Canapa industriale. Il Tribunale Penale di Genova, Sezione del Riesame, ha finalmente chiarito che la vendita di prodotti con tenore di THC pari o inferiore a 0,5% non integra alcun reato.
Cannabis Sativa L., il pasticcio italiano
La legge italiana n. 242/2016 ha introdotto una serie di misure volte a promuovere la filiera della canapa industriale, dalla fase agricola a quella di trasformazione e distribuzione di una serie di prodotti. Alimenti, cosmetici, materie prime per mangimi, materiali per l’agricoltura e la bonifica dei terreni, bioedilizia, bioplastiche, biomasse. Nella prospettiva di favorire una coltura redditizia e lo sviluppo sostenibile di un modello di economia circolare. Come già avviene in altri Paesi europei, dalla Germania alla Svezia.
Le stelle del POP (Profit Over People) – Big Pharma e Big Tobacco – non potevano però accettare alcun disturbo ai loro rispettivi monopoli. Così hanno dirottato la politica, l’amministrazione e la stampa verso temi che con la canapa industriale non hanno nulla a che vedere. In Europa – ove la DG Grow della Commissione europea è giunta a vietare l’impiego nei cosmetici del CBD (cannabidiolo, sostanza non psicoattiva) naturalmente estratto dalla canapa, ammettendo invece la stessa sostanza di sintesi chimica – come in Italia.
Il pasticcio italiano è iniziato con un parere del Consiglio Superiore di Sanità (CSS), peraltro privo di valore giuridico, nel quale si sono teorizzati possibili utilizzi impropri delle infiorescenze di canapa. Del tutto fuori tema rispetto all’argomento da trattare, i limiti di THC (tetraidrocannabinolo, sostanza psicoattiva) da ammettere nei cibi derivati da canapa, onde garantire la loro sicurezza alimentare. A ciò ha poi provveduto l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dopo una circolare del Ministero dell’Interno che ha escluso l’applicabilità del Testo Unico Stupefacenti (TUS) a infiorescenze di Cannabis Sativa L. con soglie di THC inferiori allo 0,5%. (1)
L’ISS ha infine chiarito le soglie di THC considerate sicure in diverse categorie di alimenti. Il Ministero della Salute ha così definito, su tali basi, i limiti ammessi per garantire la sicurezza alimentare dei prodotti in questione. Notificando a Bruxelles il proprio schema di regolamento 30.11.18, che tuttavia trascura le infiorescenze taglio tisana già ampiamente prodotte e commercializzate, anche in Italia, nel rispetto del diritto UE.
Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, in preparazione dell’ultima campagna elettorale, ha poi lanciato un anatema contro i ‘Cannabis shop’. All’insegna ‘di tutta l’erba un Fascio’, sono state ignorate del tutto le previsioni della legge 242/16 che delimita il proprio campo di applicazione alle sole varietà di canapa industriale la cui coltivazione è ammessa in Europa. Minacciando la chiusura di diverse migliaia di negozi che effettivamente commercializzano i prodotti da esse soltanto derivati.
Canapa industriale, giustizia a singhiozzi
La Corte di Cassazione – con sentenza delle Sezioni Unite 30.5.19, le cui ‘motivazioni’ sono ancora attese – ha offerto sponda a chi teorizzi difetti d’indipendenza tra potere giudiziario ed esecutivo. La Cassazione avrebbe dovuto chiarire l’inapplicabilità del TUS a tutti i prodotti privi di effetti psicotropi, in quanto derivati dalle varietà di canapa ammesse in UE (fatta salva la verifica del rispetto delle soglie di THC stabilite come sicure dal Ministero della Salute, in conformità alla legge 242/16). Ma anziché chiarire la questione giuridica, la Suprema Corte ha dato seguito alle illazioni salviniane nel confondere le acque, anzi le erbe.
