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La sostenibilità dell’ecommerce. Lo studio VVA per il Parlamento europeo

L’ecommerce continua a crescere ma la sua sostenibilità merita attenzione, come mostra lo studio ‘E-commerce and the EU Green Deal’ (Luena Collini, Pierre Hausemer et al., 2022) realizzato da VVA – Unità tematica per le Politiche economiche, scientifiche e della qualità della vita – per il Parlamento europeo, Commissione IMCO (Internal Market and Consumer Protection). (1)

Sostenibilità dell’ecommerce

Lo studio ha lo scopo di fornire informazioni sul ruolo del commercio elettronico nell’attuazione dello European Green Deal e le politiche UE a tutela dei consumatori. (2) In particolare, si propone di

  • analizzare come mantenere elevati standard di tutela del consumatore alle prese con le vendite online. Il rapporto esamina la materia soltanto con riguardo alle transazioni Business to Customer (B2C) e Customer to Customer (C2C) per l’usato, escludendo quelle tra operatori commerciali (B2B),
  • vagliare l’impronta ambientale dell’ecommerce,
  • valutare il ruolo che il commercio elettronico svolge o potrebbe svolgere nell’attuazione del Green Deal europeo,
  • proporre raccomandazioni politiche su misura per affrontare i problemi identificati dallo studio.

1) La tutela del consumatore online

Sul fronte della tutela dei consumatori c’è davvero molto da fare.

In generale, i consumatori hanno una conoscenza limitata delle pratiche sleali esistenti negli ambienti digitali. Inoltre, molti consumatori non sono consapevoli dei propri diritti. (…) Più di un quinto dei consumatori dell’UE non si sente sicuro dei propri diritti. Un ulteriore 20% ha riferito di non sapere come presentare un reclamo quando riscontra un problema con un venditore’.

I cittadini europei che acquistano online, peraltro, aumentano. I lockdown imposti nell’era Covid hanno reso l’ecommerce una consuetudine diffusa, se pure con grandi differenze da Paese a Paese.

1.1) Raddoppiati in 10 anni gli acquirenti online

Secondo Eurostat gli acquisti tramite ecommerce sono ascesi dal 13% al 20%, sul fatturato delle imprese in UE, tra il 2010 e il 2021. La quota di consumatori europei che acquistano sul web è a sua volta passata dal 27% al 57% nello stesso periodo.

All’improvvisa impennata della domanda, durante la prima fase dell’epidemia da Covid-19 (marzo-maggio 2020), è seguito un breve calo fisiologico. Presto recuperato, già a novembre 2020, da un ulteriore aumento degli acquisti a distanza fino ai livelli del maggio precedente.

1.2) La geografia degli utenti

La propensione all’ecommerce nei diversi Stati membri è molto variabile. Nel 2021, oltre l’80% delle persone nei Paesi Bassi e in Danimarca ha acquistato un prodotto o un servizio online nei 3 mesi precedenti. La percentuale si riduce a meno di un quarto delle persone in Bulgaria (20%) e Romania (23%). In Italia la quota è del 40%, come in Portogallo.

sostenibilità dell'ecommerce, gli utenti europei crescono
Share of individuals with an online purchase in the last 3 months in the EU Member States (2021)

L’abbigliamento è stata finora la categoria più popolare tra gli acquisti online (39% degli acquirenti), seguita da film o serie in streaming (18%), cibo e mobili (18% ciascuno). Nei prossimi cinque anni si attende una crescita più significativa in altri settori, come i generi alimentari e la cura della persona.

1.3) La prevalenza dei ‘mercati’ online

I consumatori premiano soprattutto i ‘mercati virtuali’, come i colossi extra- UE Amazon, eBay, Wish e Alibaba/Aliexpress. Oltre al polacco Allegro e al tedesco Zalando.

Queste piattaforme rappresentano i due terzi dei primi mille siti visitati. E vengono considerati un volano per le aziende minori, che possono ‘salirvi’ per espandere il proprio ecommerce delegando attività impegnative come la gestione dei pagamenti, marketing, logistica e consegne rapide.

1.4) Le insidie del web

Tanta crescita degli affari non ha generato però altrettanto rispetto dei diritti del consumatore. Le pratiche commerciali sleali e ingannevoli riguardano soprattutto la fornitura di informazioni. Come pure più volte denunciato dal nostro sito GIFT (Great Italian Food Trade).

La ricerca indica tre tipologie di pratiche sleali, in spregio delle normative europee in materia di tutela del consumatore.

a) Informazioni incomplete

L’omissione di informazioni importanti sul prodotto o servizio, la mancanza di trasparenza dei prezzi (indicati senza le spese di consegna) o la fornitura di informazioni fuorvianti studiate per influenzare le scelte dei consumatori sono molto diffuse. (3)

Una ricerca condotta nel 2019 su 481 siti web ha accertato l’omissione di notizie su:

  • diritto di recesso entro 14 giorni (oltre il 25% dei casi),
  • garanzia di 2 anni per fare riparare, sostituire o rimborsare un bene difettoso (33%),
  • collegamento alla piattaforma di risoluzione delle controversie online (oltre il 45%).

