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Fanghi tossici nel decreto Genova, abrogare subito

A Capodanno, nella tradizione napoletana, si gettano le cose vecchie per eliminare i mali dell’anno trascorso e propiziare un futuro migliore. A Luigi Di Maio e Sergio Costa chiediamo di celebrare l’anno nuovo gettando dalla finestra la norma che autorizza lo sversamento di fanghi tossici nell’ambiente, inserita a sorpresa nel ‘decreto Genova’ 2018. Prima che sia troppo tardi per l’Italia, chi vi abita e chi trae frutto dalla sua agricoltura.

Gestione dei fanghi in agricoltura, le regole previgenti

Il d.lgs. 99/1992 definisce i ‘fanghi’ come ‘i residui derivanti dai processi di depurazione:

1) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili;

2) delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi; tali fanghi devono possedere caratteristiche sostanzialmente non diverse da quelle possedute dai fanghi di cui al punto precedente;

3) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi; tali fanghi devono essere assimilabili per qualità a quelli di cui al punto 1).’ (1)

L’utilizzo dei fanghi in agricoltura – secondo le regole europee, come recepite nel d.lgs. 99/1992 – è consentito solo se essi ‘non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale’.

I requisiti agronomici e i limiti di inquinanti nei fanghi, stabiliti dal d.lgs. 99/1992 in Allegato 1B, hanno tuttavia considerato solo alcuni fattori di inquinamento (metalli pesanti). Riservando alle Regioni la potestà di integrare la disciplina, in relazione ad altri contaminanti. La Regione Lombardia è però incorsa in un ‘incidente giudiziario’, poiché i livelli di idrocarburi da essa tollerati nei fanghi ‘idonei all’agricoltura’ (10 g/kg di sostanza secca) sono stati considerati eccessivi e censurati dal TAR. (2)

Il giudice amministrativo – nell’accogliere le istanze di 65 Comuni lombardi – ha annullato la delibera della Regione Lombardia. Nella parte in cui introduceva, per i fanghi, limiti di idrocarburi superiori a quelli stabiliti dal legislatore nazionale per i suoli. Affermando che la tutela dell’ambiente è ‘riservata alla competenza esclusiva statale; ne consegue che le regioni non possono dettare una disciplina contrastante con quella prevista dalle fonti primarie statali, abbassando i limiti di tutela previsti da queste ultime’. (3)

La Corte Costituzionale e il Consiglio di Stato hanno a loro volta chiarito che ‘le regioni possano sì intervenire sulla disciplina dei valori delle sostanze inquinanti contenute nei rifiuti (e nei fanghi da depurazione in particolare), ma ciò al solo fine di dettare norme più stringenti volte ad assicurare livelli di tutela più elevati rispetto a quelli standard – applicabili all’intero territorio nazionale – individuati dalla normativa statale’. (4)

Decreto Genova’, fanghi di depurazione in agricoltura, articolo 41

Il c.d. ‘decreto Genova’ irrompe nella delicata materia sopra descritta con una norma dedicata a ‘disposizioni urgenti per la gestione dei fanghi di depurazione’, all’articolo 41. (5) La quale è inserita nel suo Titolo V, ‘Ulteriori interventi emergenziali’, dopo l’apertura della Cabina di regia ‘Strategia Italia’ per verificare lo stato di attuazione di opere pubbliche su infrastrutture viarie e interventi connessi a ‘fattori di rischio per il territorio’ (art. 40), e uno stanziamento di 2 milioni di euro per la riapertura al traffico del viadotto Sente (Abruzzo-Molise, art. 40-bis).

L’articolo 41 di fatto innalza i valori limite dei contaminanti ammessi sui fanghi di depurazione delle acque reflue destinati all’impiego in agricoltura. La comunità scientifica (6) ha subito espresso critiche e preoccupazioni, sottolineando come gli idrocarburi ivi ammessi nei fanghi, 1000 mg/kg, superino di venti volte il valore limite già previsto dal Testo Unico ambientale sui terreni industriali sottoposti a bonifica, pari a 50 mg/kg. (7) E non solo.

I livelli di idrocarburi, nel nuovo testo, sono riferiti alla massa totale dei fanghi, a prescindere dal loro tenore di umidità. Anziché venire espressi in termini di concentrazione sulla sostanza secca, come logico e proprio delle norme di settore. Uno scherzo di Pulcinella grazie al quale i materiali inquinati oltre misura – da bitumi, sostanze petrolifere, oli esausti – potranno venire riversati nell’ambiente procedendo alla loro diluizione, anziché alla ben più onerosa bonifica dai contaminanti.

