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Banche del cibo, un rimedio green alla fame

Ridurre gli sprechi alimentari distribuendo cibo ai bisognosi. Il ciclo virtuoso di solidarietà attivato dalle banche del cibo, come il Banco Alimentare in Italia, mostra la sua efficacia nel rapporto ‘Waste not, Want Not – Toward Zero Hunger: Food Banks – A Green Solution to Hunger‘, pubblicato dalla rete globale delle Banche del cibo (GFN, ‘Global FoodBanking Network’). (1) In attesa che gli Stati membri ONU assumano le proprie responsabilità per garantire i diritti umani universali di accesso al cibo – sicuro, nutriente ed equilibrato – e all’acqua potabile

Meno rifiuti, meno fame

Il modus operandi delle banche del cibo è noto. Le organizzazioni raccolgono presso gli operatori della filiera agroalimentare (imprese agricole e di trasformazione, distributori) i cibi invenduti o comunque prossimi alla scadenza. Altri alimenti vengono raccolti presso gli stessi consumatori e le comunità (es. centri culturali, associazioni, parrocchie), nelle giornate dedicate. Altri cibi essenziali vengono acquistati grazie alle donazioni ricevute. Le organizzazioni provvedono poi a distribuire gli alimenti alle fasce deboli della popolazione, mediante consegna di pacchi alimentari e servizio di pasti nelle mense caritatevoli.

La rete globale opera in 57 paesi attraverso organizzazioni più o meno complesse, che fanno capo a tre macro-organizzazioni:

– il ‘Global FoodBanking Network’ (GFN), attivo in 30 Paesi, fornisce aiuti alimentari a 9 milioni di persone,

– la ‘European Food Banks Federation’ (FEBA), la federazione delle 24 ‘Food Bank’ che operano in Europa,

– ‘Feeding America’, fondata nel 1979 negli Stati Uniti.

Complessivamente, le banche del cibo recuperano ogni anno 2,68 milioni di tonnellate di alimenti commestibili per re-distribuirli a 62,5 milioni di persone. Il solo salvataggio di tali derrate dallo spreco alimentare cui altrimenti sarebbero destinate comporta un risparmio annuo di oltre 10 milioni di tonnellate di CO2, pari alle emissioni di 2,2 milioni di automobili (di poco inferiore al numero di autoveicoli circolanti nell’intera regione Puglia, ndr).

Il Banco Alimentare in Italia

Il Banco Alimentare è protagonista in Italia di una rete di solidarietà che è stata attivata nel 1989 e oggi opera mediante 21 organizzazioni sull’intero territorio, grazie al lavoro di 1.878 volontari e al fattivo contributo di molti altri. Incluse le famiglie e i singoli consumatori che a loro volta offrono alimenti, in occasione delle giornate di raccolta (oltre 8 mila ton, il 24.11.18). Oltre alle donazioni in denaro e al ‘5 per mille’.

Il Banco alimentare impiega tutte le risorse economiche per raccogliere e redistribuire alimenti, con un flusso in continua crescita. Nel 2017, ha raccolto 91 mila ton di alimenti che sono stati redistribuiti a un milione e mezzo di persone attraverso le oltre 8 mila strutture caritative convenzionate.

Etichette chiare, minori sprechi

Lo spreco alimentare rimane un’emergenza irrisolta. È indispensabile adottare un approccio sistemico, per affrontare i temi di sovrapproduzione e altre storture di un sistema che tuttavia tende a preservare le proprie inefficienze per nutrire gli interessi speculativi dei suoi protagonisti.

I consumAttori, a loro volta, devono essere più attenti a ridurre gli sprechi. Nella conservazione dei cibi, ma ancor prima nei loro acquisti. Proprio in questa fase, sottolinea GFN, matura una significativa quota di spreco alimentare a causa della scarsa comprensione delle date riportate sulle confezioni degli alimenti.

Un alimento su 5 viene erroneamente gettato tra i rifiuti dai consumatori, per la confusione generata da indicazioni di durabilità dei prodotti che si prestano a equivoci. Espressioni come ‘Best by’, ‘Best before’, ‘Use by’, ‘Sell by’ vengono spesso fraintese e causano una perdita di alimenti ancora commestibili che si stima, a livello globale, nel 20% degli acquisti.

L’equivoco sulle etichette ha luogo anche in Europa e in Italia, ed è indubbia causa di spreco. Se da un lato le notizie sulla durabilità dei prodotti sono chiare in etichetta degli alimenti confezionati (preimballati), non si può dire altrettanto per i c.d. preincarti. In breve:

– ‘consumare preferibilmente entro‘ (‘best before’, in inglese) è la dicitura usata per designare il c.d. TMC (termine minimo di conservazione. Vale a dire il periodo entro il quale l’operatore suggerisce di consumare il cibo, per apprezzarne al meglio le qualità organolettiche. Nei periodi successivi, l’alimento può a volte risultare meno apprezzabile, ma rimane sicuro,

– ‘consumare entro‘ (‘use by’) è invece il termine perentorio che indica la data di scadenza, nei prodotti rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico. Superata tale data, il prodotto deve venire ritirato dagli scaffali poiché potrebbe presentare problemi di sicurezza alimentare,

– alimenti preincartati. I cosiddetti preincarti ‘ai fini della vendita diretta’ – es. fette di formaggio avvolte nella pellicola e inserite in banco frigo con la sola etichetta sintetica del distributore – rimangono spesso enigmatici. La responsabilità dei distributori è stata chiarita, con il d.lgs. 231/17, in merito alle notizie da riferire su alimenti sfusi e preincarti.

E tuttavia, né il legislatore europeo né quello italiano hanno esplicitato il dovere di citare sui preincarti il termine entro il quale l’alimento debba venire consumato. Viene così a mancare una notizia essenziale ai fini del consumo del prodotto in https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/controlli-il-ruolo-dellamministrazione-sanitaria/, cui talora si aggiunge l’ulteriore incertezza della data di preincarto’, non prevista dal ‘Food Information Regulation’ e perciò illegale. Oltreché causa, appunto, di sprechi.

#Égalité!

Note

(1) Il Rapporto è disponibile su http://www.foodbanking.org/wp-content/uploads/2019/03/GFN_WasteNot.pdf

Marta Strinati
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Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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