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Agroecologia, 6 sistemi a confronto. I vantaggi del bio per gli agricoltori. Analisi

L’agroecologia è l’unica via da seguire. Non solo per ridurre l’impatto delle coltivazioni su ambiente e salute pubblica, ma anche per salvaguardare i redditi degli agricoltori. Tra i 6 sistemi messi a confronto, il biologico è quello che più conviene.

Stratégie France, agenzia governativa d’Oltralpe, ha pubblicato un’analisi ove si considera l’esigenza di una rapida transizione verso un’agricoltura davvero sostenibile, per diverse ragioni:

– diminuire il contributo di agricoltura e zootecnia alle emissioni di gas-serra in atmosfera, stimato in Francia nel 20% del totale,

– ridurre il consumo di risorse e proteggere la biodiversità,

– garantire il reddito degli agricoltori, un terzo dei quali in Francia vive sotto il livello di povertà,

– migliorare la sicurezza alimentare e nutrizionale, intesa in senso lato come soddisfazione dei bisogni alimentari della popolazione. (1)

Agroecologia, 6 sistemi a confronto

L’agroecologia è un concetto piuttosto ampio. Comprende tutte le pratiche agricole basate sull’uso ottimale delle risorse naturali per ridurre al minimo il ricorso agli input chimici (fertilizzanti e agrotossici, antibiotici in zootecnia) e aumentare la resilienza delle imprese agricole.

Per misurarne le performance, i ricercatori francesi hanno selezionato 23 parametri caratteristici dell’agroecologia, a vario titolo ripresi nei 6 standard più in voga nell’agricoltura francese. Sistemi molto diversi tra loro, raggruppati in due grandi categorie, in base alla gradualità dell’aderenza ai requisiti ambientali, alla presenza di un’etichettatura ufficiale riconoscibile dai consumatori e al finanziamento della PAC (Politica Agricola Comune).

Primo gruppo, sistema biologico e HVE (High Environmental Value)

Il biologico è la punta di diamante dell’agroecologia. Le produzioni vegetali sono rimodulate per concimare le piante e proteggerle dai parassiti senza ricorrere a fertilizzanti e pesticidi (nonché erbicidi, es. glifosato, e fungicidi) di sintesi. Negli allevamenti si dedica particolare attenzione al benessere animale, con spazi più ampi e permanenza all’aperto, dieta esclusivamente biologica e rigoroso divieto di uso preventivo di antibiotici. La tutela di biodiversità, suolo e acqua è imperativa. Il bio è riconoscibile dalla certificazione europea ed è supportato dalla PAC a partire dalla fase di transizione (dal convenzionale al bio). Nel 2018, i terreni coltivati a bio erano il 7,5% della SAU (Superficie Agricola Utilizzata) in UE (Eurostat). Alcuni standard privati (come DemeterNature et Progrès e Bio Cohérence in Francia) – prevedono l’adesione alle regole europee del sistema biologico a cui aggiungono ulteriori requisiti.

HVE (High Environmental Value) è uno schema di certificazione ambientale ideato in Francia nel 2011 e applicato solo entro suoi confini, con 5.399 aziende agricole certificate. In funzione degli impegni assunti in tema di biodiversità, pesticidi, fertilizzanti e acqua, HVE attribuisce un punteggio (A, B, C). La certificazione postula la completa trasformazione del processo produttivo ed è concessa solo per il livello C. Non gode di finanziamenti specifici.

Secondo gruppo, i sistemi meno virtuosi

Il secondo gruppo di sistemi agricoli valutati nello studio comprende iniziative basate sull’agricoltura convenzionale (o integrata), con l’aggiunta di alcune misure di attenuazione del danno ambientale.

Vi rientrano tutte le aziende agricole che adottino le ‘Misure agroambientali e climatiche’ (MAEC) finanziate dalla PAC, ma anche le varie iniziative volontarie organizzate da reti di imprese o marchi della GDO. (2) In Francia sono essenzialmente tre:

– la rete DEPHY, 3.000 aziende agricole aderenti. L’obiettivo è condividere pratiche per la riduzione dei pesticidi. Lo standard volontario è articolato in due livelli, in funzione della riduzione della frequenza di trattamento (IFT) rispetto alla media regionale (- 50% o -70%),

– Lu’Harmony, iniziativa privata del marchio LU, certifica 1.700 agricoltori rispettosi di un disciplinare che attiene a scelta dei terreni, biodiversità, paesaggio, nutrizione, salute,

– AgriCO2, iniziativa lanciata dalla cooperativa Terrena e condivisa da 2.800 agricoltori. Prevede sette interventi migliorativi, tra i quali la cura dei mangimi per ridurre l’emissione di gas serra, la rotazione delle colture e l’uso dei trattori in chiave ecologica.