Altri pericolosi contaminanti vengono tollerati – nei fanghi destinati all’agricoltura sull’intero territorio nazionale – in misura addirittura superiore a quella prevista per le bonifiche. Cromo totale, diossine, PCB, Toluene. Per il Toluene l’articolo 41 ammette un limite di 100 mg/kg di sostanza secca (ss), 200 volte superiore a quello ammesso nei suoli a uso residenziale (0,5 mg/kg) e doppio rispetto alla soglia prevista per i suoli industriali (50 mg/kg). Per Cromo VI, Selenio e Arsenico i limiti sono gli stessi delle bonifiche (se pure, per l’Arsenico, i 20 mg/kg ss siano comunque il doppio di quanto stabilito dalla citata Delibera della Giunta Regionale in Lombardia).

Le ‘rassicurazioni’ proposte dal ministro Sergio Costa (8) appaiono del tutto fuori luogo, sotto diversi aspetti:

– anzitutto, i fanghi in esame non derivano soltanto dalla depurazione di acque reflue ‘derivanti da scarichi civili e da insediamenti produttivi dell’agroalimentare’. Atteso che la definizione di fanghi prevista in d.lgs. 99/1992, cui viene fatto richiamo nell’articolo 41, non delimita gli insediamenti produttivi al solo settore agroalimentare, (9)

– in secondo luogo, se si afferma che ‘è necessario normare questi fanghi, in quanto fino ad oggi non sono mai stati adeguatamente controllati’ bisogna rafforzare i controlli. Ma il ‘decreto Genova’ è privo di indicazioni precise sui controlli da eseguire, limitandosi a prescriverne uno ogni 12 mesi (!) per le sole diossine e sostanze affini dal punto di vista tossicologico (policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani, PCDD/PCDF, policlorobifenili PCB),

– il ministro asserisce che la normativa non sarebbe ‘completamente aggiornata con le attuali conoscenze scientifiche’. Bene aggiornarla dunque. Non certo però riducendo il livello di tutela ambientale, tantomeno in assenza di basi scientifiche. Lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) citato agli atti risale a dodici anni fa e riguarda esclusivamente le concentrazioni di idrocarburi nei rifiuti generici, non nel terreno. Non esiste dunque alcuna valutazione del rischio in grado di giustificare la riduzione del livello di tutela dei suoli agricoli sull’intero territorio nazionale,

– viene infine teorizzata la presenza di ‘idrocarburi naturali’ contenuti ‘nel burro, nel grassi delle carni e nell’olio d’oliva, tutti prodotti di uso alimentare quotidiano’ (?). Basta però consultare i codici CER dei reflui ammessi agli impianti di depurazione per rendersi conto che gli idrocarburi C20-C40 non si trovano nei grassi alimentari, bensì in bitumi e sostanze petrolifere. Un triste coacervo di fake news, che la stampa generalista si è ben guardata dal verificare.

Fanghi tossici, emergenza o interessi particolari? L’Italia dei fuochi

Nessuno studio di impatto ambientale è stato eseguito, come invece doveroso, prima di varare una norma che riduce in misura significativa il livello di tutela dell’ecosistema italiano. Né sono state condotte indagini sulla biodiversità, la percolazione nelle falde, la tipologia e qualità dei suoli, i livelli di inquinamento preesistenti (che per molti inquinanti è già rilevante). Né è stato valutato il trasferimento dei contaminanti nella filiera alimentare.

Rischio chimico di sicurezza alimentare e altri rischi – per la salute umana e animale, oltreché per la tutela dell’ambiente – sono stati perciò platealmente ignorati. Con buona pace della Costituzione Italiana e dei criteri imposti dal legislatore europeo, secondo cui l’analisi del rischio (nel breve, medio e lungo termine) deve precedere ogni provvedimento che possa anche solo eventualmente incidere sulla salute umana intesa nella sua più ampia accezione.

La vera emergenza si direbbe essere rappresentata, semmai, dall’incapacità dei depuratori di assicurare il rispetto dei limiti (definiti per la protezione dell’ambiente e dei suoli) sui fanghi delle acque reflue di impianti civili e industriali. Un recentissimo studio dell’Università di Milano, tra l’altro, ha evidenziato un ulteriore rischio emergente legato all’incapacità dei depuratori di acque reflue di ostacolare il flusso di microplastiche.

