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Olio di palma, insostenibili bugie e connivenze politiche

Le bugie sulla ipotetica sostenibilità dell’olio di palma hanno raggiunto il colmo. È ora di tirare le somme e metterle in mostra, assieme alle connivenze tra le lobby dei palmocrati e la politica, in Europa e in Italia. Il sipario si alza.

Olio di palma, diritti umani e dell’ambiente

La rapina delle terreland-grabbing, è la prima operazione necessaria ai neo-colonialisti per liberare enormi appezzamenti dalle comunità indigene. La sua prima causa, a livello globale, è la brama di coltivare palma da olio. Violenze e minacce, deportazioni forzate, devastazioni di villaggi, luoghi sacri e cimiteri. Senza badare ai diritti di famiglie spesso prive di titoli di proprietà, sebbene ancorate da generazioni su quei territori e i loro ecosistemi.

La devastazione delle foreste pluviali e della biodiversità è il passo successivo. Incendi, abbattimenti di alberi secolari, deviazione dei corsi d’acqua a servizio delle monocolture di palma da olio. A differenza di altre piante di semi oleaginosi, le palme esigono infatti un clima tropicale. Ed è perciò che ogni anno vengono distrutti 29 milioni di ettari di foreste. Ogni minuto viene rasa al suolo un’area pari a 60 campi di calcio. (1)

Il clima impazzisce. La deforestazione globale emette ogni anno più gas-serra dell’intera Unione europea. L’Indonesia – che assieme alla Malesia esprime quasi il 90% delle coltivazioni globali di palma da olio – è divenuta il terzo Paese al mondo per emissioni di gas-serra. Le quali si protraggono per 7-8 decenni, in quantità fino a 200 volte superiori a quelle causate da incendi di altre aree boschive. 

La salute umana è sottoposta a grave minaccia, in primo luogo, dall’inquinamento dell’aria nel Sud-Est asiatico causata dagli incendi delle foreste e delle torbiere. Disturbi respiratori, patologie cardiache e polmonari, aborti. Nel 2015, in soli tre mesi, sono state registrate 100.300 morti premature per malattie respiratorie in Indonesia, Malesia e Singapore. La terra, l’acqua e gli alimenti sono poi contaminati dai pesticidi di cui è fatto ampissimo uso per distruggere ogni forma di vita diversa dalle piante di palma.

Le condizioni di lavoro nelle piantagioni causano ulteriori pericoli per la salute dei lavoratori e delle loro famiglie. Per via dell’esposizione di tutti, bambini inclusi, a pesticidi neurotossici, cancerogeni e genotossici che sono tuttora prodotti in Europa bensì da anni vietati in Occidente. In assenza, va da sé, di protezioni adeguate. (2) Sfruttamento minorile e schiavitù rimangono poi al di fuori di ogni controllo, se pure a servizio di palmocrati ‘certificati’ RSPO.

L’impatto sulle comunità tradizionali e le loro economie, oltreché sull’ambiente, è altrettanto micidiale. A bruciare sono i mezzi di sussistenza di circa 1,6 miliardi di individui. Le foreste – oltre a costituire una fonte essenziale di cibo – sono anche la patria dell’80% della biodiversità globale. Flora e fauna in estinzione.

Oltre 100.000 orangutan – un numero pari all’intera popolazione di città quali Bolzano, Udine, Novara, Cesena, Ancona, Lecce – sono stati trucidati solo nel Borneo negli ultimi 16 anni. 

In Nuova Guinea – patrimonio di biodiversità, con 20.000 specie di piante e 700 tipi di alberi, 2.000 diversi uccelli che sorvolano le 600 isole dell’arcipelago – solo il 5% delle foreste naturali è sopravvissuto alla deforestazione selvaggia perpetrata negli ultimi decenni. (3)

La domanda di olio di palma continua però a crescere, per i ‘biocombustibili’ e in vari altri settori, dalla cosmetica ai prodotti per la casa. Nonostante il progressivo affermarsi di un fronte europeo contrario all’impiego di questo grasso tropicale negli alimenti.

RSPO, greenwashing e orrori

La ‘certificazione sostenibile’ è un falso storico. La sostenibilità dell’olio di palma, teorizzata dai grandi produttori in accordo con le multinazionali che aderiscono a RSPO (Roundtable for Sustainable Palm Oil production), è invero smentita dai fatti.

Più di un milione di ettari di coltivazioni – pari all’estensione dell’intero Abruzzo – sfugge alle dichiarazioni dei primi 50 produttori di olio di palma iscritti a RSPO. Come dimostrato dalla ‘Zoological Society of London’, nel suo rapporto ‘Hidden lands, hidden risks (2017).

Sfruttamento minorile e schiavitù – nelle coltivazioni riconducibili a Wilmar, uno dei fondatori di RSPO – sono documentati da Amnesty International nel rapporto ‘Il grande scandalo dell’olio di palma’ (2017). Oltreché da RAN (Rainforest Action Network), la quale ha fatto luce su Indofood, partner di PepsiCo, e i suoi orrori. Distruzione di ecosistemi, bieco sfruttamento di lavoratori anche bambini, esposti a sostanze chimiche tossiche. (4)

Incendi e deforestazioni proseguono, per lasciare spazio alle monocolture. Greenpeace ha dimostrato come oltre 4 mila ettari di foresta pluviale (un’area equivalente alla metà di Parigi) siano stati distrutti a Papua in meno di due anni (maggio 2015-aprile 2017). Ove la deforestazione prosegue, ad opera dei soliti fornitori di Big Food.

