EatORIGINal! Unmask your food! L’iniziativa popolare europea – volta a ottenere l’indicazione obbligatoria d’origine sulle etichette di tutti i prodotti alimentari – ha raggiunto il suo primo traguardo. 1,1 milioni le firme raccolte in 7 Paesi membri. Alla Commissione ora spetta il compito di esaminare la proposta regolatoria. Vediamo come.
EatORIGINal! Unmask your food
L’iniziativa dei cittadini europei EatORIGINal! Unmask your food!, come si è visto era stata registrata dalla Commissione europea il 2.10.18. Entro i 12 mesi successivi, avrebbe dovuto raccogliere almeno 1 milione di firme in 7 Paesi membri. E il traguardo è stato ampiamente superato, con 100mila firme extra. Grazie all’impegno di tutti coloro, tra i quali siamo orgogliosi di includerci, che da anni si battono per ottenere la trasparenza in etichetta.
A Coldiretti va il merito di avere concepito e formalizzato l’iniziativa, sostenuta anche con il simbolico contributo di 20mila euro. Ma soprattutto di averla promossa in tutta Europa, mediante il sito www.eatoriginal.eu e i social network. Nonché attraverso una straordinaria rete di contatti che hanno consentito di raggiungere questo primo importante risultato.
La Commissione europea, a seguito della definizione di questa prima fase, dovrà ora assumere una decisione motivata al riguardo. Entro i prossimi tre mesi, l’istituzione di Bruxelles dovrà decidere se dare seguito alla proposta regolativa oppure se archiviarla. E non si può che attendere un riscontro positivo, prefigurandosi altrimenti una reazione popolare veemente. Da parte delle filiere agricole, ma anche delle imprese di trasformazione e distribuzione stabilite in Europa che negli ultimi anni hanno saputo cogliere il crescente interesse dei consumAttori verso la trasparenza in etichetta.
L’occasione sarà utile, tra l’altro, per meglio garantire la tracciabilità degli alimenti. La quale, si ricorda, è a tutt’oggi affidata a regole de minimis che in questi anni non sono bastate a mitigare il crescente incedere delle frodi alimentari in Europa.
Etichettatura d’origine, la proposta dei cittadini europei
La richiesta dei cittadini europei è chiara e semplice, senza lasciare spazio ad ambiguità o compromessi di sorta. ‘Invitiamo la Commissione europea a imporre la dichiarazione obbligatoria d’origine per tutti i prodotti alimentari al fine di impedire le frodi, tutelare la salute pubblica e garantire il diritto dei consumatori all’informazione’.
Gli obiettivi principali della proposta rispondono a quelle sacrosante esigenze di trasparenza in etichetta che da anni si invocano. Senza avere ricevuto alcun riscontro da parte dei precedenti Commissari, asserviti agli ordini di Big Food. Si chiede dunque di introdurre le regole che seguono:
– indicazione obbligatoria del Paese d’origine per tutti gli alimenti, trasformati e non trasformati, immessi nel mercato interno. Senza alcuna deroga, né per i marchi commerciali registrati, né le indicazioni geografiche. Bisogna mettere fine, una volta per tutte, alle inaccettabili deroghe introdotte con il regolamento ‘Origine Pianeta Terra’, (1)
– indicazione obbligatoria d’origine degli ingredienti principali, negli alimenti trasformati, qualora essa sia diversa dall’origine del prodotto finale. Andrebbe a tale riguardo precisato anche l’obbligo di riferire la provenienza delle materie prime degli ingredienti principali, per evitare ad esempio che la provenienza del grano (es. Canada) possa venire nascosta mediante indicazione dell’origine della semola (es. Italia, in caso di frumento canadese molito nel Bel Paese).
Etichette trasparenti, cosa altro manca?
I cittadini europei chiedono poi di ‘armonizzare le informazioni sui metodi di produzione e di trasformazione, per garantire l’effettiva trasparenza in tutta la filiera alimentare’. I concetti da chiarire e sottoporre a regole armonizzate, a ben vedere, sono diversi:
- ‘agricoltura sostenibile’, ‘lotta integrata’. Uno, nessuno e centomila. Le prassi variano, i controlli latitano, i dati sui consumi di pesticidi non tornano. Come misurare la ‘sostenibilità’ dichiarata? E come conciliare gli interessi degli agricoltori non bio con le esigenze della società civile?
- ‘agricoltura contadina’ è un altro concetto che merita un apposito inquadramento. Valorizzando l‘agroecologia, anche nelle sue preziose declinazioni di rilievo sociale (es. fattorie sociali, fattorie didattiche, orti urbani, apicoltura urbana),
- -‘filiera corta’, ancora, è un concetto di contenuto variabile che merita una codifica condivisa. Affinché i valori legati a filiere eque e sostenibili, possibilmente biologiche, possano venire espressi senza ambiguità e fraintendimenti,
- -‘naturale’, ‘artigianale’, ‘vegetariano’ e ‘vegano’, a loro volta, sono diciture spesso abusate all’insegna dell’ambiguità, (2)
- blockchain. La nuova frontiera delle frodi e pratiche commerciali scorrette – a danno sia degli operatori di filiera, sia dei consumatori – è la promessa di ipotetiche garanzie tramite blockchain. Salvo poi verificare che in molti casi i sistemi utilizzati non hanno nulla a che vedere con la vera blockchain, trattandosi invece di semplici database privati. (3)
Sulla trasparenza senza compromessi, avanti tutta!
Dario Dongo
Note
(1) Cfr. reg. UE 2018/775, in vigore dall’1.4.20. Si vedano i precedenti articoli https://www.foodagriculturerequirements.com/archivio-notizie/domande-e-risposte/origine-materie-prime-reg-ue-2018-775-risponde-l-avvocato-dario-dongo, https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/marchi-origine-prodotto-e-ingrediente-primario
(2) L’abuso del termine ‘naturale’ in etichetta è stato oggetto di recente class action nei confronti di Twinings. Si veda l’articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/consum-attori/puro-e-100-naturale-con-glifosato-consumatori-usa-contro-twinings
(3) Per meglio intendere il significato di una vera blockchain, si veda https://www.greatitalianfoodtrade.it/mercati/wiise-chain-la-vera-blockchain-made-in-italy-a-costi-competitivi
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.