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Malesia, olio di palma

Malesia e Indonesia sono i protagonisti della filiera dell’olio di palma, esprimendo l’85% della produzione globale. Abbiamo già scritto qualcosa sulle operazioni internazionali dei colossi malesi , legate al business del palma. Denunciando altresì la propaganda ingannevole del grasso tropicale portata avanti dallo stand della Malesia in occasione di Expo Milano 2015. Proviamo ora ad approfondire la situazione in essere, in quest’area del Sud-Est asiatico.

Il business globale dell’olio di palma

Il WWF (World Wild Life) ha pubblicato un elenco dei beni di consumo quotidiano realizzati con ampio utilizzo dell’olio di palma. Un elenco che supera ogni immaginazione, in quanto comprende non solo una moltitudine di prodotti alimentari – ivi compresi quelli destinati ai bambini – ma anche detergenti per la casa, creme saponi e shampoo, lucida labbra, biodiesel e combustibili per l’aviazione.

Almeno 163 categorie di prodotti sono realizzati mediante impiego di olio di palma e suoi derivati. Tra esse, l’82% ricade nell’ambito dei prodotti alimentari (1) e il restante 28% in categorie diverse, come quelle sopra accennate. Si tratta perciò, fuor di dubbio, di un business colossale. Non paragonabile, per vastità d’impiego, a qualsiasi altra fonte di grassi e neppure ai derivati del petrolio (con i quali il palma pure compete). Non v’è quindi da stupirsi se Big Palm porti avanti i propri interessi senza badare ad altro, anche sul fronte della lobby.

Olio di palma, colonialismo e neo-colonialismo. Indonesia

La storia dell’olio di palma affonda le sue radici nel colonialismo europeo dell’Africa e delle Indie, e ritrova attualità con forme di neo-colonialismo esercitate dai colossi globali nei confronti dei popoli più deboli. Nel 1848, il regno d’Olanda portò in Indonesia (allora le Netherlands East Indies) le prime piante di palma da olio, originaria dell’Africa centrale. (2) Di lì a breve, le prime piantagioni a uso ornamentale ai lati delle strade di Deli (Nord Sumatra, Indonesia) e l’avvio delle produzioni su larga scala di olio di palma, dal 1870 a seguire. La rivoluzione industriale.

Socfin (Société Financiere des Caouchoucs Field Societe Anonyme) – ora nelle mani del magnate francese Vincent Bolloré, e tutt’oggi al centro di polemiche per rapine delle terre finalizzate alla coltivazione di palma da olio (3) – venne fondata nel 1909 dal pioniere belga Adrien Hallet, assieme a uno dei rampolli della dinastia Bunge. E proprio a Socfin si deve il profittevole avvio delle piantagioni su scala industriale, a Sumatra e ad Aceh, che in pochi anni hanno reso l’Indonesia primo produttore degli oli di palma e palmisto.

La Malesia ha assunto la leadership globale sul palma nel 1957. (4) E ha preso possesso di vaste piantagioni in Indonesia a metà degli anni ‘90, quando il Presidente Suharto è stato costretto dall’IMF (International Monetary Fund) a offrire le piantagioni a investitori esteri. (5)

A partire dal 1998, anno della caduta di Suharto, gli investitori malesi hanno avuto mano facile nell’acquisto a prezzi stracciati dei terreni in Indonesia. Al punto che oggi 45 investitori malesi controllano di fatto oltre 2 milioni di ettari di coltivazioni indonesiane di palma – degli 11,5 totali, tuttora in aumento (6) – anche attraverso joint venture e fusioni societarie. (7)

Olio di palma e Malesia, tra ieri e oggi

Nel 1870 il governo del Regno Unito portò le prime piante di palma a uso ornamentale nell’allora British Malaya.

Sime Darby & Co – gruppo tuttora oggetto di svariate denunce per rapina delle terre legate a piantagioni di palma (8) – venne fondato nel 1910 da William Middleton Sime, Henry d’Esterre Darby e Herbert Milford Darby. Fin dagli inizi, la società si è dedicata alla coltivazione di palma da olio e al commercio dei relativi frutti. Socfin a sua volta stabilì il primo vivaio su scala industriale (breeding center) a Kuala Selangor, Malaya, nel 1911-1912.

