HomeMercatiDOP e IGP, 1 su 3 non ha un sito web

DOP e IGP, 1 su 3 non ha un sito web

L’Italia vanta il primato mondiale di prodotti agroalimentari e vini con indicazioni geografiche registrate. Solo il 61% degli 822 prodotti registrati però dispone di un sito web. È quanto rivela il Rapporto DOP 2018 di Ismea e Qualivita. Contraffazioni e Italian sounding, non a caso, dilagano.

AAA sito web cercasi

Fra i 320 prodotti italiani con ‘Geographical Indication’ (GIs) riconosciute, 3 delle 4 new entry 2018 sono ancora prive di un sito web:

– Lucanica di Picerno IGP (insaccato a base di carne di maiale, Basilicata), 

– Pitina IGP (polpetta di carne friulana),

– Marrone di Serino IGP (castagna campana).

Il Cioccolato di Modica IGP (Sicilia) – unico cioccolato al mondo a beneficiare di questo riconoscimento – è invece dotato di un apposito sito web.

Nel settore vinicolo, i siti web dei Consorzi tendono poi a essere male indicizzati sui motori di ricerca. Vale a dire che, digitando il nome del vino DOC e DOCG, non è facile trovare il sito ufficiale del Consorzio nella prima pagina dei risultati della ricerca. L’investimento sull’identità digitale è perciò insufficiente (o comunque inefficace), anche per i vini che esprimono i maggiori valori di produzione ed export. Qualche esempio a seguire.

Brunello di Montalcino. Valore alla produzione (sfuso) 72 milioni di euro. La ricerca su Google mostra il sito del Consorzio solo sulla seconda pagina dei risultati. Dove l’eccellenza italiana condivide lo spazio assieme a vini diversi, quali Rosso di Montalcino, Moscadello e Sant’Antimo.

Il vino Montepulciano d’Abruzzo DOP, valore alla produzione 63 milioni di euro, è presentato nel sito del consorzio insieme agli vini DOP Abruzzo (Cerasuolo d’Abruzzo, Trebbiano d’Abruzzo e Villamagna) nel sito generico www.vinidabruzzo.it. Emerge solo in seconda pagina nella ricerca per parola-chiave.

Il Trentino DOP, che pur vale 51 milioni di euro, è invece del tutto introvabile sul web, se cercato con il suo nome.

DOP e IGP italiane sul web

La disattenzione dei consorzi di tutela delle DOP e IGP italiane verso il web è anacronistica. I Big Data rivelati dal Rapporto DOP 2018 mostrano infatti che il Made in Italy alimentare è celebrato sui social network (soprattutto Instagram) a livello planetario. Foto e ricette sono pubblicate soprattutto in USA, oltreché in Inghilterra, Germania, Brasile e Canada.

Le prime 100 GIs italiane hanno raccolto 2,4 milioni di citazioni. I prodotti più richiamati sono in essenza ‘i soliti noti’. Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Grana PadanoProsecco, Chianti, Barolo. Non a caso anche quelli più vocati alla comunicazione sul web.

social network sono altresì poco presidiati dai 275 Consorzi di tutela. Solo 420 – su 822, vini compresi – hanno almeno un profilo social (ancora una volta, prevalentemente su Instagram).

Web, tutela dai falsi e valorizzazione

L’identità digitale e social delle DOP e IGP italiane è indispensabile per condividere i valori legati a tradizioni e territori, oltre a consentire ai consumatori globali di distinguere i falsi rispetto ai prodotti originali. (1) Solo così – nonché con l’evidenza della sede dello stabilimento di produzione in etichetta – si potrà davvero valorizzare le nostre eccellenze.

Contraffazioni e Italian sounding vanno combattuti in primis con la comunicazione virale di informazioni affidabili sui prodotti autentici, attraverso l’unico strumento che può davvero raggiungere tutte le case e gli smartphone dei foodies globali, il web. Proprio perché è lì che si diffondono i falsi, dai wine kit all’impunito Cambozola tedesco. Senza dimenticare i prodotti ‘Prego‘ di Campbell’s, che fecero scandalo a Expo 2015. 

Contraffazioni e controlli

I controlli sulle contraffazioni ed evocazioni delle DOP e IGP in Europa, come si è già denunciato, sono del tutto carenti. La Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, del resto, ha affidato le frodi a un ‘centro di conoscenza’ affidato al Commissario per l’Istruzione e la Cultura (sigh!).

Gli accordi di partenariato economico portati avanti da Bruxelles, del resto, sono valsi a svendere la tutela delle nostre eccellenze. Il Made in Italy è stato tradito, nell’accordo CETA con il Canada come nel JEFTA con il Giappone. Senza opposizione né dei Consorzi – ai quali pure avevamo inviato una lettera aperta – né dell’attuale governo italiano.

Quanto ai controlli in Italia, il Rapporto DOP 2018 non comunica l’esito delle attività dei certificatori. Riferendo solo alle indagini svolte in ambito dei controlli pubblici ufficiali, nei primi 10 mesi del 2018. In dettaglio:

– ICQRF (Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari), 9.616 controlli alle produzioni, 47% gli operatori irregolari e 225 notizie di reato.

– CUFAA (Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari, Arma dei Carabinieri), 304 imprese controllate (alla produzione), 15 contestazioni in sede penale,

– RAC (Comando per la tutela agroalimentare, Arma dei Carabinieri, già NAC), 399 imprese controllate, 14 notizie di reato. 

Un tesoro da 15,2 miliardi di euro

Il comparto delle GIs italiane coinvolge più di 197mila operatori. Nel 2018 ha superato i 15,2 miliardi di euro di valore alla produzione (circa 7 miliardi l’alimentare e 8,3 miliardi i vini), pari al 18% del valore economico complessivo dell’agroalimentare nazionale. Rispetto a quest’ultimo oltretutto, il settore delle IG è andato meglio (+2,6% rispetto al +2,1% totale).

I consumi interni aumentano nella GDO (Grande Distribuzione Organizzata), +6,9% gli alimenti (a peso fisso) e +4,9% il vino. E l’export continua a crescere, fino a raggiungere gli 8,8 miliardi di euro (+4,7%), vale a dire il 21% dell’export agroalimentare italiano. Grazie anche all’ecommerce, ove tuttavia anche le frodi prosperano senza controllo.

Marta Strinati e Dario Dongo

Note

(1) Il nostro sito in 8 lingue è stato creato anche per promuovere un’informazione qualificata sulle filiere agroalimentari italiane nel mondo. Ma il web, come si è visto, raccoglie ancora scarso interesse rispetto alle ben più onerose ‘missioni all’estero’.

Marta Strinati
+ posts

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

+ posts

Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

Articoli correlati

Articoli recenti

Commenti recenti

Translate »