Il leader globale nel  commercio di olio di palma, Wilmar International – membro RSPO dal 2005 e fornitore di Big Food (Ferrero inclusa) – è campione anche nel greenwashing. Greenpeace ha mostrato come gli abomini dei diritti umani e ambientali siano stati semplicemente ‘trasferiti’ sulla consorella Gama, di proprietà delle stesse famiglie. Mediante cessione di almeno 21.500 ettari di foresta pluviale o torbiera (un’area pari al doppio di Parigi), frattanto distrutti.

10 soli palmocrati, con l’appoggio di entità aziendali correlate e strutture proprietarie opache, sono responsabili del 75% di tutta la deforestazione in Indonesia, Malesia e Papua Nuova Guinea. (5) La certificazione RSPO si conferma perciò essere una colossale operazione di greenwashing. E l’organizzazione, anziché aggiornare lo schema con requisiti più severi e garantire l’efficacia dei controlli, ha introdotto nel 2016 un secondo schema di certificazione. Un protocollo, ‘RSPO Next’, a cui oggi aderisce un solo produttore, in Colombia. L’ennesima presa in giro dei consumAttori globali.

Le denunce presentate dalle comunità indigene nei confronti di vari membri di RSPO vengono insabbiate, disperse in un sistema farraginoso che non pare condurre ad alcuna soluzione. Le milizie pubbliche e private a servizio dei palmocrati, viceversa, non esitano a reprimere nel sangue le resistenze dei contadini che si ostinano a proteggere le terre oggetto di rapina. Come è accaduto a dicembre 2017 in Cambogia, su terreni acquisiti dalla citata Wilmar International.

Gli omicidi degli attivisti nell’agroindustria hanno frattanto superato persino l’industria mineraria. 197 uccisioni, nel 2017, tra difensori della terra e dell’ambiente (dati ONG Global Witness). 312 i difensori dei diritti umani uccisi in un solo anno. Ma ai palmocrati tutto sembra consentito. Secondo Olam International, altro membro di RSPO, ‘ottenere piantagioni ad alto rendimento richiede una base iniziale appropriata’ e ‘non basta il terreno non boschivo per avviare tale sviluppo’. Bisogna dunque proseguire la rapina e devastazione delle foreste, a ogni costo.

Crimini e connivenze, industria e politica in Europa

L’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici afferma la necessità di arrestare le deforestazioni per limitare i cambiamenti climatici, e l’Europa sin dal 2008 si è impegnata ad arrestare la perdita delle foreste entro il 2030 e dimezzarla entro il 2020. Ma finora né le istituzioni politiche, né le industrie aventi sedi in UE hanno fatto alcun concreto passo avanti.

Il Parlamento europeo, è bene ricordare, ha invece prorogato di dieci anni – fino al 2030 – la progressiva eliminazione dell’olio di palma dai biocarburanti. Gli eurodeputati che dovrebbero rappresentare i cittadini del vecchio continente hanno così deciso di privilegiare gli interessi di una plutocrazia asiatica che porta avanti crimini internazionali contro l’umanità ed ecocidi in Asia, Africa e America Latina.

La complicità dei politici europei è manifesta laddove si consideri che i livelli massimi di importazioni di palma per gli anni a seguire vengono riferiti non alle quote attuali ma a quelle che saranno raggiunte nel 2019, dopo ulteriori incontrollati scempi. 

La Commissione europea si accinge poi a concludere i negoziati per un accordo di partenariato con l’Indonesia che potrebbe abbattere i dazi sull’import di olio di palma. E poiché la Commissione Juncker ambisce a definire l’accordo prima dello scadere del suo mandato, è realistico prevedere nel 2019 un ulteriore aumento delle importazioni a uso biodiesel che si ripercuoteranno sulle quote ammesse entro il 2030.

I politici italiani di area PD-FI del resto, hanno più volte giurato fedeltà ai palmocrati. Gli ex-ministri Gian Luca Galletti (Ambiente) e Andrea Olivero (Agricoltura, vice) si erano ‘sperticati’, rispettivamente, a favore della certificazione RSPO e contro la demonizzazione del palma. (6) I forzitalici Alberto Cirio e Fulvio Martusciello si sono invece distinti a Strasburgo per il maldestro tentativo di vietare l’indicazione ‘senza olio di palma sulle etichette alimentari.

Dario Dongo

Note

(1) Secondo i dati della Commissione europea (2013), il 40% della deforestazione globale va attribuito alla conversione dei terreni in monocolture di palma da olio. La metà delle superfici disboscate illegalmente servono ad alimentare la sola domanda europea del grasso tropicale

(2) Cfr. inchiesta di RAN, OPPUK, ILR (2015)

(3) Dati Center for International Forestry research

(4) RAN, rapporto ‘The human cost of conflict palm oil revisited’, 2017

(5) V. CRR (Chain Reaction Research), rapporto ‘Shadow companies present palm oil investor risks and undermine NDPE efforts’ (2018), su https://chainreactionresearch.com/report/shadow-companies-present-palm-oil-investor-risks-and-undermine-ndpe-efforts/

(6) Cfr. http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/postit/Ferrero/2016/10/27/alimentare-olivero-no-a-terrorismo-della-disinformazione_b9cca485-e5a2-4b81-95e7-b874a56caf60.htmlhttp://www.repubblica.it/economia/2016/10/27/news/la_nutelle_difende_l_olio_di_palma_e_il_ministero_dell_agricoltura_la_appoggia-150697103/https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-viceministro-spalmabile-crociato-dellolio-di-palma/

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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