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Blockchain nella filiera alimentare, il prototipo di Bari

Blockchain nella filiera alimentare. Tanti ne parlano e spesso a vanvera, come si è visto. Ed ecco invece il prototipo di Bar sulla filiera del latte.

Blockchain nella filiera alimentare. Perché? 

A tutto si sopravvive, fuorché al digiuno. Ecco perché le frodi alimentari si perdono nella storia delle civiltà e rimane difficile affrontarle. Non a caso il crimine organizzato in Europa oggi si macchia più di sangue di alimenti d’origine animale che di quello umano.

L’Italia è all’avanguardia nel contrasto a tali attività criminose, grazie alla solida esperienza delle nostre forze di polizia giudiziaria. È raro che le frodi su larga scala sfuggano ai nostri investigatori, ma ciò non basta a dissuadere i criminali (spesso in giacca e cravatta) a realizzarne altre.

L’Europa invece – pur essendo la prima piattaforma del pianeta nel commercio di derrate agroalimentari – non fa nulla di concreto per affrontare le ‘food fraud’. Al di là delle false promesse di un Commissario inutile e della creazione di un centro culturale.

Il crimine del resto può venire prevenuto solo con regole certe, pene deterrenti, indagini efficaci e procedure giudiziarie efficienti. Le linee guida per la prevenzione delle frodi nei sistemi di gestione qualità, benché lodevoli, non bastano.

La blockchain – quale sistema indipendente a garanzia della tracciabilità dei flussi materiali (materie prime, materiali di consumo, merci, imballi) e operativi – può dunque avere il suo perché. Come una porta blindata al posto di un cancelletto in legno, può rendere più arduo l’accesso ai malintenzionati. Quantomeno.

Blockchain nella filiera alimentare. Come?

L’informatica continua a mostrare i suoi vantaggi. Nella vita comune come nella registrazione e monitoraggio delle fasi di processo, con rapido accesso ai dati e sicurezza nella loro archiviazione.

La tecnologia DLT (Distributed Ledger Technology), più celebre come blockchain, nasce dall’esigenza di definire uno strumento informatico sicuro che automatizzi l’acquisizione e la registrazione delle informazioni nei processi interessati alla filiera. Che si tratti di bitcoin o di vasetti di yogurt, il concetto è lo stesso. Salvo doversi adattare alle economie dei vari sistemi.

La blockchain si distingue, rispetto ad altri protocolli, sotto diversi aspetti:

– la sicurezza dell’informazione, affidata alla distribuzione dei dati presso blocchi separati e indipendenti, ai fini della raccolta e della convalida,

– l’incorruttibilità dei dati, che deriva dall’impossibilità di modificarli retroattivamente senza alterarne i codici identificativi,

– la trasparenza, insita nella stessa logica di un registro aperto e distribuito.

 

Blockchain nella filiera del latte, il prototipo di Bari 

CyberSecurity è un’impresa di Bari che opera nel settore della sicurezza informatica. Una tra le prime software house ad avere investito nella tecnologia DLT, CyberSecurity ha verificato la potenziale efficacia e utilità della blockchain per garantire la tracciabilità nella filiera del latte.

Nasce così il prototipo MVP (Milk Verification Project), di straordinaria attualità in un periodo ove le frodi alimentari nella filiera lattiero-casearia sono all’ordine del giorno. Seppure a tutt’oggi impunite. Basti pensare, proprio in Puglia, alle false ‘Fettine di latte, latte Masseria. Piuttosto che al falso ‘Latte alpino piemontese, che guarda caso proviene dallo stesso gruppo industriale (Inalpi).

Le tecnologie IoT (Internet of Things) – quelle cioè capaci di interconnettere dispositivi dislocati in postazioni diverse, che pure fanno parte del prototipo di CyberSecurity – permettono inoltre di fornire aggiornamenti in tempo reale. Offrendo dati accessibili a tutti gli utenti che partecipano al network.

Il prototipo sviluppato a Bari presenta tutte le caratteristiche per innovare l’informazione nella filiera del latte, garantendo un’informazione che supera di gran lunga – anche in termini di affidabilità – i requisiti formali stabiliti nel c.d. decreto origine latte. Il quale, come si è visto, risulta tra l’altro illegittimo poiché non notificato alla Commissione europea.

Rimane perciò da chiedersi perché tale prototipo non venga adottato e applicato al più presto da quelle imprese, nella produzione e distribuzione di prodotti lattiero-caseari, che intendano distinguersi nella serietà dei propri protocolli a garanzia dell’effettiva integrità della filiera Made in Italy. Un investimento sulla fiducia, che il mercato saprà certamente riconoscere e valorizzare.

Dario Dongo

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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