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Sede stabilimento, le balle spaziali del governo Gentiloni

Balle spaziali. Dopo il simpaticissimo film di Mel Brooks si proietta quello di Paolo Gentiloni Silveri, Carlo Calenda, Maurizio Martina e Andrea Olivero. Un film decisamente meno simpatico, per gli elettori traditi e gli operatori della filiera alimentare italiana – aziende agricole, PMI e microimprese incluse – costretti ad affrontare i costi della revisione delle etichette alimentari e destinazione al macero di quelle in giacenza. Ecco la storia dell’inglorioso documentario, e le relative prove che abbiamo raccolto mediante accesso agli atti della Commissione europea.

Balle spaziali, primo tempo

Great Italian Food Trade, il 2.5.18, ha pubblicato copia della lettera inviata il 28.1.18 dal Commissario Vytenis Andriukaitis al ministro Angelino Alfano. Con tale lettera la Commissione europea ha comunicato al governo italiano lirricevibilità della notifica a Bruxelles del d.lgs. 145/17, mediante il quale è stato reintrodotto lobbligo di dichiarare la sede dello stabilimento (di produzione o, se diverso, di confezionamento) sulle etichette dei prodotti alimentari prodotti e/o confezionati in Italia, nonché ivi commercializzati.

Il Ministero per lo Sviluppo Economico, a ben vedere, aveva in un primo tempo notificato a Bruxelles lo schema di provvedimento in questione, il 2.3.17. Nel rispetto delle regole UE che prescrivono la notifica preventiva di ogni progetto normativo nazionale recante norme tecniche relative alle merci, e la sospensione delliter legis per un periodo minimo di tre mesi (c.d. standstill period). Periodo che la Commissione europea può decidere di estendere, come è accaduto nel caso di specie (con proroga fino al 2.10.17).

I ministri Carlo Calenda e Maurizio Martina hanno però deciso di interrompere la rituale procedura di notifica delle norme tecniche. Hanno così ritirato la notifica e provveduto alla firma con successiva emanazione del decreto legislativo 145/17, prevedendone lapplicazione a decorrere dal 5.4.18. Anziché, come doveroso, mantenere la sospensione delliter legis fino al via libera della Commissione europea.

Il governo ha poi seguito un percorso anomalo di notifica del provvedimento. Non a norma del regolamento (UE) n. 1169/11 (c.d. Food Information Regulation), né del sistema TRIS (Technical Regulation Information System), introdotto dalla direttiva 98/34/CE e successive modifiche (da ultimo, dir. 2015/1535/UE). Bensì ai sensi del Trattato sul Funzionamento dellUnione Europea (TFUE, articolo 114). Trascurando tuttavia il presupposto per la sua applicazione, vale a dire la preesistenza della norma oggetto di notifica nellordinamento nazionale.

L’obbligo di indicare la sede dello stabilimento di produzione sulle etichette dei prodotti alimentari italiani era stato invero introdotto con il decreto legislativo 27.1.92, n. 109. Tale norma è tuttavia decaduta il 14.12.14, data di applicazione del reg. UE 1169/11. Poiché l’allora ministra per lo Sviluppo Economico Federica Guidi omise deliberatamente di notificarla alla Commissione europea, come inderogabilmente prescritto dal regolamento detto.

Il decreto legislativo 145/17 ha dunque innovato la disciplina preesistente, laddove a partire dal 14.12.14 (applicazione del reg. UE 1169/11) e fino al 5.4.18 (data di prevista applicazione del decreto detto) la sede dello stabilimento non è stata prevista come informazione obbligatoria in etichetta. A riprova di ciò, il d.lgs. 145/17 ha previsto un apposito regime transitorio proprio per consentire agli operatori di adeguarsi alle nuove prescrizioni. Le quali oltretutto differiscono parzialmente da quelle del 1992.

Intermezzo. Sede stabilimento, le balle spaziali del MiPAAF di Paolo Gentiloni e Andrea Olivero

Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali – a seguito degli articoli pubblicati sul sito Great Italian Food Trade, ha inviato il 9.5.18 una richiesta di rettifica. Tale istanza di non è stata accolta in quanto priva di notizie comprovate da atti e di argomenti giuridici in grado di smentire le informazioni offerte.

Il MiPAAF – nel goffo tentativo di rettifica delle informazioni offerte da Great Italian Food Trade – si è guardato bene dal contestare lautenticità della missiva inviata dal Commissario Andriukaitis al ministro Alfano. Non ha spiegato perché tale notizia sia stata mantenuta segreta per 67 giorni ai cittadini e soprattutto alle imprese in Italia, le quali ultime hanno dovuto investire cospicue risorse per revisionare le loro etichette e hanno dovuto destinare al macero quelle non utilizzate entro il 5.4.18 (data di ipotetica applicazione del decreto legislativo 145/17).

