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Origine ingrediente primario, vincitori e vinti

Lo  schema di regolamento della Commissione europea sull’indicazione d’origine dell’ingrediente primario consolida la vittoria di Big Food sull’agricoltura e i consumatori europei. Vediamo perché, con una serie di casi pratici.

– Caso 1, Italian sounding (o French sounding) su prodotti realizzati in altri Paesi 

Nei casi di falsi ‘Made in’ – vale a dire, prodotti che con parole, immagini o simboli, anche attraverso i rispettivi marchi, suggeriscono la provenienza da un Paese diverso rispetto a quello di produzione – quest’ultimo deve venire indicato in etichetta.

Ad esempio, la pasta e i sughi ‘Miracoli’ di Kraft, che suggeriscono ‘italianità’ con tanto di tricolore, devono riportare la dicitura ‘Made in Germany‘ . Altrettanto dicasi per i prodotti a marchi ‘Prego’ di Campbell’s e ‘ Dolmio’ di Mars, che l’Italia non l’hanno vista neppure in cartolina.

Almeno in teoria, poiché nei fatti non si ha notizia di alcuna sanzione nei confronti dei citati colossi, né dei tanti altri che speculano e continuano a ingannare i consumatori con i falsi ’Made in’. (1)

– Caso 2, Italian sounding (o French sounding) su prodotti effettivamente realizzati nel Paese suggerito ma con ingrediente primario di diversa origine 

Qualora l’origine del prodotto sia dichiarata, ma essa non coincida con quella dell’ingrediente primario, quest’ultima deve venire dichiarata. O comunque si deve specificare la diversità delle origini (es. ‘prosciutto italiano con carne di suino tedesca). Questa è la regola contenuta nel regolamento UE 1169/11, all’articolo 26.2

La Commissione europea ha però escluso i marchi registrati dall’applicazione di tale regola. E così, sarà sufficiente concentrare la suggestione della nazionalità di un prodotto all’interno di un marchio per eludere l’obbligo di indicare la diversa origine dell’ingrediente primario.

Di conseguenza, la diversa provenienza dell’ingrediente primario (ad esempio, la coscia tedesca di un prosciutto) potrà venire nascosta sulle etichette di prodotti che rechino un marchio  ‘Italian sounding’, e relativo tricolore. Anche se la registrazione del marchio sia successiva all’entrata in vigore del regolamento in esame.

– Caso 3, IGP e altre indicazioni geografiche protette

Grazie all’esclusione delle IGP – e ogni altra indicazione geografica protetta (2) – dal regolamento di attuazione sull’obbligo di indicare la diversa provenienza dell’ingrediente primario su alimenti di cui venga vantata l’origine, sarà possibile continuare a nascondere l’origine della materia prima.

Esempi, la bresaola della Valtellina IGP potrà mantenere segreto sull’origine delle carni bovine utilizzate (in genere, da zebù brasiliano). Altrettanto per i pizzoccheri della Valtellina IGP, se pure il grano saraceno impiegato provenga dalla Cina. E lo speck dell’Alto Adige IGP, comunemente realizzato a partire da maiali tedeschi (o di altri Paesi).

– Caso 4, prodotti italiani già soggetti all’indicazione obbligatoria d’origine delle materie prime

Gli obblighi finora applicati in Italia – per quanto attiene all’indicazione d’origine di grano e semola nella pasta, latte nei prodotti lattiero-caseari, riso, pomodori nelle relative conserve –  perderanno automaticamente efficacia, a decorrere dalla data di applicazione del regolamento europeo di attuazione dell’articolo 26.2 del Food Information Regulation (reg. UE 1169/11). (3)

Gli operatori italiani (industrie, PMI, Grande Distribuzione Organizzata sui prodotti a private label) che negli ultimi mesi hanno dovuto adeguare le proprie procedure di produzione, stoccaggio materie prime ed etichettatura di decine di migliaia di referenze potranno tornare alle antiche usanze. Investimenti, procedure e tempo sprecati.

L’obiettivo dichiarato negli anzidetti decreti – quello di offrire notizie precise in merito alla provenienza delle materie prime impiegate su diverse categorie di prodotti – va così a farsi benedire una volta per tutte, con buona pace degli impegni e delle aspettative di ciascuno.

L’origine dell’ingrediente primario dovrà venire venire dichiarata solo qualora l’origine del prodotto sia vantata al di fuori del marchio registrato, nell’informazione commerciale, ed essa sia diversa da quella della materia prima prevalente (>50%).

La sua indicazione oltretutto potrà venire fornita nei termini più generici in assoluto. Fino al paradosso ‘UE e non-UE’, vale a dire ‘origine pianeta Terra’. Sottraendosi ai livelli di precisione che erano stati ipotizzati nelle precedenti bozze del regolamento, peraltro in linea con i decreti italiani.