Efficienza secondo due valutazioni

La comparazione delle performance economiche dei sistemi agricoli sopra indicati è stata eseguita in due modi:

– un primo esame, basato sui dati economici nazionali (es. dati di Inra, Insee, omologhi ai nostri Inps e Istat) relativi al settore agricolo ,ha comparato fatturato, reddito e altri valori indicativi dell’andamento economico d’impresa,

– una seconda valutazione è stata formulata secondo un modello teorico, che ipotizza la conversione agroecologica di un’azienda agricola convenzionale di 100 ettari a cereali secondo i criteri di 5 diversi sistemi: biologico, due gradi dello standard DEPHY, HVE di livello B e Lu’Harmony.

Biologico, il sistema più redditizio

Entrambe le valutazioni hanno eletto il sistema biologico come il più conveniente anche per gli agricoltori. Sebbene i suoi requisiti siano più rigorosi, i margini di profitto delle imprese bio risultano mediamente doppi (+103%) rispetto a quelli delle aziende agricole convenzionali. Al termine della fase di conversione, oltretutto, il biologico è l’unico sistema (tra i sei testati) in grado di assicurare un guadagno del 25% (al netto degli aiuti PAC).

Alla base del primato vi sono elementi oggettivi. Le aziende agricole biologiche risparmiano sui costi degli input (fertilizzanti, pesticidi), i prezzi dei prodotti bio sono più alti e meno vulnerabili alle oscillazioni dei listini. La maggiore varietà produttiva garantisce a sua volta rendimenti più stabili nel lungo periodo. Tali vantaggi compensano egregiamente i maggiori costi legati a rese talora inferiori, diserbo meccanico e più ampio impiego di manodopera.

Come sostenere la conversione

La politica francese, già concentrata nel sostenere le produzioni agricole nazionali, è in cerca di soluzioni utili a favorire la transizione ecologica delle proprie filiere.

Gli strumenti che potrebbero accelerare questo processo vengono individuati nella rimodulazione degli aiuti pubblici all’agricoltura (PAC in primis) e in un incentivo al miglioramento degli standard ambientali delle produzioni.

PAC poco sostenibile

I finanziamenti erogati nell’ambito PAC attualmente finiscono più generosamente alle aziende agricole meno sostenibili. Sebbene il biologico sia ben assistito, anche con aiuti alla conversione, una comparazione dei finanziamenti europei con i parametri agroecologici dei beneficiari dimostra che ‘nelle colture in pieno campo, ad esempio, gli importi totali dell’aiuto per ettaro sono maggiori per i parametri di riferimento dei sistemi MAEC rispetto ai parametri AB (agricoltura biologica, ndr). In altre parole: è la produzione meno impegnativa dal punto di vista ambientale che riceve di più‘, spiegano gli autori del rapporto.

Il meccanismo degli aiuti pubblici andrebbe quindi rimodulato in funzione degli sforzi finanziari compiuti dagli agricoltori per ridurre il loro impatto sull’ambiente. Affiancandovi un meccanismo bonus-malus sull’uso di pesticidi. In sostanza, l’introduzione di una tassa sugli agrotossici e l’impiego degli introiti nel sostegno delle conversioni all’agroecologia.

Il ruolo dei consumAttori

Tutte le misure suggerite non saranno sufficienti senza la partecipazione di altri attori. Il canale del catering e della distribuzione, ma soprattutto dei consumatori. La transizione del sistema alimentare verso la sostenibilità richiede una evoluzione anche nelle pratiche di consumo, concludono gli autori dello studio francese.

Ridurre lo spreco alimentare e riequilibrare il paniere dei consumi domestici potrebbe consentire di compensare il prezzo degli alimenti certificati bio o HVE, generalmente più elevato rispetto ai prodotti dell’agricoltura convenzionale. Consumare meno e meglio, insomma. Centellinando la fiducia alle produzioni presentate come sostenibili che però poggiano su autodichiarazioni tutte da verificare. Esemplare il caso francese degli alimenti etichettati come ‘senza residui di pesticidi’ risultati invece contaminati.

Marta Strinati

Note

1) Alice Grémillet, Julien Fosse, Les performances économiques et environnementales de l’agroécologie, France Stratégie. Agosto 2020

2) V. Regolamento (UE) 1305/2013, articolo 28 – Pagamenti agro-climatico-ambientali

Marta Strinati
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Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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