Il dicastero di via XX Settembre non ha fornito notizia di alcuna lettera di risposta alla Commissione, come invece in questi casi si addice, con buona memoria dellantico adagio verba volant, scripta manent. Ha invece affidato i propri argomenti a una narrativa autoreferenziale, forse anzi autoestinguente’.

È falso – dichiarava l’avvocato Cristina Gerardis, capo dellufficio legislativo del MI.P.A.A.F. – quanto affermato: la notifica del decreto alla Commissione è stata tempestivamente effettuata, i nostri uffici ne fanno decine, certo non ci è sconosciuta questa materia. Come ha chiarito il vice Ministro Andrea Olivero, è in corso uno scambio di note, uno scambio di vedute di carattere squisitamente tecnico, che chi fa il nostro lavoro è abituato a gestire, avendo di mira linteresse dello Stato ad adottare discipline giuridiche adeguate a proteggere interessi primari dei cittadini, come la salute e il diritto ad una piena informazione sugli alimenti. (…)

Peccato che – come si è accennato nel precedente paragrafo ed è stato eccepito dalla Commissione europea – i pubblici registri europei ove le notifiche di norme nazionali sono iscritte non riportano traccia di quanto il Ministero asserisca. Chi scrive ha perciò presentato istanza di accesso agli atti, ai sensi della legge 241/1990. Richiesta tuttora inevasa, alla data di compilazione del presente articolo.

La Commissione europea anzi, come il nostro sito ha rivelato l’1.6.18, già un anno fa – il 3.7.17, per l’esattezza, aveva comunicato al governo Gentiloni un parere nel quale si affermava l’assoluta incompatibilità dello schema di decreto sulla sede dello stabilimento con il regolamento UE 1169/11. Anche tale parere peraltro è stato tenuto segreto, per quasi un anno, dalla banda Gentiloni ai suoi amministrati.

Il Ministero ha invece insistito nel ribadire che il decreto legislativo n. 145 del 2017, che dispone lobbligatorietà della indicazione dello stabilimento di produzione sulle confezioni degli alimenti, è pienamente cogente in Italia dal 7 ottobre 2017, data della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ed applicabile dal 5 aprile scorso, dopo i sei mesi previsti per lesaurimento delle scorte da parte delle imprese.

Balle spaziali, secondo tempo

A seguito delle criptiche dichiarazioni del MiPAAF di Gentiloni, chi scrive ha richiesto alla Commissione europea l’accesso agli atti relativi alla notifica italiana dello schema di decreto legislativo recante disciplina dellindicazione obbligatoria nelletichetta della sede e dellindirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento– avvenuta il 28 settembre 2017.

Il parere della Commissione e la corrispondenza intercorsa tra essa e le autorità italiane sotto il governo Gentiloni, purtroppo, svelano ogni dubbio in via definitiva.

Il 14.12.17 – poco dopo la notifica del decreto italiano ai sensi dell’articolo 114 del ,

Trattato sul Funzionamento dellUnione Europea (TFUE), eseguita il 29.9.17 la DGSANTÉ (Direzione generale della Salute e della Sicurezza Alimentare) aveva già proposto il suo rigetto. (1) Il Commissario Vytenis Andriukaitis ha infatti poi comunicato tale decisione al governo Gentiloni, con nota 30.01.2018 che qui si riallega nella versione definitiva. (2)

L’art. 114 TFUE riguarda infatti unicamente il mantenimento, dopo ladozione di una misura di armonizzazione, di disposizioni nazionali esistenti’, mentre lo schema di decreto legislativo non era in vigore al momento della notifica. L’ufficio legale del MiPAAF ha invano provato a insistere, deducendo la preesistenza delle norme e invocando perciò il riesame della decisione. (3) 

La Commissione però ha dichiarato il riesame ingiustificato e confermato lirricevibilità dello schema di decreto. Con una comunicazione 13.4.2018 – che il MiPAAF si è guardato bene dal rendere pubblica (4) – nella quale il Commissario Andriukaitis precisa quanto segue:

Vorrei precisare che il regolamento (CE) n. 1169/2011 ha abrogato la direttiva 2000/13/CE a decorrere dal 13 dicembre 2014. Conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva, gli Stati membri potevano mantenere le disposizioni nazionali che imponevano l’indicazione, sull’etichettatura dei prodotti alimentari, dello stabilimento di fabbricazione o di condizionamento per la loro produzione nazionale,

Λ norma del regolamento, gli Stati membri non possono mantenere tali disposizioni dopo il 13 dicembre 2014 () Entro tale data le autorità italiane non avevano trasmesso alla Commissione alcuna notifica conformemente all’articolo 114, paragrafo 4, del TFUE in merito alla possibilità di mantenere le disposizioni nazionali già in vigore a norma della direttiva 2000/13/CE che imponevano lindicazione sull’etichettatura dei prodotti alimentari dello stabilimento di fabbricazione o di condizionamento per la loro produzione nazionale.

