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Oliva taggiasca, la scialuppa di salvataggio

La nostra posizione a sostegno di #obiettivotaggiascadop e #OlivaTaggiascaDOP – espressa mediante lettera aperta 24.3.19 al ministro Gian Marco Centinaio – ha raccolto alcune voci critiche. Agricoltori e confederazioni dibattono, in attesa di salire su TINA, la scialuppa di salvataggio.

DOP, un regime esclusivo di tutela

In 26 anni di lavoro sulle filiere alimentari tra rischi e opportunità, con il diritto sempre in testa, chi scrive ha umilmente maturato l’idea che il sistema europeo di tutela delle DOP sia davvero l’unica via disponibile. Per provare a salvare le specialità agroalimentari dei nostri territori dal maremoto della globalizzazione

La Corte di Giustizia UE si è più volte pronunciata per affermare il ruolo esclusivo di DOP e IGP per la tutela, almeno in Europa, delle specificità agroalimentari legate a tradizioni culturali e sapienza umana. Le quali si applicano a prodotti che a loro volta riflettono l’unicità degli ecosistemi, la non-riproducibilità. (1) Il sistema, ormai prossimo ai 30 anni di onorato servizio, ha dimostrato di funzionare bene. (2) Può certo venire migliorato, su due versanti in particolare:

– rafforzare i controlli nei 28 Stati membri. La Corte, nel caso ‘Parmesan’, ha sottolineato le responsabilità dei governi nel garantire i controlli su contraffazioni, imitazioni ed evocazioni di DOP e IGP. La Commissione europea ha il compito di vigilare sulla loro efficienza ma invece nicchia, come abbiamo già denunciato,

– pretendere il riconoscimento reciproco del sistema delle Indicazioni Geografiche, nella sua interezza, su tutti gli accordi commerciali che l’UE vada a concludere con altri Paesi. Un tassello cruciale, per l’apertura dei mercati e l’abbattimento dei dazi, che la Commissione Juncker ha invece trascurato. Nel CETA e nel JEFTA, con la complicità dei governi Gentiloni e Conte, rispettivamente. Nonché quella dei 73 (su 751) eurodeputati italiani.

L’efficacia ed efficienza dei controlli pubblici ufficiali in Italia, oltretutto, ha sempre consentito di sventare le frodi talora innescate dagli stessi membri di alcuni Consorzi, in connivenza coi relativi organismi. Come è accaduto nel 2015 a  Parmigiano Reggiano e Grana Padano e in tempi più recenti a ‘Prosciuttopoli’. Anche questa purtroppo è l’Italia, un Paese ove i traditori prosperano a danno degli onesti salvo incontrare, prima o poi irrimediabilmente, la scure della giustizia.

TINA, la scialuppa di salvataggio 

È giunta l’ora che tutti, dopo tre lustri di dibattiti, riconoscano TINA, There Is No Alternative. Non esiste alternativa alla #TaggiascaDOP, se davvero si vuole salvaguardare l’olivicoltura ligure.

I marchi rappresentano infatti lo strumento più efficace per proteggere la proprietà intellettuale a livello planetario. Ma la loro registrazione non è  ammessa allorché si richiami una località geografica o un nome ‘volgarizzato cioè entrato nel lessico comune per designare una categoria di prodotti o altri concetti. Tantomeno quando si riferisca a una cultivar registrata. L’ipotesi di registrare un marchio collettivo per proteggere la Taggiasca è dunque improponibile. 

L’analisi del DNA, a sua volta, è senz’altro utile a condurre indagini e reprimere le frodi. Vi ricorreremo anche noi, in una prossima analisi di mercato che avremo modo di condividere con le autorità competenti. Ma la certificazione del genoma purtroppo non basta a rivendicare l’esclusiva di utilizzo del nome della cultivar sul suo territorio originale. Bisogna invece:

– vincolare il nome ‘oliva Taggiasca a un’apposita DOP. Al preciso scopo di impedire, in tutta Europa, ogni contraffazione, imitazione o anche solo evocazione (es. ‘tipo taggiasca’) su qualsivoglia prodotto che contenga olive o olio non provenienti dal territorio della DOP,

– cambiare il nome della cultivar. In questo modo nessuno al mondo potrà citare l’oliva ‘taggiasca’, quando essa non provenga dal territorio della DOP, se pure abbia coltivato le piantine che appartengono a quella cultivar in altri Paesi (es. Spagna, Portogallo, Tunisia, Turchia, California, Sud Africa, Asia, Australia). 

