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Indonesia, incendi e olio di palma certificato RSPO. Rapporto Greenpeace

Burning down the house. Il rapporto di Greenpeace, pubblicato il 8.11.19, ci aggiorna sul continuo incedere di roghi e deforestazioni in Indonesia. Come sempre, per produrre olio di palma. Anche quello certificato come ‘sostenibile’ da RSPO, il paravento usato dai palmocrati per fare greenwashing. #Buycott!

Indonesia. Incendi a marchio RSPO, 2015-2019

I riflettori internazionali, l’estate scorsa, si sono soffermati e forse sciolti sui roghi in Amazzonia. La stagione dei fuochi è però proseguita all’altro capo del mondo, in Indonesia. L’un tempo splendido arcipelago, nell’ultimo ventennio, è stato divorato dalle fiamme. Tanto è servito a consolidare il primato globale nella produzione di olio di palma, e raggiungere quello delle emissioni di gas-serra.

9.960 incendi sono stati registrati nel solo mese di ottobre 2019. 7.427 di questi, pari al 75%, viene attribuito a imprese e gruppi associati a RSPO (Roundtable for Sustainable Palm Oil). Agli stessi gruppi viene attribuita la responsabilità di 149.663 sui 204.514 incendi registrati fra il 2015 e il 2018. Vale a dire, il 73% dei roghi. (1) Alcune di tali aziende sono state condannate dai tribunali indonesiani o sanzionate dal governo. E in molti casi non hanno neppure pagato le indennità richieste per il ripristino delle aree bruciate.

Olio di palma e incendi, le responsabilità di Big Food

I 30 produttori di olio di palma più implicati nei 10 mila incendi dell’ottobre 2019 forniscono sempre almeno uno tra i vari colossi di Big Food. Nestlé, Mondelēz, Unilever, Ferrero, Procter & Gamble (P&G). Ovvero i grandi trader Wilmar, GAR, Cargill, Musim Mas. 13 dei 30 palmocrati coinvolti nei roghi servono addirittura almeno 8 dei giganti citati. I quali peraltro continuano a pararsi dietro l’ombrello bucato di RSPO.

Le gravi responsabilità dei grandi marchi sopra citati sono evidenti a tutti coloro che intendano superare la fitta coltre di fumo e greenwashing da loro generata. Le foreste vergini costituiscono enormi risorse di carbonio e i loro roghi causano emissioni di gas-serra che proseguono per 7-8 decenni. Oltre ad asfissiare le popolazioni, provocando epidemie di malattie respiratorie nelle categorie di persone più a rischio (YOPI, Young, Old, Pregnant, Infant).

La biodiversità – che pure distinse questi angoli di paradiso (non a caso contesi per secoli tra le varie potenze coloniali) è a sua volta andata all’inferno. Assieme a centinaia di migliaia di oranghi e ai pochi esemplari di quelle specie già in via di estinzione, come le tigri e i piccoli elefanti di Sumatra. Solo in Nuova Guinea – che nell’area occidentale appartiene all’Indonesia – sono censite 20.000 specie di piante, 700 di alberi e 2.000 uccelli.

Olio di palma e incendi, le reazioni di Big Food

I crimini e i disastri non valgono a scalfire l’etica POP (Profit Over People) dei colossi. I quali neppure pensano a ridurre la presa sulle foreste primarie e i loro abitanti, incapaci di resistere alla massimizzazione dei profitti. Come rinunciare al più scadente ed economico degli oli, per ingrassare i fegati dei bambini del pianeta con il cibo spazzatura?

Business as usual. Si guarda bene, Big Food, dal rinunciare a qualche decimo di punto di profitto per sostituire il palma con grassi di minore impatto su ‘people & planet’. Piuttosto, quando il clamore sui disastri raggiunga il livello di ‘potenziale disturbo’ alla reputazione del gruppo, si ‘sospende’ l’approvvigionamento da un fornitore. Così P&G e Unilever nei confronti di Austindo Nusantara Jaya (ANJ), Musim Mas e P&G nei confronti di Salim. Cargill, Musim Mas e Unilever nei confronti di Sungai Budi/Tunas Baru Lampung. (2)

Big Palm, Big Food, Big Fire. Il podio della vergogna

Cargill è il trader che spicca per il maggiore coinvolgimento nei disastri ambientali degli ultimi anni. Il rapporto Greenpeace attribuisce infatti alla filiera di approvvigionamento di Cargill interessenze con l’88,3% degli incendi di ottobre 2019 (8.800 su 9.960) e le più vaste aree incendiate tra il 2015 e il 2018 (161.300 ettari). Oltre al maggior numero di legami (19) con gruppi di produttori sanzionati dal governo o sottoposti ad azioni giudiziarie e con titolari di concessioni (17) bloccate nel 2019.