In tale contesto, i servizi della Commissione osservano che le disposizioni nazionali che impongono l’indicazione dello stabilimento di fabbricazione o di confezionamento, ossia il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, non sono più compatibili con il regolamento (UE) n. 1169/2011 dall’entrata in vigore di detto regolamento.

In conclusione, i servizi della Commissione ritengono che il riesame della decisione della Commissione del 30 gennaio 2018 (C(2018)421 final) non sia giustificato.

Infine, va anche osservato che il 30 marzo 2017 le autorità italiane hanno notificato alla Commissione, a norma della direttiva (UE) 2015/1535, uno schema di decreto legislativo che – analogamente al decreto legislativo oggetto della decisione della Commissione C(2018) 421 final – imponeva l’indicazione dello stabilimento di fabbricazione o di condizionamento. A seguito di tale notifica, il 3 luglio 2017 la Commissione ha emesso un parere circostanzialo secondo il quale lo schema di decreto ministeriale era incompatibile con il regolamento (UE) n. 1169/2011.’

L’Italia avrebbe potuto mantenere le disposizioni nazionali che prescrivevano di indicare la sede dello stabilimento in etichetta, garantendo così effettivamente ai consumatori la possibilità di conoscere dove i prodotti siano stati realizzati. Ma tali norme avrebbero dovuto venire essere notificate – proprio ai sensi dellarticolo 114, paragrafo 4, del TFUE entro il 13.12.14. E non tre anni dopo!

Nel proprio parere circostanziato 3.7.17, (5) del resto, la Commissione aveva già ammonito Carlo Calenda e Maurizio Martina circa l’illegittimità del disegno normativo in questione. Preannunciando il possibile avvio di una procedura di infrazione nei confronti dellItalia, ai sensi dell’articolo 258 TFUE.

L’incompatibilità del decreto n.145 del 2017 con la disciplina europea rende inequivocabilmente tale decreto inapplicabile.

Balle spaziali, epilogo

Great Italian Food Trade ha già denunciato alla Procura di Repubblica presso il Tribunale di Roma gli abusi, le omissioni e le falsità degli ex-ministri del governo guidato da Paolo Gentiloni. E dello stesso nobile (di Filottrano, Cingoli e Macerata), nella fase in cui lo stesso ha assolto le veci di ministro dell’agricoltura. Arrecando danni gravi e ingiusti alle imprese alimentari italiane, cui è stata fatta falsamente credere l’applicabilità delle norme che Bruxelles aveva recisamente censurato. Oltre a creare confusione presso i funzionari della pubblica amministrazione, esponendo essi stessi al rischio personale di finire sotto processo per non avere disapplicato le norme illegittime. Hanno

Balle spaziali, ora Basta! È giunta l’ora che Gian Marco Centinaio, il nuovo ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, prenda le distanze dagli abusi realizzati dal circo Gentiloni e riporti in Italia la certezza del diritto. Si devono subito abrogare le norme illegittime, per prevenire ulteriori danni che potrebbero derivare anche da una procedura d’infrazione. Mandare quindi in pensione il d.lgs. 145/17 sulla sede dello stabilimento e i cinque DM su origine latte, pasta, riso, conserve di pomodoro. E rimuovere gli alti funzionari che hanno contribuito ai gravi danni già realizzati.

La battaglia per la tutela del ‘Made in Italyva condotta a testa alta in Europa, per ottenere l’obbligo della sede dello stabilimento quale requisito indispensabile alla rintracciabilità di tutti gli alimenti e mangimi che circolano in UE (ai sensi del reg. CE 178/02, articolo 18). L’indicazione obbligatoria dell’origine dell’ingrediente primario va a sua volta pretesa dalla Commissione europea su una vasta serie di prodotti (mono-ingrediente e con ingrediente primario superiore al 50%, latticini e prodotti a base di carne), come più volte affermato dal Parlamento europeo, finora invano. Senza dimenticare la doverosa origine delle carni al ristorante che invece può venire introdotta a livello nazionale, seguendo l’esempio francese.

Dario Dongo

Note

1) Proposta di decisione della DGSANTÉ del 14.12.2017

2) Nota del 30.01.2018 del Commissario Vytenis Andriukaitis,

3) Richiesta dellItalia di riesame della decisione

4) Decisione della Commissione europea sul riesame della decisione del 13.04.2018

5) Parere circostanziato del 3.07.2017 della Commissione europea

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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