Nel momento in cui la cultivar avrà un nome diverso, infatti, ogni richiamo in etichetta o pubblicità del nome ‘taggiasca’ potrà venire represso in ogni angolo del pianeta come frode alimentare, inganno dei consumatori. Anche a prescindere dal reciproco riconoscimento delle DOP europee poiché appunto ogni Stato ha il potere e dovere di punire le frodi alimentari per tutelare i propri consumatori e garantire la concorrenza leale sui propri mercati.

Diversamente, i vivaisti pistoiesi potranno vendere milioni di piantine del cultivar così denominato. E sarà tempesta di ‘Taggiasca olives’ dai 5 continenti, magari raccolte prima e ‘annerite’ col gluconato ferroso, fino al definitivo crollo dei prezzi e al collasso dell’olivicoltura ligure, non certo in grado di competere con modelli di agricoltura estensiva su scala industriale.

#OlivaTaggiascaDOP, i costi della scialuppa

I singoli operatori che intendano aderire al Consorzio di tutela di una DOP devono ovviamente sottostare alle verifiche atte a garantire l’effettiva autenticità dei prodotti da loro realizzati. Ed è proprio il sistema di certificazione a garantire un livello di controlli superiore a quello previsto sulla generalità degli alimenti, per quanto specificamente attiene a identità e provenienza delle materie prime lavorate.

La ‘burocrazia’ richiesta per mantenere la tracciabilità dei flussi materiali delle merci di una DOP non è dissimile da quella prescritta per garantirne la rintracciabilità, obbligatoria per tutti gli operatori della filiera già a partire dall’1.1.05. (3) E i Consorzi stessi – oltre alle associazioni sul territorio, a cui pure le imprese familiari sono solite riferirsi, per la gestione di varie pratiche e contributi – hanno anche di compito di aiutare le imprese di ogni dimensione a implementare le registrazioni necessarie. 

Il costo della scialuppa dipende dalla serietà di chi la anima. Una gestione parsimoniosa, come ben si addice ai liguri, può consentire di ridurre al minimo il costo del ‘biglietto DOP’ per i consorziati-passeggeri del natante. La squadra di comando deve comprendere un’adeguata rappresentanza degli agricoltori indipendenti che da generazioni investono le loro fatiche su olivi secolari in terreni scoscesi. E tutti insieme, gettate in mare le armi che non servono, devono trasformare la scialuppa in una pilotina. Dritti alla meta, per dare forma a un progetto condiviso di qualità e agricoltura sostenibile, atto a valorizzare una produzione unica sui mercati internazionali.

L’augurio appassionato che dovremmo fare a noi e ai nostri figli è quello di proteggere la vera Taggiasca DOP. Per evitare il ripetersi di identità perdute, come è già accaduto ai greci con le Kelemata, ai calabresi con le drupe locali e a vari altri. I quali oggi subiscono la concorrenza estera anche nei negozi di prossimità nei paraggi delle loro case, poiché l’olivetta da due soldi sa pur sempre farsi apprezzare, quantomeno per il risparmio di chi la compra.

There Is No Alternative, TINA!

Dario Dongo

Note

(1) Si segnalano le precedenti censure di marchi collettivi di tutela nazionale e/o locale:

– Spagna, marchi ‘La Conca de Barbera’, ‘El Valles Occidental’, ‘El Ripolles’, ‘Alimentos de Andalucia’, ‘Alimentos de Extremadura’, ‘Calidad Cantabria’,

– Francia, marchi ‘Normandie’, ‘Nord-Pas-de-Calais’, ‘Ardennes de France’, ‘Limousin’, ‘Languedoc-Roussillon’, ‘Lorraine’, ‘Savoie’, ‘Franche-Comté’, ‘Corse’, ‘Midi- Pyrénées’, ‘Salaisons d’Auvergne’ e ‘Quality France’,

– Germania il marchio ‘Markenqualität aus deutschen Ländern’.


Giurisprudenza europea (Corte di Giustizia UE, ECJ): 

– sentenza ECJ, 5.11.02, causa C-325/00, Commissione vs. Germania http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf?text=&docid=47836&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=24442.

La Repubblica federale di Germania, con la concessione del marchio di qualità «Markenqualität aus deutschen Landen» (qualità di marca della campagna tedesca) a prodotti finiti di una determinata qualità fabbricati in Germania, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 30 del Trattato CE [ora art. 28 CE, ndr],’

– sentenza ECJ 6.3.03, causa C-6/02, Commissione c. Repubblica Francese, http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf?text=&docid=48113&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=24442. ‘Dopo l’entrata in vigore del regolamento n. 2081/92 CEE, che mira precisamente a definire in maniera esclusiva le condizioni alle quali può essere istituita la protezione di una denominazione che stabilisce il nesso tra taluni prodotti agricoli ed alimentari da un lato, e un’origine geografica particolare dall’altro, la protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche potrebbe ormai essere effettuata unicamente nell’ambito definito da tale regolamento’ (punto 13),

– sentenza EJC 17.6.04, C-255/03, Commissione C. Regno del Belgio http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=49295&doclang=IT.

