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Ristoranti di qualità, cosa significa?

Great Italian Food Trade inaugura una nuova rubrica, RistorAzione. Dedicata a un settore ove il lavoro è frenetico, la competizione inferocita da licenze libere e servizi web, le condizioni d’ingaggio innovate da coupon e servizi a domicilio. Alla ricerca di paradigmi di qualità, possibilmente ispirati ai valori dell’homo sapiens sapiens anziché dagli algoritmi.

RistorAzione Capitale, focus materie prime e semilavorati

L’indagine parte da Roma Capitale, meta indiscussa di viaggi e turismo oltreché ‘melting pot’ di culture e popoli, italici e non. L’obiettivo iniziale è provare a comprendere i criteri adottati nei ristoranti di fascia media per la scelta e l’approvvigionamento di materie prime e semilavorati.

Gli ordini sono spesso eseguiti online, affidandosi ai cataloghi delle società di distribuzione. Le quali puntano sulla qualità del servizio di consegna e su offerte commerciali che rispecchiano i trend di mercato. E a loro volta stimolano l’inserimento di nuovi piatti che tendenzialmente ricorrono, a fronte di un’offerta discreta ma non ampissima.

A compiere gli acquisti, nelle realtà più organizzate, non sono gli chef o i titolari dei ristoranti ma impiegati con competenze commerciali, in qualche modo assimilabili ai buyer della GDO (Grande Distribuzione Organizzata). I quali, inevitabilmente legati ai numeri, tendono a inseguire il risparmio più che a riconoscere il valore che approvvigionamenti di qualità possono riflettere sull’esercizio stesso.

La ristorazione di qualità si affida invece direttamente a produttori specializzati. I quali forniscono straordinarie selezioni di materie prime e semi-lavorati, in una logica di servizio quasi individualizzato che si rivolge agli chef. Una scelta necessaria allorché si vogliano mantenere diversi piatti in menù, senza poter disporre di nutrite squadre di aiuti né rinunciare all’esclusività delle portate.

RistorAzione, filiere certificate e valori

L’origine dei prodotti e le certificazioni delle filiere DOP, IGP rappresentano oggi senza dubbio un asset della ristorAzione in Italia. Tenuto conto sia del gran numero di filiere certificate (se ne contano ormai quasi 300, senza pari in Italia), sia del loro apprezzamento da parte degli avventori. E così, la facile ‘messa a valore’.

I ristoratori e i cuochi più motivati si affidano ai produttori specialisti proprio perché solo essi investono sulla qualità della filiera di approvvigionamento e sono in grado di condividerne il valore, che può venire trasmesso anche al consumatore finale.

Non ci si può limitare a riprendere i messaggi di sterili schede tecniche, insomma, se si vuole proporre il valore delle materie prime a sostegno della qualità nella ristorAzione moderna. Serve invece la narrazione dei territori, i microclimi e le fatiche che stanno dietro all’ingrediente caratteristico.

La narrazione, del resto, non può più basarsi sulle sole parole dell’oste ma deve invece lasciare traccia. Sui menù e magari anche con strumenti più moderni, senza inibizione verso gli smartphone ove ormai tutti consultano tutto, per l’identikit della realtà che lo circonda.

L’origine delle carni è poi una delle più gravi lacune d’informazione. Possiamo vantare una zootecnia di eccellenza e pur tuttavia, nella ristorazione, si continua a giocare al ribasso. Fino a quando tale notizia diverrà obbligatoria, come è già in Francia dal 2002 e noi stessi chiediamo, al fianco del Consorzio Italia Zootecnica.

RistorAzione, il ‘vegin attesa del bio

Vegetariano e vegano sono ormai immancabili nei menù. Comprensibilmente, a fronte di una crescente attitudine ‘erbivora’, sia pure non esclusiva, dei consumatori italiani e internazionali. Non solo ‘veg’ ma ‘flexitarian’, come si dice in gergo.

La scelta di alternare fonti proteiche vegetali a quelle di origine animale si associa alla ricerca di prodotti relativamente nuovi, per composizione e formato. Le tradizioni popolari e quelle macrobiotiche, dalla pasta e ceci alle fettine di seitan, cedono così il posto ai ‘burger’ vegetali e altre novità contrassegnate ‘veg’.

Il biologico invece – a dispetto di una crescita continua delle vendite, a doppia cifra – stenta ancora a emergere sui menù. Un vero peccato, un’opportunità inespressa, considerato che:

-i consumAttori sono sempre più sensibili ai pericoli legati ai pesticidi, come il ‘caso glifosate’ insegna. Così come al benessere animale, che il biologico garantisce,

-la filiera del bio meglio d’ogni altra contribuisce alla tutela di habitat naturali e biodiversità, i nostri veri tesori. E se ‘la verdura dell’orto ha un sapore diverso’ lo si deve in buona parte al rispetto della sua natura, non offesa dagli agrotossici.

Senza glutine, con prudenza

Il mercato dei prodotti ‘senza glutine’ a sua volta vive una crescita esponenziale.

Il 10% della popolazione europea segue una dieta senza glutine, sebbene la celiachia e le allergie ai vari cereali che lo contengono colpiscano in media solo l’1% degli individui.

Il fenomeno ‘gluten free’ non va quindi attribuito non all’incremento delle diagnosi di celiachia, bensì alla diffusione di una moda scriteriata, sobillata dalla disinformazione di chi vi specula sopra. Una moda oltretutto pericolosa, per chi non vi sia costretto da esigenze sanitarie.

Dichiarare ‘senza glutine’ comporta tuttavia una precisa responsabilità in capo al ristoratore. Il quale dev’essere effettivamente in grado di garantire che il cibo presentato in quanto tale sia del tutto esente da contaminazioni. (1)

Igiene e sicurezza, informazione su allergeni e congelati, benessere animale

Igiene e sicurezza sono alla base delle responsabilità dei ristoratori. Ne abbiamo già offerto l’ABC, evidenziando in più occasioni quanto sia cruciale fornire informazione scritta e di dettaglio su ogni allergene presente in ciascun piatto. (2) L’informazione scritta, tra l’altro, è obbligatoria anche sui prodotti decongelati.

Le sanzioni amministrative per il difetto di notizia scritta su allergeni possono raggiungere i 24.000€, salvo che il fatto costituisca reato. Il reato spesso ricorre anche nei casi di cibi decongelati presentati come freschi (è celebre il ‘caso Cannavacciuolo‘) o ‘abbattuti’.

Il benessere animale, infine, interessa i ristoratori allorché si tratti di conservare i crostacei vivi. Vivi in padella va bene, ma non in frigo.

Sulla RistorAzione, insomma, avremo qualche notizia e riflessione da condividere.

Dario Dongo

Note

(1) NB: i consumatori sensibili al glutine che ne assumano anche solo minime quantità a causa di contaminazioni crociate possono subire reazioni avverse gravi, anche letali. In tali scongiurate ipotesi, il titolare del pubblico esercizio può incorrere in responsabilità per i delitti di lesioni o omicidio, a titolo colposo o anche doloso

(2) Si vedano al riguardo la circolare Min. Sal. 6.2.15 e le Linee guida della Commissione europea

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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