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Covid-19, sicurezza dei lavoratori e responsabilità

Covid-19 e sicurezza dei lavoratori. Il 14.3.20, come si è visto, le parti sociali hanno sottoscritto il ‘Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro’. Brevi note sulle responsabilità legate all’applicazione delle misure di contenimento nei luoghi di lavoro.

Contingency plan vs. lockdown

Il contingency plan concordato dai sindacati con le organizzazioni datoriali il 14.3.20, sotto il coordinamento dei ministeri interessati, risponde alla duplice esigenza di impedire la paralisi dell’economia del sistema-Paese e garantire la continuità degli approvvigionamenti dei beni essenziali. Prodotti agroalimentari, chimici, farmaceutici e sanitari anzitutto.

Il lockdown adottato l’11.3.20 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, del resto, aveva preservato dalla chiusura degli esercizi fino al 25.3.20 proprio la distribuzione al dettaglio dei beni essenziali predetti. Oltre ai materiali di ferramenta, igiene personale e detersivi, ottica, elettronica ed elettrodomestici, informatica e telecomunicazioni.

La sospensione delle attività operative non essenziali, nelle due settimane di lockdown, avrebbe senz’altro contribuito a salvaguardare la salute dei lavoratori e contenere il rischio di contagio da coronavirus. Consentendo alle imprese di organizzare le misure di contenimento, non certo istantanee. Ma l’industria meccanica, che da sempre comanda (anche) Confindustria, ha avuto la meglio. E le catene di montaggio girano – anche in deroga alla distanza minima di 1 metro, a valere per tutti fuorché gli operai – sebbene i concessionari d’auto siano chiusi.

Prosecuzione delle attività produttive

La conditio sine qua non per proseguire le attività produttive è la ‘presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione’ (Protocollo 14.3.20, Premessa). La protezione dei lavoratori deve perciò venire garantita attraverso:

– procedure di ingresso e accesso ai locali dell’azienda, gestione degli spazi comuni,

– organizzazione del lavoro con privilegio allo smart working, turnazioni, rimodulazione dei livelli produttivi,

– pulizia giornaliera e sanificazione degli spazi e strumenti di lavoro,

– informazione di lavoratori e visitatori sui rischi e le pratiche da seguire per prevenirli. Controlli della temperatura e avviso tempestivo caso di febbre (>37,5° C), distanze interpersonali di sicurezza, lavaggio frequente delle mani e igiene,

– DPI (dispositivi di protezione individuale, es. mascherine, occhiali, guanti, camici, cuffie e copriscarpe) da consegnare a lavoratori e visitatori, liquidi detergenti da mettere a disposizione di tutti.

Applicazione delle misure

L’applicazione concreta delle misure stabilite dal Protocollo (in termini generali e astratti) è affidata alla primaria responsabilità del datore di lavoro, dopo ‘un confronto preventivo con le rappresentanze sindacali presenti nei luoghi di lavoro, e per le piccole imprese le rappresentanze territoriali’ (Protocollo 14.3.20, Premessa).

Il tessuto produttivo italiano è però strutturato su microimprese e PMI che sono prive di rappresentanze sindacali. E né i singoli lavoratori, né gli imprenditori e i loro dirigenti sono ‘culturalmente attrezzati’ per affrontare una pandemia del tutto priva di precedenti.

Le autorità sanitarie – a seguito della riforma costituzionale del 2001 – sono soggette alla giurisdizione di 20 Regioni e 2 Province autonome, in concorrenza a quella statale. E a tutt’oggi manca una linea guida, condivisa in Commissione Stato-Regioni, su come applicare le misure di contenimento. (1)

Il cerino acceso

In questa nebbia nessuno vede il cerino acceso che è stato lasciato proprio nelle mani di imprenditori e legali rappresentanti di imprese e cooperative. Poiché le misure stabilite nel Protocollo sono tanto indefinite dall’astenersi di precisare il livello di protezione che una mascherina deve garantire quanto chiare nel definire le prescrizioni a carico del datore di lavoro.

Il cerino può così anche incendiare una fabbrica, se uno o più lavoratori contraggano il virus nei luoghi di lavoro. Poiché lo stesso evento rappresenterebbe prova dell’inidoneità delle misure eventualmente adottate a garantire la sicurezza dei lavoratori. Comportando così, tra l’altro, il rischio di contestazione di reati anche gravi. Non solo la contravvenzione di cui all’articolo 650 del codice penale (inosservanza dei provvedimenti dell’autorità) ma anche i delitti di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (437 cp), lesioni o omicidi colposi anche plurimi. (2)

Quali rischi?

L’avvocato Luigi Corrias, giuslavorista del Foro di Milano, da noi interpellato sull’argomento, ci spiega che ‘è difficile che l’inosservanza del protocollo che comporti patologie a carico dei dipendenti possa configurarsi come infortunio sul lavoro. L’infortunio sul lavoro è infatti definito come un evento dovuto a una causa violenta ed esterna, che produce lesioni  traumatiche ad un individuo durante la sua prestazione di lavoro.’

‘Nel caso di specie può invece configurarsi una malattia provocata da inadempimento del datore di lavoro agli obblighi stabiliti nel codice civile all’articolo 2087 (tutela delle condizioni di lavoro), a cui consegue il diritto del dipendente ad ottenere il risarcimento del danno.’

Ulteriori responsabilità – in sede penale, oltreché di risarcimento danni (ex art. 2043 codice civile) – nel caso in cui terzi vengano poi eventualmente infettati dal/dai lavoratore/i contagiato/i. E come si potrà dimostrare di avere eseguito una valutazione appropriata del rischio (di contagio da virus altamente trasmissibile, anche prima o in assenza di sintomi), sulle cui basi avere predisposto misure idonee di prevenzione? Un’assicurazione potrà bastare, la polizza può coprire tali rischi?

Il cerino, purtroppo, rimane acceso.

Dario Dongo

Note

(1) Le mascherine ad esempio ‘devono essere approvate dalle autorità sanitarie’, secondo il Protocollo. Un pericoloso scaricabarile, perché la decisione sul livello minimo di protezione delle vie respiratorie deve venire basata su una valutazione scientifica del rischio. E non può certo venire affidata all’arbitrio dei singoli dirigenti su singole realtà, né a quello di Regioni o Province autonome. Poiché in assenza di un indirizzo condiviso a livello nazionale – se pure, attraverso un atto di legislazione secondaria – si può configurare un’inaccettabile asimmetria dei livelli di tutela dei diritti costituzionali alla salute e alla sicurezza sul lavoro

(2) I delitti di lesioni e omicidio volontari potrebbero anche venire attribuiti ai soggetti ritenuti responsabili, a titolo di dolo eventuale (vale a dire, consapevole accettazione del rischio di verificazione dell’evento)

(3) ‘L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro’ (Codice civile, articolo 2087). V. anche Costituzione della Repubblica italiana, articoli 37 e 41

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