La Direzione generale dell’agricoltura e lo sviluppo rurale della Commissione europea (DG Agri) ha bocciato la dicitura ‘vino naturale’, deducendo la sua ipotetica ingannevolezza. Una vittoria di Pirro per i lobbisti delle grandi industrie vinicole, poiché il mercato dei vini naturali prosegue la sua inarrestabile crescita, anche in Italia, a prescindere dall’utilizzo di questa o simili diciture.
Non sarà quindi un nome, in etichetta e pubblicità, a testimoniare gli sforzi degli operatori che coltivano le vigne senza agrotossici e producono il vino senza coadiuvanti e additivi chimici. Saranno piuttosto la blockchain, i QR-code e le app – ovvero i marchi collettivi associati ad appositi disciplinari – a comunicare ed esprimere i valori dei vini prodotti secondo natura. Come i consumAttori, sempre più, chiedono.
Vino, la lobby di omertà e pesticidi
Il CEEV (Comité Européen des Entreprises Vins) è la lobby europea dei produttori di vino. Ed è una delle più potenti, come dimostra la vergogna dell’ingiustificata esenzione delle bevande alcoliche dall’obbligo di indicare ingredienti e valori nutrizionali in etichetta. Al punto da ammettersi ancora oggi che grandi Paesi produttori come la Francia e la Germania continuino a occultare l’adulterazione legalizzata del mosto con lo zucchero (c.d. zuccheraggio). Ed è proprio CEEV a perorare l’omertà sulla composizione delle bevande alcoliche, oltre a varie furberie quali ‘il legno nel vino’ sulle bottiglie a Indicazione Geografica Protetta (IGP).
La lobby del vino è da sempre schierata al fianco di COPA-COGECA – la confederazione europea delle confederazioni agricole, dominata da Coldiretti – che il 20.10.20 ha affossato il progetto di transizione ecologica della PAC (Politica Agricola Comune). Ed è strettamente legata alle Big 4, i monopolisti globali dei pesticidi che nei vigneti convenzionali trovano il più grande mercato. Non è un caso che nel Prosecco-shire, come si è visto, i consumi di agrotossici rappresentino il 625% rispetto alla media europea. Ed è così che si spiega l’accanimento nei confronti del vino naturale.
Vino naturale, Bruxelles a servizio dei lobbisti
Le grandi industrie – quelle che comandano ogni organizzazione di rappresentanza, con il potere delle quote associative – hanno deciso di contrastare lo straordinario fenomeno di mercato dei vini naturali, incompatibile con le logiche finanziarie a cui si improntano i loro business. CEEV ha perciò presentato un ‘quesito’ alla DG Agri, il 15.4.20, volto a contestare l’utilizzo del termine ‘naturale’ nonché di diciture come ‘vin nature’, ‘vin méthode nature’ in etichettatura e presentazione di alcuni nettari di Bacco.
La Commissione europea ha dato seguito alle richieste dei lobbisti, nella propria lettera 7.9.20 di risposta a CEEV. (1) L’istituzione di Bruxelles ha così affermato che l’aggettivo ‘naturale’ potrebbe essere in grado di creare nel consumatore l’aspettativa di un prodotto di qualità superiore e ‘più sano’ del vino ‘comune’, suggerendo differenze sostanziali nella sua composizione e natura.
Argomenti strumentali
La DG Agri ha affidato le proprie valutazioni a un’interpretazione restrittiva dei regolamenti europei applicabili. Con argomenti strumentali alla tesi proposta da CEEV:
– la categoria ‘vino naturale’ non è contemplata tra le categorie di prodotti vitivinicoli di cui in Allegato VII, Parte II, del reg. UE 1308/2013 (c.d. OCM unica). Sebbene nessun vignaiolo indipendente, a quanto risulti, abbia richiesto la modifica del regolamento sulla Organizzazione Comune dei Mercati,
– ‘Il vino è il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve’. (2) È dunque legittimo l’impiego della denominazione ‘vino’ dei prodotti conosciuti come vini naturali,
– ‘le pratiche enologiche autorizzate sono impiegate soltanto per consentire una buona vinificazione, una buona conservazione o un buon affinamento dei prodotti’. (3) E ci mancherebbe altro, vale la pena aggiungere. Sebbene, come è evidente, una definizione così ampia degli obiettivi d’impiego di coadiuvanti tecnologici e additivi alimentari autorizzati lasci libero spazio alla fantasia degli enologi più temerari.