Altrettanto gravi la mancata indicazione dell’identità del venditore, con le diverse implicazioni nella gestione delle criticità (UE, extra-UE). E le recensioni false, che condizionano in modo subdolo l’acquirente.

b) Dark pattern

L’espressione dark pattern include varie forme di sopraffazione, basate sul design dell’interfaccia.

È il caso dell’aggiunta non richiesta di articoli al carrello, l’invito poco trasparente a sottoscrivere l’acquisto ripetuto nel tempo dello stesso prodotto (es. un flacone al mese anziché un singolo integratore), la difficoltà di trovare il modo di cancellarsi da una newsletter o di rivolgersi al servizio reclami. E ancora, l’uso di un linguaggio complicato o prolisso per fornire informazioni importanti (senza così peraltro violare le regole sul diritto dei consumatori), l’obbligo di cedere i propri dati per proseguire, le X invisibili per chiudere un pop-up, etc.

c) Profilazione dell’utente

La profilazione degli utenti, con condivisione nei Big Data di dati che l’AI (artificial intelligence) elabora per la selezione degli annunci pubblicitari, potrebbe spingersi fino a definire il prezzo massimo che il singolo consumatore è disposto a pagare per un bene o servizio.

Nell’ambito del commercio via webè più importante definire come, non quali, informazioni vengono fornite’, ricordano gli autori dello studio. Tecniche ingannevoli sempre più raffinate raggirano gli utenti dell’ecommerce anche con riguardo alla sostenibilità dell’operazione (greenwashing), con abuso di termini quali ‘sostenibile’, ‘verde’, ‘green’, etc.

2) L’impronta ambientale dell’ecommerce

La comparazione dell’impronta ambientale dei due modelli di commercio (fisico e digitale) non perviene a una risposta univoca.

La dicotomia tra commercio al dettaglio online e offline è diventata sempre più sfumata e le impronte ambientali di questi due modelli di business si stanno intrecciando’, riferiscono gli autori dello studio.

L’erogazione dei servizi online è pacificamente più sostenibile, dal punto di vista ambientale. Viene meno la necessità per l’utente di usare l’automobile (o altro mezzo di locomozione) e si riducono i consumi per allestire e mantenere uffici, sedi e negozi. Sebbene appaia altresì opportuno, aggiungiamo noi, considerare l’impatto sull’occupazione e le relazioni umane.

2.1) Punto di vendita fisico vs ecommerce

La vendita delle merci viceversa presenta pro e contro, nei diversi canali di vendita, anche in termini di sostenibilità. Il punto vendita fisico implica i ‘costi’ appena citati per lo spostamento del cliente e il mantenimento del locale.

Il commercio online, a sua volta, difetta per

  • uso eccessivo di imballaggi ulteriori rispetto a quello primario in cui è confezionato il prodotto, aggiunti anche per proteggere il contenuto dagli inevitabili urti durante il trasporto,
  • emissioni di CO2 per le consegne (in particolare, per il più oneroso ultimo miglio, all’abitazione dell’acquirente), le tentate consegne (per destinatario assente) nonché per il trasporto dei resi, in alcuni casi distrutti, con ulteriore spreco di risorse e inquinamento.

I consumi energetici del web, infine, non sono meno impattanti di quelli necessari ai punti vendita fisici.

Il consumo di elettricità è alla base del traffico, dell’elaborazione e dell’archiviazione dei dati, oltre a garantire l’interconnettività con diversi dispositivi. Ciò è aggravato dal fatto che, man mano che la tecnologia si sviluppa (consentendo una maggiore velocità di Internet ad alta velocità) e il mercato dell’e-commerce diventa più sofisticato, i servizi offerti dalle piattaforme online diventano sempre più ad alta intensità di dati. Ad esempio, per incentivare gli acquisti, le piattaforme cercano di fornire interfacce interattive, video, audio, foto ad alta risoluzione e modelli virtuali, che comportano tutti un maggiore consumo di energia a causa delle maggiori esigenze di trasferimento dei dati’.

studio sulla sostenibilità ecommerce
A taxonomy of e-commerce in services and goods

2.2) Aspetti di sostenibilità dell’ecommerce

Le piattaforme online hanno invece dato sicuramente un buon contributo all’economia circolare mediante

  • scambio di merci usate (re-commerce), che includono il commercio tra privati di oggetti di seconda mano, sia quelli ricondizionati (elettronica, soprattutto),
  • maggiore facilità nel reperimento di pezzi di ricambio (aftermarket) per riparare, anziché buttare, i prodotti guasti, anche per chi abita in zone remote e prive di negozi specializzati,
  • condivisione dei consumi (sharing economy), come l’offerta di passaggi in auto con la partecipazione alle spese del viaggio (Blablacar), l’affitto e subaffitto di stanze private (Airbnb), il noleggio di articoli per la casa (Peerby).

