Il ‘free-from’ – ‘senza’ questo o quell’ingrediente – è uno dei claim più in voga in etichette e pubblicità del pet food. In linea con le attuali tendenze del marketing alimentare, nel più ampio contesto del cibo ‘naturale’ per gli esseri umani e i loro amici a due o quattro zampe. Ma cosa vuol dire?
Un apprezzabile vantaggio competitivo si associa senza dubbio a questo tipo di messaggi promozionali. Grazie anche al fatto che oggi gli animali da compagnia, al pari dei loro amici bipedi, sono spesso obesi o sovrappeso ed è perciò diffusa la ricerca di cibi almeno in apparenza più idonei.
L’assenza di determinati ingredienti e sostanze, negli alimenti come nei cibi per animali da compagnia, viene infatti generalmente associata dal grande pubblico a benefici – reali o presunti – per la nutrizione e la salute.
Queste indicazioni, peraltro, devono risultare trasparenti – cioè veritiere e dimostrabili, alle autorità che ne facciano richiesta – oltreché chiare, non ingannevoli. Vigono inoltre i divieti di:
- attribuire al prodotto effetti e proprietà che esso non possiede (es. vanti di tipo salutistico),
- vantare caratteristiche che sono comuni alla categoria di appartenenza, perciò non distintive del singolo bene. (1)
L’indicazione ‘senza-OGM’, in particolare, è uno dei free-from più gettonati. I consumatori europei mantengono infatti ampie riserve sulla sicurezza dei cibi geneticamente modificati e cercano di evitarli, quando possibile. (2)
La legittimità del claim ‘senza OGM’ va tuttavia verificata con attenzione. In primo luogo, giova sottolineare che i mangimi con ingredienti che derivano da OGM o li contengano devono riportarne specifica indicazione in etichetta. (3). Il cibo per animali contrassegnato come ‘senza OGM’ deve quindi avere una corrispondente matrice ‘potenzialmente OGM’, rispetto alla quale quale distinguersi.
Quanto agli ingredienti vegetali, si può ammettere il claim ‘senza OGM’ laddove il pet food contenga soia, mais, colza non-OGM (a fronte della effettiva diffusione di OGM sulle relative colture), ma non in caso di frumento, riso, girasole (atteso che in Europa non è autorizzato l’impiego di derivati da grano, risone e sunflower geneticamente modificati).
Gli ingredienti di origine animale designati come non-OGM, a loro volta, devono provenire da allevamenti ove sia stato escluso l’impiego di mangimi GM. Sia che si tratti di carni e relativi sottoprodotti, sia che si tratti di pesci o gamberetti d’allevamento.
La tolleranza sulle tracce (<0,9%) di OGM in ingredienti non designati in quanto tali, è bene evidenziare, può venire applicata solo quando l’operatore responsabile sia in grado di dimostrare di avere adottato ogni opportuna misura per evitare la contaminazione.
La presenza accidentale e/o tecnicamente inevitabile di tracce di OGM può venire perciò tollerata – entro il limite di quantità indicato – a condizione che l’operatore dimostri, ad esempio, di avere acquistato materie prime IP (Identity Preserved), come la soia italiana.
Dario Dongo e Paola Cane
Note
(1) I criteri di lealtà delle pratiche d’informazione sono a ben vedere analoghi a quelli definiti per l’informazione sui prodotti alimentari (reg. UE 1169/11, articolo 7)
(2) Ben più arduo sarà distinguere i c.d. ‘nuovi OGM’, in quanto la Corte di Giustizia UE potrebbe sottrarli alle regole di autorizzazione, tracciabilità e notizia specifica. Si veda l’articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/salute/nuovi-ogm-nessuna-regola
(3) Cfr. reg. CE 1829/03, 1830/03

Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.