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La diga di Vetto per salvare i prati stabili del Parmigiano Reggiano

I prati stabili della Val d’Enza – ‘la culla del Parmigiano Reggiano’ e altre celebri DOP – da oltre due secoli attendono la costruzione della diga di Vetto. Per affrontare in autonomia la carenza idrica sempre più grave, mediante il prelievo diretto delle acque cristalline del fiume Enza.

Dopo 40 anni di tenaci battaglie, gli agricoltori dei Comuni montani e la società civile riunita per promuovere lo sviluppo sostenibile della valle – grazie all’acqua potabile e irrigua, nonché l’energia idroelettrica in quantità, naturalmente offerte dalla diga – vedono invece prospettarsi un misero contentino. Anzi, una beffa.

La Regione Emilia-Romagna ipotizza infatti di realizzare un invaso di 25- 27 milioni di metri cubi (mc). Poco più di 1/6 dei 147 milioni di mc che essa stessa ha stimato necessari nel 2018. Da questa scelta dipende la sicurezza alimentare di ortofrutta e foraggi, così anche del latte e il Parmigiano Reggiano DOP, i quali ancora dipendono dalle acque del fiume Po.

Diga di Vetto, il progetto iniziale

Risale al 1800 il visionario progetto della diga di Vetto, elaborato da Giuseppe Carlo Grisanti. ‘Profuse in questo progetto ingenti somme e una fenomenale attività, ma tutta la sua energia e gli enormi sforzi da lui fatti si infransero contro la barriera appostagli a ignoranza, dalla malafede, dall’invidia, dalla riluttanza […] ad accogliere idee nuove anche in
opposizione ai loro interessi‘, riportano i diari compilati a suo tempo. (2)

Si disse che allora i tempi non erano maturi per questa impresa, ma sembra che occorrano per noi secoli per maturare idee ormai comuni e messe in pratica in tutto il mondo fin dalle più remote età.
Questo vasto progetto non è stato compreso o non si è voluto comprendere ed è notevole il fatto che una gran parte si è schierata con gli oppositori sostenendo che il progetto non era pratico sebbene per dichiarazione di loro stessi non l’abbiano mai che visto (…).

Tutti riconoscono la necessità di provvedere acqua; il valore che essa ha per la produzione agraria (…). È difficile il potersi render conto di questo fenomeno di opposizioni contro opere che sono riconosciute dagli stessi oppositori di assoluta utilità.’ (2)

Diga di Vetto, i primi sviluppi

Di generazione in generazione, il progetto del ‘bacino Grisanti’ per derivare le acque del fiume Enza venne presentato nel 1863 al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, poi integrato alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma e trasmesso al ministero dell’Agricoltura. Con l’idea di costruire due dighe, alla Stretta di Vetto e alla vicina Stretta delle Gazze, che avrebbero consentito di irrigare 11 mila ettari di terreni per almeno 100 giorni l’anno.

I progetti vennero approvati dai Consigli provinciali di Parma e Reggio Emilia nel 1891 e 1892, la concessione rilasciata nel 1907. Nel 1921 il ministero dei Lavori Pubblici introdusse l’idea di sviluppare due centrali idroelettriche che avrebbero alimentato, tra l’altro, le linee ferroviarie Bologna-Milano e Parma-La Spezia. Le Ferrovie dello Stato vennero così coinvolte nel progetto di realizzare due invasi di maggiore capacità, per complessivi 100 milioni di metri cubi, con due centrali da 25 e 6 mw.

Prospettive ante-guerra

La dimensione degli invasi avrebbe consentito di irrigare regolarmente 16 mila ettari di terreni, oltre a fornire acqua potabile ed energia rinnovabile in abbondanza alle comunità locali. E a garantire la portata costante dell’acqua fluviale, ‘eliminando i gravissimi inconvenienti che le grandi piene producono a valle’. Così da risparmiare le ingenti spese annuali per il ripristino dei danni causati dal dissesto idro-geologico.

