HomeVino italiano3500 anni di vino in Italia. Le prime tracce nelle Terramare

3500 anni di vino in Italia. Le prime tracce nelle Terramare

Le tracce più antiche del consumo di vino in Italia risalgono all’età del bronzo, 3500 anni fa. Sono emerse per la prima volta grazie agli scavi archeologici condotti a Bondeno, nel Ferrarese, dal Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova.
La scoperta è descritta in uno studio pubblicato a novembre 2020 sul Journal of Archaeological Science, rivista scientifica che copre ‘lo sviluppo e l’applicazione di tecniche e metodologie scientifiche a tutte le aree dell’archeologia‘. (1)

Il consumo di vino nell’età del bronzo

Il sito archeologico di Pilastri di Bondeno risale alla cultura delle Terramare, nella pianura padana. In un contesto archeobotanico ove i ricercatori, coordinati dal prof. Massimo Vidale, considerano che la Vitis vinifera L. fosse conosciuta e utilizzata già nella media età del bronzo.

Le Terramare sono gli antichi villaggi sorti a metà del II millennio a.C., in Emilia e le zone di bassa pianura padana (attuali provincie di Cremona, Mantova e Verona). Attorno ad alcuni resti emersi nella collinetta di Montale è stato creato un Parco che ne riproduce l’ambientazione, ‘visitabile’ anche a distanza, in questo periodo storico.

Acido tartarico nelle antiche ciotole

La prova del consumo di vino o altri derivati dell’uva (come aceto o mosto) 3500 anni fa è suggerita dall’analisi dei residui organici sulle ceramiche recuperate sia nel già citato sito di Pilastri di Bondeno (Ferrara), sia in quello di Canale Anfora (Aquileia, Udine).

Le analisi eseguite da Alessandra Pecci dell’Università di Barcellona rivelano infatti la presenza di acido tartarico e altri bio-markers del vino in oltre un terzo dei frammenti recuperati da diversi recipienti in ceramica. Più precisamente in 20 dei 31 campioni analizzati tra bicchieri, ciotole (come quella in copertina), pentole grossolane e presunti recipienti di stoccaggio (XV-XIV secolo a.C).

Tracce di zolfo e resina

I ricercatori spiegano che in alcuni casi i residui organici contengono anche tracce di zolfo e di resina di pino. Si ipotizza che lo zolfo fosse stato aggiunto nella bevanda a scopo anti-fermentativo, ovvero impiegato per sterilizzare i contenitori.

Le tracce di resina di pino potrebbero invece indicare una tecnica di impermeabilizzazione delle pareti interne dei vasi.

Il consumo di vino nel Mediterraneo

Nell’altro sito archeologico oggetto dello studio, Canale Anfora, la stratigrafia locale aveva già portato alla luce macro-resti di Vitis vinifera L. Un ulteriore indizio, secondo i ricercatori, che i derivati del succo d’uva (inclusi vino e/o aceto) fossero probabilmente consumati nei siti. ‘Combinati con le prove botaniche, questi risultati contribuiscono alla nostra comprensione dell’emergere del consumo di vino nel Mediterraneo occidentale‘.

Note

(1) Alessandra Pecci, Elisabetta Borgna, Simona Mileto, Elisa Dalla Longa, Giovanna Bosi, Assunta Florenzano, Anna Maria Mercuri, Susi Corazza, Marco Marchesini, Massimo Vidale, Wine consumption in Bronze Age Italy: combining organic residue analysis, botanical data and ceramic variability. Journal of Archaeological Science. Volume 123, November 2020, 105256. doi: https://doi.org/10.1016/j.jas.2020.105256

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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