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Plastiche compostabili, crescita a doppia cifra

Le plastiche biodegradabili e compostabili, o bioplastiche, crescono a doppia cifra. Anche in Italia la produzione è aumentata considerevolmente nel 2018 (+21%), fino a raggiungere le 88.500 tonnellate. I dati del rapporto annuale di Assobioplastiche e alcune brevi riflessioni sul tema.

Il futuro del monouso. Il monouso è il futuro?

L’industria della bioplastica denuncia la lentezza atavica dell’Italia nel mettere fuori legge una serie di oggetti monouso in plastiche non biodegradabili. L’Europa stessa – con la direttiva SUP (Single Use Plastics) – si è guardata bene dall’introdurre un quadro completo di misure e obiettivi vincolanti per gli Stati membri.

Le microplastiche da materiali tradizionali a base di idrocarburi, intanto, sono ufficialmente entrate a far parte della nostra dieta. In misura equivalente a una carta di credito la settimana, secondo recenti studi condotti dalle Università di Newcastle (Australia) e Victoria (Canada). Microplastiche e nanoplastiche circolano in atmosfera – oltreché nelle acque e nei cibi – esponendo esseri umani e animali a rischi di salute certo non lievi, se pure a oggi sottostimati.

Il monouso è senza dubbio il paradigma di consumo da riformare, in una logica di economia circolare il cui primo diktat è evitare di produrre tutto ciò che non è indispensabile. Nondimeno – nell’attesa di un’evoluzione dei comportamenti dei consumatori, oltreché della politica e degli operatori di filiera – l’introduzione dell’obbligo di utilizzare bioplastiche in luogo di plastiche tradizionali è un passaggio doveroso. Al duplice scopo di ridurre l’impiego di fonti non rinnovabili e mitigare l’inquinamento dei mari.

L’esperienza degli shopper

L’Italia è stato il primo Paese in Europa a vietare l’impiego delle borse in plastica leggera, nel 2011. Un’operazione semplice, che in pochi anni ha consentito di ridurre drasticamente il consumo di plastiche per la produzione degli shopper (-55%, da 200mila a 90mila ton/anno). Nel 2017 sono poi state introdotte misure per garantire il ricorso a materiali bio, certificati come biodegradabili e compostabili, anche per le borse ultraleggere.

La produzione di bioplastiche in Italia ha registrato una crescita media dell’11% su base annua, tra il 2011 e il 2018, proprio grazie alla domanda di sacchetti. Che è aumentata, nel 2018, grazie all’estensione della domanda ai sacchetti ultraleggeri. Nonostante i danni dovuti alla circolazione – ancora attuale e impunita – di shopper fuorilegge in polietilene (PE), falsamente presentati come ’bio’.

Si è così sviluppata una filiera industriale interconnessa, la quale interagisce con la raccolta del rifiuto organico e il compostaggio, ma soprattutto con l’agricoltura. La quale fornisce le biomasse – come sfalci e scarti di lavorazione – ed è al contempo destinataria sia del compost, sia dei bioteli per pacciamatura. I costi di produzione sono tuttora più elevati rispetto a quelli relativi delle plastiche da idrocarburi, poiché le tecnologie sono relativamente nuove, ma l’evoluzione della ricerca consentirà senz’altro di superare anche questa criticità.

I teoremi formulati dalle lobby dell’industria chimica – secondo cui non dovrebbe ritenersi sostenibile un materiale che sottrarrebbe risorse ed entrerebbe in competizione con la filiera alimentare – valgono del resto sicuramente per i biofuels, olio di palma in primis. Ma non anche per le bioplastiche, atteso che le colture destinate a produrre loro materie prime, nel 2017, rappresentavano lo 0,02% della superficie agricola globale. E sono destinate a ridursi, poiché la ricerca è ormai orientata verso l’utilizzo di scarti vegetali quale materia prima di biopolimeri.