I fanghi però, si noti bene, sono destinati allo spandimento in agricoltura per svolgere funzioni concimante e/o ammendante e correttiva del terreno. Innalzare i limiti degli inquinanti espone l’agricoltura e la zootecnia a gravi rischi di contaminazione chimica, con effetti potenzialmente catastrofici per il ‘Made in Italy’ oltreché per l’ambiente e la salute pubblica. In conseguenza del rilascio al suolo di elevatissime frazioni di idrocarburi pesanti (oli minerali, kerosene, oli esausti, olio combustibile, etc.) e di fenoli.

L’Italia dei fuochi va fermata subito. È certo che la ‘misura di emergenza’ consentirà a una moltitudine di portatori di ‘interessi particolari’ di conseguire enormi risparmi nello smaltimento dei loro inquinanti. Ma l’effetto di medio termine di questa misura sarà solo quello di esternalizzare i costi, dagli inquinatori alla collettività. E sarà troppo tardi per porvi rimedio, poiché si dovrà bonificare un intero Paese da contaminanti persistenti e bioaccumulabili.

Conclusioni, abrogare subito

L’articolo 41 va abrogato immediatamente. Se non si attiva il governo provvediamo noi a notificare a Bruxelles e ai competenti organismi internazionali queste norme inammissibili e ingiustificate. Senza alcun tifo per le opposizioni politiche, le quali tra l’altro non hanno fatto nulla per impedire lo scempio che si denuncia. (10) A differenza di una manovra di bilancio – i cui risultati sono inevitabilmente incerti, poiché dipendono da una pluralità di fattori anche esogeni – la misura in esame è sicuramente destinata a produrre effetti nefasti sull’ecosistema, la salute pubblica la filiera alimentare.

Errare è umano, perseverare è inaccettabile. È ora compito della Politica, quale che ne sia il colore, affrontare subito l’esigenza di mettere noi e i nostri figli al riparo da un disastro potenzialmente senza pari. Si deve perciò abrogare l’articolo 41 della legge 130/18 e affrontare il tema con misure consone alla sua rilevanza strategica, sulla base di valutazioni scientifiche dei rischi conosciuti e di quelli emergenti (es. microplastiche).

L’emergenza, se effettiva, va affrontata alla fonte. Controlli agli scarichi, separazione dei flussi all’origine, verifica delle capacità degli impianti di trattamento delle acque reflue in relazione alle loro potenzialità e ai rischi individuati, piani e programmi d’intervento. Una revisione normativa di tipo organico potrà accompagnare e seguire tale percorso, anziché precederlo, per conseguire obiettivi di massima tutela dei diritti pubblici.

#Égalité.

Dario Dongo

Note

(1) V. d.lgs. 27.1.1992 n. 99, ‘Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura’, articolo 2.2.a

(2) V. delibera Giunta Regione Lombardia 11.9.17 n. X/7076,

(3) Cfr. TAR Lombardia, Sezione III, sentenza 20.7.18,

(4) Cfr. Corte Costituzionale, sentenza 5.3.09, n. 61; Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenze 27.6.17 n. 3146 e 10.7.17 n. 3365

(5) V. D.L. 28.9.18 n. 109, ‘Disposizioni urgenti per la citta’ di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze’. Convertito con modificazioni in legge 16.11.18 n. 130

(6) Si veda l’articolo a firma di Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo, membro del Comitato scientifico di ISDE (InternationalSociety of Doctors for Environment),

(7) V. d.lgs. 3.4.2006 n. 152, ‘Norme in materia ambientale

(8) Si veda il post 23.10.18 del ministro Sergio Costa sulla sua pagina Facebook

(9) V. definizione richiamata in Nota 1

(10) A riprova di ciò si segnalano le precedenti denunce di chi chi scrive nei confronti di Paolo Gentiloni, Maurizio Martina, Carlo Calenda e Andrea Olivero per vari abusi e bugie a danno della filiera alimentare italiana. Si vedano, tra gli altri, gli articoli https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/sede-stabilimento-omertà-sul-niet-di-bruxelles-denuncia-penale-a-gentiloni-co,https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/sede-stabilimento-le-balle-spaziali-del-governo-gentiloni,https://www.greatitalianfoodtrade.it/idee/decreti-origine-pasta-riso-pomodoro-sede-stabilimento-incertezze-e-pericoli,https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/decreti-origine-ultimo-atto

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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