Il regno del Belgio, avendo adottato e mantenuto in vigore una normativa che concede «il marchio di qualità vallone» a prodotti finiti di una determinata qualità fabbricati o trasformati in Vallonia, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’art. 28 CE’,

–  sentenza ECJ  8.9.09, causa C-478/07, Budĕjovický Budvar, národní podnik vs. Rudolf Ammersin GmbHhttps://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:62007CJ0478&qid=1553850875136&from=IT. ‘Il sistema comunitario di tutela previsto dal regolamento (CE) del Consiglio 20 marzo 2006, n. 510, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, riveste una natura esauriente di modo che questo regolamento osta all’applicazione di un sistema di tutela previsto da trattati che vincolano due Stati membri quali i trattati bilaterali di cui trattasi che conferisce ad una denominazione, riconosciuta secondo il diritto di uno Stato membro come una denominazione di origine, una tutela in un altro Stato membro dove tale tutela è effettivamente richiesta allorquando siffatta denominazione di origine non ha costituito oggetto di una domanda di registrazione in forza di detto regolamento’ (punto 117),

– sentenza ECJ 8.5.14, causa C-35/13, Assica, Kraft Foods Italia SpA vs. Associazione fra produttori per la tutela del «Salame Felino», su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62013CJ0035&from=IT.

Il regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli ed alimentari, come modificato dal regolamento (CE) n. 535/97 del Consiglio, del 17 marzo 1997, deve essere interpretato nel senso che esso non attribuisce un regime di protezione a una denominazione geografica priva di registrazione comunitaria, ma che quest’ultima può essere protetta, eventualmente, in forza di una disciplina nazionale relativa alle denominazioni geografiche concernenti i prodotti per i quali non esiste un nesso particolare tra le loro caratteristiche e la loro origine geografica, a condizione, tuttavia, da un lato, che l’applicazione di siffatta disciplina non comprometta gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n. 535/97, e, dall’altro, che essa non sia in contrasto con la libera circolazione delle merci di cui all’articolo 28 CE, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare.’

 

Giurisprudenza italiana:

– Corte Costituzionale, sentenza 19.7.12 n. 191, https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2012&numero=191.

La legge della Regione Lazio in questa sede censurata, mirando a promuovere i prodotti realizzati in ambito regionale, garantendone siffatta origine, produce, quantomeno “indirettamente” o “in potenza”, gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci che, anche al legislatore regionale, è inibito di perseguire per vincolo dell’ordinamento comunitario.’

Corte Costituzionale, sentenza 2.4.12 n. 86,
https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2012&numero=86. La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale del marchio ‘MEA–Marche Eccellenza Artigiana’, grazie 

– Corte Cost., sentenza 8-12.4.13 n. 66, https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2013&numero=66

Orbene, la legge della Regione Lazio qui impugnata – introducendo un marchio ‘regionale’ di qualità destinato a contrassegnare, sulla base di disciplinari, ed in conformità a criteri, dalla stessa stabiliti, determinati prodotti agricoli ed agroalimentari a fini, anche dichiaratamente, promozionali della agricoltura e cultura gastronomica del Lazio – è innegabilmente idonea a indurre il consumatore a preferire prodotti assistiti da siffatto marchio regionale rispetto ad altri similari, di diversa provenienza, e, conseguentemente, a produrre, quantomeno ‘indirettamente’ o ‘in potenza’, gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci, che anche al legislatore regionale è inibito perseguire per vincolo comunitario. In contrario, non rilevano né la finalità di tutela del consumatore né il carattere (per altro solo virtuale) di ultraterritorialità del marchio – su cui fa leva la difesa della resistente – poiché, in relazione ad entrambi tali profili, la Regione non indica, e neppure ha, alcun suo titolo competenziale. Quanto al primo profilo, infatti, la tutela del consumatore attiene alla materia del diritto civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato (…); e, quanto al secondo, non spetta alla Regione Lazio di certificare, come pretende, la “qualità” di prodotti sull’intero territorio nazionale e su quello di altri Stati europei

(2) Il regime europeo di tutela di DOP e IGP è stato avviato con il reg. CEE 2081/92

(3) Cfr. reg. CE 178/02, articolo 18. Per approfondimenti sui requisiti di tracciabilità prescritti dalle normative generali e quelle di settore, si fa richiamo all’ebook gratuito ‘Sicurezza alimentare, regole cogenti e norme volontarie’, su https://www.greatitalianfoodtrade.it/libri/sicurezza-alimentare-regole-cogenti-e-norme-volontarie-il-nuovo-libro-di-dario-dongo

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