Wilmar – il leader globale di settore, reso celebre anche da Amnesty International, nel rapporto 2016 su su schiavitù e sfruttamento minorile – si rifornisce invece da produttori responsabili di roghi si oltre 140.000 ettari, nel periodo 2015-2018, con 8.000 fuochi nel 2019.

Nestlé risulta invece al primo posto tra i gruppi industriali alimentari considerati da Greenpeace nel rapporto Burning down the house. Che ancora una volta, ‘curiosamente’, omette di considerare le implicazioni di Ferrero nelle filiere di palm oil del Sud-Est asiatico. I fornitori di Nestlé risultano implicati in 190.500 incendi nel triennio considerato, 9.700 nei primi 9 mesi del 2019.

Unilever a sua volta si rifornisce presso i produttori responsabili di quasi 180.000 ettari di foreste bruciate tra il 2015 e il 2018, 8.900 nei soli primi 9 mesi del 2019. Tra i suoi fornitori, 8 società di piantagione con azioni giudiziarie o sanzioni nei loro confronti e 20 società le cui operazioni sono state bloccate a seguito delle indagini su incendi del 2019.

Repetita iuvant?

3,4 milioni di ettari di terra in Indonesia sono stati bruciati almeno una volta, tra il 2015 e il 2018. Gli incendi vengono però anche ripetuti – repetita iuvant, anche ai devastatori – per ultimare la devastazione e ottimizzare le monocolture di palme. L’estensione complessiva delle aree incendiate va quindi ad aumentare del 10%, così da superare in quello stesso periodo i 3,7 milioni di ettari. (4) Per farsi un’idea, si tratta di un’area equivalente a quelle di:

– Liguria + Piemonte + Valle D’Aosta,

– Lombardia + Trentino Alto Adige,

– il doppio del Veneto, poco superiore al doppio del Lazio,

– Toscana + Umbria + Molise,

– Campania + Calabria + Abruzzo.

Questi dati derivano dalla mappatura degli incendi eseguita dal governo indonesiano e analizzata da Greenpeace. La mappatura dei roghi nel 2019 non è ancora disponibile. E non è detto che lo sarà in futuro, a seguito delle recenti alzate di scudi e minacce dei governi di Indonesia e Malesia alle istituzioni europee.

RSPO, l’ombrello bucato dei palmocrati. #Buycott!

Tutti i gruppi industriali alimentari e gli operatori economici considerati nel rapporto Burning down the house sono membri di RSPO, alcuni addirittura siedono nel suo consiglio di amministrazione. Tre quarti degli incendi in Indonesia nel 2019 sono attribuibili a gruppi di produttori con concessioni certificate RSPO.

Le bugie della congrega dei palmocrati sono già state smascherate dalla Zoological Society of London, nel 2017. E uno studio scientifico internazionale – pubblicato nel 2018 su ‘Science of the Total Environment’ – ha dimostrato come le monocolture di palma certificate RSPO siano manifestamente insostenibili.

Buycott! è l’unica vera soluzione. Arrestare definitivamente la domanda di palma, nei cibi come nel biodiesel, che insieme assorbono la quasi totalità dell’offerta. Senza trascurare cosmetici e prodotti per la casa, ove pure l’olio incendiario viene talora impiegato.

La petizione che invitiamo tutti a sottoscrivere e diffondere si trova su https://www.egalite.org/buycott-petizione/.

Dario Dongo e Giulia Caddeo

Note

(1) Cfr. Greenpeace (2019). Burning down the house. Tabella 9

(2) V. rapporto citato in nota 1, Tabella 1

(3) Idem c.s., Tabella 2

(4) Ibidem, Tabella 4

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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Laureata in giurisprudenza, master in Food, Law & Finance. Ha approfondito il tema degli appalti verdi e delle urban food policies presso il settore Cooperazione internazionale e Pace della Città di Torino.

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