Gli ermellini di Roma hanno così statuito che ‘le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa l.’ integrano il delitto di traffico di stupefacenti, ‘salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante’. Il grave reato non si può dunque configurare in relazione a quei prodotti di cui è la stessa legge 242/16 – con le precisazioni offerte dal Ministero della Salute – a escludere la ‘efficacia drogante’. Ma la ‘interpretazione provvisoria’ dei togati di Roma è tanto arzigogolata da offrire ampio margine ad applicazioni discrezionali, da parte delle autorità investigative.
La catena di comando nelle amministrazioni delle varie forze di polizia giudiziaria s’inceppa nell’abominio giuridico della Cassazione, poi riparte senza freno e investe centinaia di operatori nella filiera della canapa industriale. I quali – dopo aver investito risorse per costruire attività del tutto regolari, garantendo il rispetto di ogni requisito di legge – d’improvviso si trovano indagati per spaccio di droga. E subiscono il ‘sequestro preventivo’ di merci che però – secondo la legge, l’amministrazione sanitaria e la tossicologia – non hanno alcun effetto psicotropo.
Canapa industriale, giustizia al Tribunale di Genova
Il Tribunale Penale di Genova, Sezione del Riesame, è stato chiamato a pronunciarsi sul sequestro di una serie di prodotti – infiorescenze, oli, tisane e foglie di canapa sativa – presso un negozio di Rapallo, nel golfo del Tigullio. Le autorità di polizia giudiziaria avevano infatti proceduto al ‘sequestro preventivo’ delle merci, ipotizzando a priori che esse costituissero ‘corpo del reato’, cioè ‘sostanze stupefacenti’, senza aver cura di verificare la (in)consistenza dei presunti indizi. E sia il Sostituto Procuratore, sia il Giudice delle Indagini Preliminari avevano avallato l’accusa basata sul nulla.
Lo sventurato di turno – e ve ne sono molti purtroppo in Italia, a causa della farneticante ‘interpretazione provvisoria n. 15’ degli ermellini – si è così trovato sotto indagine per il grave delitto di traffico di stupefacenti. In ragione, si noti bene, di un’attività commerciale perfettamente lecita in quanto riferita a prodotti derivati da quelle varietà di canapa industriale la cui coltivazione è autorizzata in Europa, come in Italia, poiché prive di alcun effetto psicotropo. Ma dopo aver iscritto l’attività alla Camera di Commercio, notificato la vendita di alimenti alla ASL, versato i tributi all’Agenzia delle Entrate e i contributi all’INPS, l’esercente ha dovuto pure arruolare un avvocato per difendersi da accuse infamanti. Neppure Franz Kafka avrebbe potuto immaginare situazioni del genere.
La Sezione del Riesame del Tribunale di Genova è però intervenuta in soccorso della giustizia perduta. Con una pronuncia che si auspica riceverà attenta considerazione, da parte delle forze di polizia giudiziaria come della magistratura in tutta Italia, i giudici genovesi hanno chiarito come non si possa procedere a priori al sequestro di prodotti derivati dalla canapa. Non ravvedendosi alcun fumus commissi delicti al di fuori dei soli casi in cui – a seguito di doverose analisi – le infiorescenze risultino contenere THC in quota superiore allo 0,5%.
In assenza di riferimenti normativi atti a definire la percentuale di principio attivo che qualifica un prodotto come psicotropo, i magistrati della Superba si sono quindi riferiti al limite indicato nella circolare 31.7.18 del Ministero dell’Interno. (2) Questa percentuale, sottolinea il Tribunale del Riesame, ‘resta l’unico parametro per la potenziale efficacia psicotropa’. Di conseguenza, né il pubblico ministero né la polizia giudiziaria possono procedere al sequestro della merce. Devono piuttosto, in caso di dubbio, prelevare singoli campioni da sottoporre ad analisi. E solo in ipotesi di effettivo riscontro di una soglia superiore, a quel punto procedere all’iscrizione della notizia di reato e al sequestro.
Dario Dongo
Note
(1) V. Circ. Min. Interno 31.7.18, su http://www.canapaoggi.it/wp-content/uploads/2018/09/Cannabis-light-limitazione-ministero-interni-Salvini.pdf
(2) V. Nota 1
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.