Le pratiche commerciali sleali nell’ambito della filiera alimentare rappresentano a tutt’oggi un problema irrisolto. Dopo anni di consultazioni e sollecitazioni, la proposta di direttiva adottata il 12.4.18 dalla Commissione europea.
Pratiche commerciali sleali, il contesto
Le pratiche commerciali sleali sono state considerate – fino a ora – solo nella fase ultima della filiera, per la tutela del consumatore finale. (1) Trascurando i problemi più gravi, invece causati dal grave squilibrio di potere contrattuale tra la filiera di produzione – nel settore alimentare frammentata in una pletora di micro-imprese – e quella distributiva. Al di là dei soli termini di pagamento nelle transazioni commerciali, cui la direttiva 2011/7/UE (recepita in Italia con d.lgs. 192/12) ha finalmente posto limite.
Nel corso degli anni le Commissioni europee che si sono succedute hanno organizzato un ‘Forum di Alto Livello per un miglior funzionamento della filiera alimentare’. Con l’obiettivo – ancora lontano, purtroppo – di affrontare i problemi sopra accennati.
L’evidente squilibrio nelle relazioni contrattuali tra produttori agricoli primari e imprese di trasformazione, da un lato, e i colossi distributivi dall’altro non ha tuttavia trovato soluzione. Al di là di ipotetiche buone prassi a loro volta inidonee a risolvere il problema.
In Italia, un passo avanti sembrava essere stato fatto con il fatidico articolo 62 della legge 27/12, cui lo scrivente dedicò un’apposita monografia. Ma al di là dei buoni propositi, l’affidamento esclusivo dell’applicazione della citata normativa alle sole cure dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (Antitrust) ne ha di fatto escluso la concreta efficacia. (2)
Pratiche commerciali sleali, lo schema di direttiva
Il Commissario europeo per l’agricoltura Phil Hogan, dato atto sia della persistenza del problema, sia dell’impossibilità di risolverlo con strumenti di soft law come codici di condotta ad applicazione volontaria, (3) ha finalmente adottato una proposta di direttiva. (4)
Lo schema di direttiva UTPs (Unfair Trade Practices) è precisamente riferito alle pratiche commerciali sleali nelle relazioni B2B (business-to-business) nella filiera alimentare. Meglio tardi che mai, a fronte di una serie di risoluzioni del Parlamento europeo – nel 2010, 2011, 2012, 2016 (5) – e le consultazioni pubbliche ordite da Bruxelles già nel 2013. (6)
I diritti fondamentali in Europa – cristallizzati nella CFR, Charter of Fundamental Rights of the European Union – del resto comprendono la possibilità di esercitare impresa. (7) La protezione delle imprese rispetto al potere soverchiante dei loro contraenti è perciò doverosa anche sotto tale profilo. Oltreché per garantire un equo tenore di vita agli agricoltori, come previsto dal TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). (8)
La Politica agricola comune (PAC) dovrebbe infatti garantire la sussistenza delle comunità agricole, aumentare la produttività e stabilizzare i mercati, assicurare la disponibilità delle derrate e garantire prezzi ragionevoli per i consumatori. Ma il suo budget, già ridimensionato in misura significativa negli ultimi lustri, subirà ulteriori riduzioni a causa della Brexit.
Pratiche commerciali sleali, le regole proposte
La direttiva si applica a determinate pratiche commerciali sleali – di cui viene fornito esempio – in relazione alle vendite di prodotti alimentari da parte di PMI (9) ad acquirenti commerciali basati in UE, i quali invece non siano PMI (articolo 1).
Pratiche commerciali vietate. Gli Stati membri devono proibire le prassi di seguito elencate:
– pagamento di merci deperibili (10) oltre i 30 giorni dalla fattura o dalla consegna,
– cancellazione d’ordine di alimenti deperibili con preavviso così breve ‘che un fornitore non può ragionevolmente aspettarsi di trovare un’alternativa per commercializzare o utilizzare questi prodotti’,
– modifica unilaterale e retroattiva, da parte dell’acquirente, delle ‘condizioni del contratto di fornitura relative alla frequenza, ai tempi o al volume della fornitura o della consegna, agli standard di qualità o ai prezzi dei prodotti alimentari’,
– addebitamento al fornitore dei costi dello spreco di prodotti alimentari, non attribuibile a sue colpe, che si verifichi nei locali dell’acquirente.
Pratiche ‘sotto scrutinio’. Gli Stati membri assicurano che le seguenti pratiche commerciali siano vietate, ‘a meno che esse non siano concordate in termini chiari e inequivocabili alla conclusione del contratto di fornitura’:
– resi dei prodotti alimentari invenduti,
– listing fee (‘un acquirente addebita un pagamento al fornitore come condizione per lo stoccaggio, la visualizzazione o la quotazione di prodotti alimentari del fornitore’)
– contributi promozionali. ‘Prima di una promozione e se tale promozione è avviata dall’acquirente, l’acquirente deve specificare il periodo della promozione e la quantità prevista dei prodotti alimentari da ordinare’
Gli Stati membri dovranno recepire quanto sopra in norme imperative di legge, al preciso scopo di vietare che i relativi divieti e condizioni possano venire elusi mediante clausole contrattuali (articolo 3).
Le procedure a tutela delle PMI
Le organizzazioni dei produttori e le loro associazioni, in aggiunta ai singoli, potranno interpellare l’autorità designata in ciascun Paese all’attuazione della direttiva in termini di vigilanza e sanzioni.