Vincitori e vinti

A vincere è senza dubbio Big Food. La grande industria che trasforma gli alimenti con una logica meramente finanziaria, come fossero bulloni o vernici. La quale acquista le materie prime dove di volta in volta conviene di più, e vuole mantenere i consumatori all’oscuro.

Un’industria opaca che lavora in segreto nelle stanze di Bruxelles, col servile appoggio della Commissione, per negare ai consumatori i diritti ad essi riconosciuti dal legislatore europeo. (4) Questa opacità è sicuramente utile a Big Food, basti ricordare che Kraft è il primo produttore mondiale di Parmesan, mai prodotto in Pianura Padana né tantomeno a partire dal latte delle vacche reggiane.

In direzione opposta rispetto alla crescente sensibilità dei consumAttori verso la trasparenza delle informazioni relative agli alimenti e alle loro filiere. E così, mentre gli operatori più attenti lavorano alla blockchain per garantire al meglio la tracciabilità, i furbacchioni credono di potersi avvantaggiare dalle convenienze segrete. Ed è un peccato che molti industriali italiani cadano nella retorica di Big Food, senza capire che essi stessi ne verranno travolti.

I vinti sono i consumatori, ancora una volta beffati dal Commissario Vytenis Andriukaitis che calpesta i loro diritti per eseguire gli ordini delle grandi lobby. (5) In questo caso, si noti bene, oltrepassando i limiti della delega conferita dal legislatore europeo. (6) Con la maggior onta di travisare le regole, per mascherare la palese violazione della norma da attuare. (7)

Rimane da chiarire, in tutto ciò, il ruolo dei ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda. I quali, con la benedizione di Coldiretti, hanno portato avanti per un paio d’anni la messinscena di decreti a ‘obsolescenza programmata’. Forzando le procedure europee sulla doverosa notifica a Bruxelles dei progetti normativi nazionali, hanno al contempo illuso gli elettori sui decreti origine e costretto le industrie italiane ad adeguarvisi in tutta fretta. 

Sapevano bene, i ministri e la Coldiretti, che i decreti sull’origine di latte, pasta, riso e pomodori avrebbero avuto vita breve. E ora, come non bastasse, assistono passivamente alla vanificazione di quella pur basilare prescrizione europea sull’indicazione d’origine dell’ingrediente primario.

Dario Dongo

Note

(1) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 26.3. A ben vedere, la competenza sui controlli pubblici ufficiali è affidata alle autorità dei singoli Stati membri. Ed è improbabile che esse sanzionino gruppi industriali che producono occupazione e ricchezza sui loro territori nazionali, quand’anche essi ingannino i rispettivi consumatori (ad esempio, ricorrendo a Italian sounding o a French soundingsu prodotti realizzati in Germania o in Inghilterra o in Paesi dell’Est, come spesso accade)

(2) Ai sensi dei regolamenti UE sui regimi di qualità, l’OCM (Organizzazione Comune dei Mercati), le bevande spiritose e i liquori, i vini aromatizzati, e addirittura gli accordi internazionali (es. CETA)

(3) In virtù di apposite previsioni contenute in ciascuno dei decreti citati

(4) Il reg. UE 1169/11 – all’articolo 26.2, che la Commissione deve attuare in conformità alla delega ricevuta – prescrive l’obbligo di comunicare in etichetta l’origine o provenienza dell’ingrediente primario ove essa non coincida con l’origine dell’alimento. La norma in questione non prevede alcuna deroga, né a favore dei marchi registrati, né tantomeno delle indicazioni geografiche

(5) Ricordiamo i bluff del Commissario Vytenis Andriukaitis, sul contrasto alle frodi alimentari e  sulle definizioni degli alimenti vegetariani e vegani. Senza dimenticare la più grave omissione di atti d’ufficio, in relazione ai contaminanti cancerogeni e genotossici che il palma contiene in quantità 6-10 volte superiore ad altri grassi vegetali raffinati

(6) V. Nota 4

(7) Per escludere i marchi registrati dalla regola da attuare, Commissione invoca infatti la disposizione di cui all’articolo 26.3. La quale  semplicemente prescrive l’obbligo di citare l’origine del prodotto quando la sua presentazione – anche in ragione del marchio impiegato, come lo stesso Commissario ha già chiarito – possa indurre il consumatore in errore a tale riguardo. In relazione a tale norma peraltro, si noti bene, non è prevista l’adozione di atti di esecuzione (come invece asserito dalla Commissione nello schema di regolamento in esame)

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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