Nel 1928 le giunte provinciali di Parma e Reggio stipularono una convenzione con la società idroelettrica Val d’Enza e il ministro segretario di Stato per i lavori pubblici deliberò la concessione per la costruzione dell’opera. Ma la crisi economica decretò il fermo dei lavori poco dopo il loro avvio. La seconda guerra e le successive ricostruzioni fecero poi perdere di vista le dighe del fiume Enza.

Dalla prima alla seconda Repubblica

Nel 1987 il ministro dell’Ambiente Carlo Ripa di Meana dichiarò l’urgenza di eseguire la diga di Vetto per gli usi irrigui (127,7 mln mc), industriali e civili (47,8 mln mc) e idroelettrici. L’esponente dei Verdi – poi nominato da Jacques Delors Commissario europeo per l’ambiente – colse appieno il valore ambientale dell’opera, nell’esigenza di preservare anziché sprecare le acque pure dell’Enza. E produrre energia, pulita oltretutto, anziché consumarne per pompare le acque inquinate del Po fino all’altezza della Via Emilia.

I lavori vennero così avviati ma prontamente sospesi, il 16.8.89. A causa delle opposizioni strumentali di associazioni pseudo-ambientaliste e pseudo-consumeriste – come WWF, Codacons e gli amici della nutria – da sempre molto sensibili agli sponsor occulti. Solo l’8.10.98 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione risolsero la controversia, a favore della diga. Ma gli anni ‘80 erano volati via, assieme al boom degli investimenti pubblici in infrastrutture. E i lavori della diga di Vetto più non ripresero.

40 anni di battaglie

40 anni di battaglie, a cavallo tra il XX e il XXI secolo, hanno visto il Comitato Promotore della Diga di Vetto contrapporsi a un sistema di potete parassitario che si radica nella gestione (della disfunzione) idrica. Da un lato si trova chi vuole trattenere a monte l’acqua pura del fiume Enza, per utilizzarla là dove serve a irrigare i prati stabili e le loro colture, oltre a sfruttare l’energia elettrica che se ne può ricavare. Sul fronte opposto v’è chi si schiera, dietro varie bandiere, affinché tale acqua venga sprecata.

Il perché è semplice, quanto illogico e perverso. La valle dell’Enza ha un fabbisogno medio annuo di oltre 200 milioni di metri cubi d’acqua. Lo spreco dell’acqua del fiume Enza garantisce la continuità della domanda d’acqua che il Consorzio di Bonifica Emilia Centrale preleva a valle, dal fiume Po, per ri-sollevarla a monte. Denari, poteri e poltrone gestiti, nel caso specifico, dal cerchio magico di Coldiretti (3,4).

La dieta idrica Bonaccini

Nel 2018 il tavolo tecnico per la val d’Enza della Regione Emilia-Romagna indicava il fabbisogno di 47,8 milioni mc/anno per usi civili e industriali e 100 milioni di mc/anno in invaso (54,2 milioni/mc anno in campo) per gli usi colturali e agricoli. Fabbisogno totale, 147,8 milioni di mc/anno.

Nel 2020 il governatore Stefano Bonaccini ha però deciso di applicare una dieta rigorosa a ‘La risorsa idrica in Val D’Enza’. (5) Partendo dalla ‘sensibilizzazione sulle politiche di risparmio dell’acqua’ e il ‘passaggio a colture seminative meno idroesigenti, salvaguardando le superfici a prato stabile’.

L’acqua però si puo risparmiare solo se esiste un invaso che la trattenga nei periodi di abbondanza, altrimenti le acque scendono verso il mare. (Isaac Newton, legge di gravitazione universale, 1687). La dieta idrica di Bonaccini può quindi bastare alle colture di fichi d’India, forse. Ma alla val d’Enza serve un invaso vero, adeguato alle esigenze che erano già chiare a partire dal 1800, senza più dipendere dal sollevamento delle acque inquinate del Po.

La politica dei laghetti

La politica dei laghetti è ovviamente quella favorita da Vincenzo Gesmundo, il capo dei capi di Coldiretti. Poiché essa consente di moltiplicare studi di fattibilità e progetti, finanziamenti e appalti, valorizzazione terreni, convenzioni con i grandi fornitori (es. ENI, Enel), nuovi enti di gestione e poltrone. L’oro blu è la nuova frontiera per drenare risorse pubbliche e private ed esercitare potere, core business di Palazzo Rospigliosi (6,7).

