative in etichetta che, secondo quanto previsto dal reg. UE 1169/11 (articolo 36), non devono indurre in errore il consumatore su natura e proprietà del prodotto. È infine utile ricordare che qualsivoglia suggestione di ipotetiche virtù salutistiche – ivi compresi i richiami a funzioni psicologiche o cognitive, ad esempio su senso di relax e altre amenità – comporta l’applicazione del c.d. Nutrition & Health Claims Regulation, NHC, reg. CE 1924/06.

Dario Dongo

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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