A tutta bioplastica, la produzione in Italia

Il bilancio di Assobioplastiche è incoraggiante. Nel 2018 si è registrata una crescita quasi doppia rispetto alla media degli esercizi precedenti, con un fatturato complessivo di circa 685 milioni di euro (erano 370 nel 2012). È altresì cresciuto il numero delle imprese, dalle 143 del 2012 alle 252 del 2018, così distribuite:

– produttori di chimica e intermedi di base (5),

– produttori e distributori di granuli (20),

– operatori di prima trasformazione (162) e

– operatori di seconda trasformazione (65).

La produzione di biopolimeri, 88.500 ton nel 2018, è a sua volta articolata come segue:

– shopper monouso per la spesa, 61%,

– sacchetti ultraleggeri per alimenti sfusi, 19%,

– sacchi da rifiuto per la raccolta della frazione organica, manufatti per l’agricoltura e la ristorazione, packaging alimentare e igiene della persona, 20% complessivo.

Gli imballaggi alimentari realizzati in bioplastica sono un’altra delle voci in crescita. Negli ultimi anni ad esempio le capsule da caffè in biopolimeri hanno iniziato a trovare spazio quale alternativa ad alluminio, polietilene (PE) e polietilentereftalato (PET). Sebbene proprio questa modalità di consumo del caffè – che solo in Europa genera circa 70 mila ton di rifiuti ogni anno, di cui 11 mila in discarica (dati Commissione europea) – sia un emblema di superfluità degli imballi monouso. Che può congestionare, tra l’altro, gli impianti di compostaggio.

Bioplastiche, consumAttori e filiera

I consumatori maturano progressiva consapevolezza sull’impatto socio-economico e ambientale delle proprie scelte di acquisto. Anche grazie alla crescente disponibilità di notizie, su siti d’informazione indipendente come il nostro ovvero tramite iniziative quali il Cash-Mob etico (#votocolportafoglio). Iniziano così, i consumAttori, a privilegiare i prodotti che effettivamente corrispondano a filiere eque e sostenibili nel loro intero ciclo di vita. Ivi compresi gli imballaggi.

Un recente sondaggio IPSOS sui consumatori italiani – presentata all’incontro ‘The third moment of truth: il packaging sostenibile è il nuovo tsunami?’ – dimostra l’efficacia delle campagne d’informazione tuttora in corso sul problema plastica:

– il 50% degli intervistati considera il problema molto serio,

– il 46% ritiene il problema esistente ma non grave, ipotizzando che esso possa venire risolto (26%) e sia causato da inadeguatezze sul fronte del riciclo (20%),

– solo il 2% non vive la questione come problematica e un infinitesimo

– l’1% considera il dibattito un inutile allarmismo.

La GDO ha assunto un ruolo protagonista, negli ultimi anni, nell’adeguare l’offerta alla crescente sensibilità ecologica dei consumatori. I quali hanno infatti saputo premiare gli impegni e le certificazioni di sostenibilità ambientale, la riduzione di imballaggi e plastiche, la rivendita di merci sfuse (prodotti di pulizia, cibi e bevande). Le industrie di trasformazione di FMCG (Fast Moving Consumer Goods), viceversa, hanno finora dimostrato scarsa attenzione a questi temi. E tuttavia farebbero bene ad attivarsi, anche di propria iniziativa.

Chi ha la responsabilità di trovare una soluzione per ridurre la quantità di materiale utilizzato nelle confezioni di prodotti venduti?’ Alla domanda formulata da Ipsos nel citato sondaggio, il 39% degli intervistati ha risposto che è ‘dovere delle aziende che producono’, oltreché di quelle che commercializzano i prodotti di largo consumo. E quasi il 50% dei consumatori esprime spiccato favore verso la sostituzione della plastica tradizionale con bioplastiche.

A buon intenditor, poche parole

Dario Dongo e Marta Strinati

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

Marta Strinati
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Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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