Quando però le imprese agricole sono attive e le colture sono quelle della tradizione – come in Emilia-Romagna, prima regione al mondo per numero e fatturato delle sue DOP e IGP – i laghetti rischiano di svuotarsi al primo caldo, per offrire solo la visione lunare di un invaso vuoto. La cartina tornasole di una politica così scriteriata, in val d’Enza, da ostinarsi a negare i fabbisogni idrici già chiari da almeno due secoli.

La qualità delle acque in agricoltura

Le acque superficiali utilizzate per l’irrigazione derivano per l’81% dalla rete di bonifica, spiegava nel 2012 un ricercatore senior del Canale Emiliano Romagnolo (CER). (8) La rete di bonifica ‘svolge frequentemente la doppia funzione di scolo e irrigazione’.

Tutte queste fonti idriche sono potenzialmente soggette ad alterazioni delle condizioni fisico-chimiche e microbiologiche di diversa origine quali scarichi abusivi, infiltrazioni da discariche, reflui non depurati di origine urbana o zootecnica, infiltrazioni saline ed immissione di pesticidi (9) e nutrienti.

In questa situazione l’agricoltura appare come fonte di inquinamento per quanto riguarda la presenza nelle acque di azoto, fosforo, pesticidi e metalli pesanti derivanti dal loro decadimento, ma altresì come vittima dell’inquinamento urbano ed industriale.’ (8)

Acque reflue in agricoltura

In un prossimo futuro’ – scriveva il ricercatore del Canale Emiliano-Romagnolo nel 2012 – ‘è inoltre prevedibile che al comparto agricolo verranno destinate principalmente acque reflue derivanti da impianti di depurazione, sia per un loro riuso produttivo sia per la possibilità di sfruttare le capacità depurative del suolo agrario come trattamento finale del refluo. (10)

In questo quadro generale è quanto mai indispensabile considerare attentamente i rischi connessi all’uso di acque inquinate a fini irrigui e soprattutto definire un criterio di valutazione dell’impatto che queste esercitano sui suoli e sulle produzioni agricole’. (8)

Microplastiche in agricoltura

Il primo studio sulle microplastiche (MP) nelle acque reflue destinate all’agricoltura (Magni et al., 2019) è stato realizzato in Lombardia. A valle di uno dei più grandi impianti di trattamento acque del Nord Italia, costruito a inizio anni 2000. (11) I ricercatori stimano che l’impianto in questione – nel trattare ogni giorno circa 400 mila metri cubi di acque reflue – rilascia ogni giorno:

– nel sistema acquatico ricevente (il fiume Po?) circa 160 milioni di MP/giorno,

– nelle 30 tonnellate di fanghi attivi riciclati ogni giorno (anch’essi con destino agricolo, es. fertilizzanti) circa 3,4 miliardi di microplastiche.

Un altro studio italiano (Oliveri Conti et al., 2020) ha invece dimostrato come le microplastiche e nanoplastiche – oltre a ritrovarsi nell’aria, nell’acqua e in vari cibi – residuano anche all’interno di frutta e verdura. (12)

Conclusioni provvisorie

Le produzioni agroalimentari nelle province di Parma e Reggio Emilia sono tutt’ora affidate all’energivoro pompaggio delle acque del Po, non esattamente ‘cristalline’. E in quota minore alle acque di falda, a loro volta in alcuni casi non prive di incertezze. Da ciò dipendono i foraggi per le vacche da latte del Parmigiano Reggiano e i suini del prosciutto di Parma DOP, oltre ai pomodori da conserve e l’anguria reggiana IGP, tra gli altri.

La conformazione della Stretta di Vetto e l’apertura della valle a monte permettono di realizzare un invaso di circa 102 milioni di mc con uno sbarramento relativamente modesto. (13) Quanto basta a garantire acqua pulita a monte, proteggere i terreni a valle dalle esondazioni, prevenire possibili rischi emergenti per le filiere agricole Reggiana e Parmense.