Riserbo assoluto sull’identità del denunciante, ove richiesto, dovrà venire mantenuto dalla enforcement authority. Per prevenire il rischio di ritorsioni commerciali o di altro tipo. Il denunciante avrà in ogni caso diritto di venire informato sull’esito della procedura, anche nell’ipotesi in cui l’autorità decida di non procedere (art. 5).
L’autorità designata deve venire riconosciuta dei poteri di:
– attivare e condurre indagini, di propria iniziativa o a seguito di un reclamo,
– richiedere a compratori e fornitori di fornire tutte le informazioni necessarie per eseguire indagini sulle pratiche commerciali vietate,
– assumere decisioni che affermino la violazione dei divieti e ordinare l’interruzione immediata delle pratiche vietate,
– astenersi, viceversa, dall’adottare tali decisioni, qualora ciò comporti il rischio ‘di rivelare l’identità di un denunciante o divulgare qualsiasi altra informazione in relazione alla quale il denunciante ritiene che la divulgazione sia nociva ai suoi interessi’,
– infliggere sanzioni pecuniarie agli autori dell’infrazione. ‘La sanzione deve essere efficace, proporzionata e dissuasiva tenendo conto della natura, della durata e della gravità dell’infrazione’,
– pubblicare le decisioni di cui sopra,
-pubblicare relazioni annuali sulle proprie attività (numero di denunce ricevute e indagini eseguite. In relazione a ogni indagine, descrizione sintetica della questione e risultato). (articolo 6).
Cooperazione internazionale efficace dovrà venire garantita, tra le autorità designate nei vari Stati membri, con doveri di assistenza reciproca nelle indagini di ‘dimensione transfrontaliera’. Riunioni annuali verranno stabilite in vista di aggiornamenti cui la Commissione stessa dovrebbe provvedere su un apposito sito web (art. 7).
Gli Stati membri possono introdurre norme nazionali ulteriori rispetto alle regole previste dalla direttiva, purché esse siano compatibili con le regole sul funzionamento del mercato interno’ (art. 8). L’Italia potrebbe perciò correggere il fatidico articolo 62, attribuendo alla Guardia di Finanza i poteri di iniziativa, controllo e sanzione. L’Antitrust non ha fatto nulla in sei anni, vanificando così del tutto una normativa che venne sviluppata con apprezzabile criterio.
L’elefante e il topolino
La metafora del pachiderma a fianco del piccolo roditore ricorre nell’intera vicenda. L’elefante di Bruxelles ha partorito un topolino, un fazzoletto così microscopico da consentire a ogni colosso di girarvi attorno e continuare a comprimere i diritti delle cavie.
L’elenco delle pratiche vietate è certo utile, ma dev’essere ben più ampio. Soprattutto, l’elenco deve venire inteso come una lista aperta, di valore esemplificativo anziché esaustivo.
Ed è curioso annotare il bipolarismo di questa Commissione che mentre offre briciole ai sorcini locali, invita le nutrie e i castori degli altri continenti a partecipare al banchetto. I liofanti della distribuzione globale avranno ragioni in più per approvvigionarsi di materie prime agricole e alimenti.
Gli elefanti della distribuzione globale avranno ragioni in più per approvvigionarsi di materie prime agricole e alimenti in Nord-America grazie al CETA e in Sud-America col MerCoSur. Oltre a quella cinquantina di Paesi le cui merci accedono senza dazi al nostro mercato, per merito del sistema EBA (Everything But Arms) a tutt’oggi privo di clausole per la salvaguardia delle nostre filiere, riso italiano in primis.
Dario Dongo
Note
(1) Cfr. dir. 2005/29/CE, recepita in Italia con i d.lgs. 145/07 e d.lgs. 146/07 (Codice del Consumo). Cenni alle pratiche sleali nei rapporti tra operatori economici si rinvengono anche nella dir. 2006/114/CE, entro gli angusti limiti però della pubblicità ingannevole e comparativa
(2) Si vedano i diversi articoli pubblicati su http://www.ilfattoalimentare.it/?s=Articolo+62
(3) Iniziative in tal senso sono state adottate anche in Inghilterra e in Irlanda. A livello europeo si segnala la Voluntary Supply Chain initiative (http://www.supplychaininitiative.eu/), inutile proprio in quanto volontaria e priva di meccanismi sanzionatori
(4) Il testo della proposta di direttiva ‘on unfair trading practices in business-to-business relationships in the food supply chain’ e altri documenti a ciò relativi sono disponibili, per ora solo in lingua inglese, su https://ec.europa.eu/info/publications/key-documents-unfair-trade-practices_en
(5) L’ultima risoluzione sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare è stata adottata dall’Assemblea di Strasburgo il 7.6.16. Cfr. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&language=EN&reference=P8-TA-2016-0250
(6) Ancora nel 2016, a dispetto di ogni evidenza sulla gravità del problema, la Commissione europea si era ostinata a non adottare alcuna proposta regolativa. Si veda il precedente articolo https://www.foodagriculturerequirements.com/news_1/commissione-europea-una-legislazione-sulle-pratiche-commerciali-sleali-non-necessaria-al-momento
(7) V. CFR, articoli 16, 51, 52
(8) Cfr. TFUE, articolo 39
(9) Le PMI sono ‘le imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro’ (comunicazione 361/2003/CE, art. 2.1)
(10) NB: le merci deperibili, nella proposta di direttiva, sono ‘tutti i prodotti alimentari che diventeranno inadatti al consumo umano a meno che non siano immagazzinati, trattati, confezionati o altrimenti conservati per impedire’ ciò (art. 2.1.e)
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.