Sulla fase di maggiore impatto, le consegne nell’ultimo miglio, sono già state attivate misure come i punti di raccolta e gli armadietti digitali diffusi sul territorio, ove il consumatore può recarsi in autonomia. Più efficiente sarebbe in ogni caso l’adozione di mezzi elettrici a zero emissioni, secondo la rivoluzione avviata dall’Interporto della Toscana centrale.

Qualche iniziativa (LimeLook, Re-Pack, Loop, etc) intende ridurre i danni dell’uso eccessivo di imballaggi, prevedendo l’impiego di packaging riutilizzabile, a restituzione gratuita per i consumatori. Tali misure sono comunque giudicate poco utili nella riduzione dell’impatto ambientale dell’ecommerce.

2.2) Come misurare l’impronta ambientale

Attualmente non esiste uno standard per misurare l’impronta ambientale dell’ecommerce. Vengono impiegati tre criteri, che possono anche sovrapporsi nell’analisi:

  • mondo accademico e comunità scientifica usano principalmente un focus quasi esclusivo su logistica e distribuzione,
  • comunità scientifica e decisori politici usano metodi standard, come la rendicontazione ambientale, sociale e di governance (ESG). Tali standard si concentrano sul Life-Cycle Assessment (LCA) del prodotto o sull’impronta ambientale dell’organizzazione,
  • l’industria e gli operatori commerciali utilizzano soprattutto informazioni facili da comunicare al consumatore, talora comparabili. Si tratta di solito di certificazioni di sostenibilità semplificate a livello di prodotto (es. etichettatura energetica).

I tre macro criteri sono nel complesso insufficienti a calcolare l’impronta ambientale (quindi la sostenibilità) dell’ecommerce, avvertono gli autori dello studio. Sebbene la valutazione del ciclo di vita del prodotto o dell’organizzazione risulti più valida degli schemi di certificazione.

3) L’ecommerce e il Green Deal

L’adeguatezza dell’ecommerce agli obiettivi di sostenibilità del Green Deal è ancora a metà del guado. ‘Da un punto di vista legislativo, non esiste uno strumento politico globale e integrato dell’UE che copra la produzione e il consumo sostenibili di tutti i prodotti, né la disponibilità e l’affidabilità delle informazioni su tali prodotti per i consumatori’.

Diverse iniziative sulla sostenibilità sono all’orizzonte con riguardo ai criteri di produzione e vendita (es. due diligence), oltreché sul fronte delle informazioni e la tutela dei consumatori.

4) Le azioni necessarie

Alla luce dei problemi evidenziati, gli autori dello studio indicano 4 aree di intervento della UE per

– garantire che la legislazione esistente sia rispettata nello spazio digitale. Ciò comporta il sostegno alle autorità nazionali per applicare le regole in vigore, monitorare le pratiche online con strumenti digitali e fornire sostegno alle imprese per conformarsi alle norme esistenti,

– migliorare le informazioni ai consumatori per consentire loro di prendere decisioni migliori. In particolare, sfruttare l’innovazione digitale per facilitare l’accesso del consumatore alle informazioni sulla sostenibilità del proprio acquisto in ecommerce, garantendone al contempo la tutela,

– incentivare i consumatori e le imprese a essere più sostenibili. Sostenere perciò il ruolo del commercio elettronico nella promozione della riparazione e del riutilizzo rispetto alla sostituzione e promuovere l’emergere di reti di riparatori indipendenti,

– garantire l’affidabilità delle informazioni sulla sostenibilità anche nel canale ecommerce. Un obiettivo che richiede l’armonizzazione dei metodi di valutazione dell’impronta ambientale dell’ecommerce e la garanzia che vengano comunicate ai consumatori in modo semplice e trasparente.

Immagine di copertina da EAV 2Cubed: Electric cargo vehicle for last mile delivery. Startup selfie. 26.3.21

Note

(1) E-commerce and the EU Green Deal. Dicembre 2022 https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2022/734013/IPOL_STU(2022)734013_EN.pdf

(2) Dario Dongo. European Green Deal, la nuova strategia UE. Égalité. 13.12.19,

(3) Le cattive pratiche si incontrano persino sulle piattaforme di ecommerce alimentare, che negano all’acquirente informazioni basilari (ex reg. UE 1169/11), come l’elenco ingredienti o il prezzo al kg/l, impedendo anche il confronto tra i prodotti. Casi comuni anche in Italia, come invano denunciato da questo portale all’Antitrust.

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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