Tutti i vini sono uguali?
I burocrati di Bruxelles deducono perciò che ‘tutte le pratiche autorizzate in UE sono tali da preservare le caratteristiche naturali ed essenziali del vino e non causano un cambiamento sostanziale della composizione del prodotto’. Come se l’utilizzo di sostanze derivate da ingredienti allergenici (es. latte, uova) – a tutt’oggi non citate sulla gran parte delle etichette – non avesse incidenza sulla composizione del prodotto (e la sicurezza del suo consumo da parte dei consumatori allergici). O se le quantità di anidride solforosa e solfiti fossero indifferenti, senza bisogno di citare altre sostanze come l’acido tartarico di sintesi.
Il colmo è l’affermazione secondo cui qualsiasi prodotto potrebbe venire immesso sul mercato come ‘vino naturale’, a condizione del rispetto della denominazione di ‘vino’, ‘indipendentemente dalle pratiche enologiche autorizzate utilizzate nella sua produzione e dal fatto che siano state utilizzate pratiche enologiche.’ Questa sì, aggiungiamo noi, sarebbe un’informazione ingannevole. Laddove esistono organizzazioni, come VinNatur, che hanno definito disciplinari e criteri di analisi molto rigorosi.
Informazione al consumatore
I funzionari della DG Agri si sono poi avventurati su un tema che esula dalle loro competenze, il Food Information Regulation (FIR). Per uno sterile richiamo ai criteri generali di trasparenza e non ingannevolezza dell’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari, definiti all’articolo 36 del reg. UE 1169/11.
L’uso del termine ‘naturale’ associato a un vino sarebbe di per sé idoneo, per i lacchè dei lobbisti, a ingannare il consumatore e ‘interferire con i loro diritti a un’informazione obiettiva’. Ma si discorre del sesso degli angeli, poiché la chiarezza e trasparenza dell’informazione al consumatore va invece valutata caso per caso. E non si può certo dubitare la correttezza di chi mostri (e possa dimostrare) il rigore obiettivo, ad esempio, nell’escludere il diserbo chimico e altri agrotossici dalle vigne e determinate pratiche enologiche.
Riflessi giuridici
‘Il presente parere è fornito sulla base dei fatti esposti nella vostra lettera [del CEEV, ndr] del 15 aprile 2020, esprime il punto di vista dei servizi della Commissione e non impegna la Commissione europea.’ La DG Agri non ha neppure l’ardire di condividere i propri teoremi con le altre Direzioni generali quali la Sante, la Grow e la Competition. E ricorda, come doveroso, che l’unica interpretazione ufficiale del diritto UE è quella offerta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.
I vignaioli che intendano designare i propri vini e i relativi metodi di produzione come ‘naturali’ non devono fare altro che circostanziare in modo esatto il significato di tali diciture. Offrendone chiara comunicazione ai consumatori, come è stabilito dal regolamento (UE) 1169/11. Proprio su queste basi le autorità francesi hanno già riconosciuto la legittimità d’impiego della dicitura vin naturel. Questi prodotti vengono apprezzati, tra l’altro, anche perché vengono metabolizzati meglio dei vini convenzionali. Ed è questa l’unica notizia che non può venire esposta in etichetta, sebbene attestata in un recente studio scientifico.
Dario Dongo e Silvia Giordanengo
Immagine di copertina: Pur Jus. Cultivons l’avenir dans les vignes, de Justine Saint-Lô et Fleur Godart, Marabout, 2016, 221 p., 22 €. ISBN : 9782501116671
Note
(1) Commissione europea, DG Agri. Lettera 7.10.20 a CEEV, documento AGRI.DDG3.G.2/EM/RR(2020) 2580198, su https://news.unioneitalianavini.it/wp-content/uploads/sites/6/2020/09/reply_to_ceev_on_the_labelling_indication_natural_wine_20200907.pdf
(2) Reg. UE 1308/2013, Allegato VII (Definizioni, designazioni e denominazioni di vendita dei prodotti di cui all’articolo 78), Parte II (Categorie di prodotti vinicoli), punto 1
(3) Reg. UE 1308/13, articolo 80 (Pratiche enologiche e metodi di analisi), comma 102