Nel 1957 la Malesia, come si è visto (v. precedente paragrafo), raggiunse il predominio sulla produzione mondiale di palma. Negli anni a seguire le piantagioni vennero estese in misura considerevole, e il Ministero dell’Agricoltura istituì il Palm Oil Genetics Laboratory, in collaborazione con ricercatori dell’Africa occidentale. Nel 1963 vennero riconosciuti i governi autonomi di Sarawak e Borneo – ove le coltivazioni hanno avuto e hanno tuttora ulteriore sviluppo, a seguito di land grabbing e deforestazioni di foreste pluviali – oltreché di Singapore.

Nel 1979 il Malaysian Agricultural Research and Development Institute (Mardi), sotto l’influsso dei grandi produttori di palma, istituì il Palm Oil Research Institute of Malaysia, ora Malaysian Palm Oil Board. La strategia di sviluppo industriale si è così focalizzata su questa produzione, che ha attratto investitori stranieri e forza lavoro dei Paesi vicini.

Nel 2000 la crescente devastazione di foreste torbiere – con grave impatto sull’ambiente e la salute delle popolazioni – ha poi indotto il governo ad assumere alcune misure di salvaguardia. Misure forse timide, che comunque hanno stimolato i colossi malesi a orientarsi su nuovi territori di conquista, in Sud-Est asiatico come in Africa centrale e Centro-Sud America.

La Malesia è oggi la cabina di regia del business globale del palma. Sul piano commerciale – laddove Bursa Malaysia è la piattaforma di riferimento per i Crude Palm Oil Futures (FCPO) – e quello regolatorio. Atteso che, dal 2008, Kuala Lumpur ospita le riunioni annuali della Commissione del Codex Alimentarius incaricata di definire e aggiornare gli standard internazionali di riferimento su oli e grassi destinati al consumo umano. (9)

Si spiega così l’accanimento dei lobbisti che anche in Italia, per conto della Malesia, intervengono su tutti i fronti per contrastare le iniziative di sensibilizzazione sui crimini internazionali che hanno tuttora luogo per mantenere ed espandere le produzioni di questo grasso tropicale. Rapina delle terre, deforestazioni di foreste vergini, emissioni di gas-serra, diffuso impiego di pesticidi neurotossici vietati nei Paesi di destino dell’olio di palma, schiavitù (10) e sfruttamento del lavoro minorile.

Dario Dongo

Note

1) Come definiti dal reg. CE 178/02, articolo 2

2) Precisamente, due degli steli piantati nel Botanical Garden di Bogor (Indonesia) provenivano da Bourbon (Mauritius), gli altri due dallo Hortus Botanicus di Amsterdam)

3) V. https://news.mongabay.com/2015/06/coordinated-protests-hit-socfin-plantations-in-four-countries/, https://www.farmlandgrab.org/post/view/27006

4) La produzione in Indonesia aveva subito un primo drastico calo durante l’occupazione giapponese, dal 1942 al 1945. Nel 1957 il governo Sukarno ordinò l’espropriazione manu militari delle piantagioni di proprietà straniera. Affidando la loro gestione – con scarsi risultati in termini di produttività – ai militari, Buruh Militer, Military Workers)

5) L’offerta dell’industria nazionale del palma a investitori internazionali fu la contropartita accordata dal presidente Suharto all’IMF – nella fatidica Letter of Intent (LOI) di allora – per ottenere la copertura del deficit che si ripresentava con periodicità annuale. Fino all’irreparabile tracollo economico che ha messo fine alla ‘era Suharto’

6) L’Indonesia frattanto, dal 2008, ha recuperato la leadership globale nella produzione di olio di palma

7) Secondo Mahendra Siregar, responsabile di The Investment Coordinating Board of the Republic of Indonesia/Badan Koordinasi Penanaman Modal, gli investimenti stranieri – Malesia, Singapore, Cina, Europa, USA – sulla filiera del palma hanno raggiunto il 92% degli investimenti stranieri complessivi nel Paese, nel 2012

8) Si veda, ad esempio, https://www.farmlandgrab.org/post/view/21381

9) Codex Committee on Fats and Oils (CCFO)

10) Si veda un eloquente video, su https://www.youtube.com/watch?v=TmwvHf0nM7E

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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