Gli invasi montani oltretutto restituiscono l’80% delle loro acque all’ambiente, tramite l’evaporazione e il ritorno alle falde. Oltre a consentire la produzione di energia elettrica rinnovabile, idroelettrica e magari anche solare. (14) Transizione ecologica, sicurezza alimentare e sviluppo sostenibile del territorio. Anche in chiave agrituristica, balneare e di sport acquatici inclusivi. E perché no, creare lavoro in aree montane spopolate.

#VanghePulite, #digadiVetto.

Dario Dongo

Note

(1) Il progetto di Giuseppe Carlo Grisanti e i relativi disegni sono ora custoditi a Reggio Emilia, presso la biblioteca
universitaria di Via Allegri e la Fondazione Studium Regiense
(2) Carlo Baldi. Diga, una grande opera che va realizzata. Stampa Reggiana, maggio 2010
(3) Il Consorzio Bonifiche Emilia Centrale ha registrato nel 2020 un totale ricavi per la gestione caratteristica di € 33,5 mln, +10,2% rispetto al 2019, con utile di €620 mila euro
(4) La Coldiretti provinciale di Reggio Emilia è commissariata da Palazzo Rospigliosi dal 7.11.04, dopo le dimissioni del suo ultimo presidente Marino Zani. In questi 7 anni sono frattanto cambiati 4/5 direttori provinciali e 6/7 commissari, nominati da Vincenzo Gesmundo. L’attuale commissario è Nicola Bertinelli, che è anche Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano e di Coldiretti Emilia-Romagna, così pure v.presidente di Coldiretti nazionale
(5) Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, Regione Emilia-Romagna. La risorsa idrica in Val D’Enza. Settembre 2020
(6) V. paragrafo Una tragica realtà, nel precedente articolo
(7) Dario Dongo. Germina Campus, la holding di Coldiretti che specula sugli agricoltori. #VanghePulite. GIFT (Great Italian Food Trade). 13.6.21, https://www.greatitalianfoodtrade.it/idee/germina-campus-la-holding-di-coldiretti-che-specula-sugli-agricoltori-vanghepulite
(8) Adriano Battilani (2012). La qualità delle acque: una nuova variabile nella gestione irrigua. Consorzio Bonifica CER – ANBI. Il CER, Canale Emiliano Romagnolo, è una delle più importanti opere idrauliche italiane. Esso assicura, tramite derivazione dal fiume Po, l’approvvigionamento idrico di un’area estesa su oltre 300.000 ettari
(9) Dario Dongo. ISPRA, rapporto 2020 sui pesticidi nelle acque. GIFT (Great Italian Food Trade). 24.12.21, https://www.greatitalianfoodtrade.it/sicurezza/ispra-rapporto-2020-sui-pesticidi-nelle-acque
(10) Dario Dongo. Fanghi tossici nel decreto Genova, abrogare subito. GIFT (Great Italian Food Trade). 24.12.18, https://www.greatitalianfoodtrade.it/salute/fanghi-tossici-nel-decreto-genova-abrogare-subito
(11) Dario Dongo. Microplastiche nelle acque e in agricoltura, primo studio in Lombardia. GIFT (Great Italian Food Trade). 18.12.18, https://www.greatitalianfoodtrade.it/salute/microplastiche-nelle-acque-e-in-agricoltura-primo-studio-in-lombardia
(12) Dario Dongo. Microplastiche dentro la frutta e la verdura. Lo studio italiano. GIFT (Great Italian Food Trade). 21.6.20, https://www.greatitalianfoodtrade.it/sicurezza/microplastiche-dentro-la-frutta-e-la-verdura-lo-studio-italiano
(13) 320 metri di lunghezza, 82 metri nella parte più alta. 20-25% in meno rispetto all’ultima diga (420 m, 103 m altezza massima) realizzata in Emilia-Romagna, negli anni ‘90 del secolo scorso a Ridracoli (Bagno di Romagna, provincia di Forlì-Cesena)
(14) La più grande centrale fotovoltaica alpina svizzera è quasi pronta. TV Svizzera. 21.8.21, https://bit.ly/3kj8kKr

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