HomeProgressoAlimenti sfusi, in Italia la domanda esiste ma rimane inespressa

Alimenti sfusi, in Italia la domanda esiste ma rimane inespressa

L’acquisto di alimenti sfusi in Italia è ancora un’abitudine poco diffusa. Il motivo sembra risiedere soprattutto nella scarsa disponibilità di punti vendita organizzati per la vendita di sfuso o alla spina. Molti consumatori, infatti, si dichiarano interessati a fruirne, ma poco informati su come farlo. Il trend emerge da un sondaggio pubblicato il 26 aprile su economiacircolare.com.

Alimenti sfusi, la propensione in Italia

Il sondaggio è stato organizzato nell’ambito della campagna informativa ‘Ma quanto sei sfuso/a?’ assieme alla app Junker e a Sfusitalia.  La prima consente di conoscere la natura degli imballaggi, scansionandone il codice a barre, e il modo corretto di smaltimento. La seconda è un’organizzazione che promuove l’acquisto di alimenti e altri prodotti sfusi o alla spina, anche mediante un motore di ricerca (ancora un po’ impreciso) per individuare sia i negozi specializzati in questo genere di vendita sia quelli tradizionali con un corner dedicato allo sfuso.

Sul sito di economiacircolare.com il sondaggio è rimasto aperto per due mesi e ha raccolto 10.015 risposte. Il campione, sia chiaro, non è stato selezionato per rappresentare la generalità dei consumatori italiani. Rispecchia le opinioni dei lettori del magazine, già ben orientati verso uno stile di vita sostenibile. Tuttavia, fornisce importanti spunti di riflessione.

Le risposte al sondaggio

I negozi che vendono prodotti sfusi sono frequentati ancora da una minoranza, anche se ampia (43%), di persone che frequenta soprattutto negozi con corner dedicati e in misura molto minore esercizi che offrono esclusivamente prodotti disimballati. La frequenza di acquisto è ancora contenuta. Uno su 4 (25%) compra sfuso una o più volte la settimana, circa il 40% lo fa una volta al mese e il 30% acquista sfuso ‘raramente’.

Quasi sei persone su 10 (57%), invece, non frequentano negozi che vendono prodotti sfusi.

Una larghissima maggioranza, quasi l’84% di chi ha partecipato alla survey e non frequenta negozi sfusi, lo farebbe volentieri.

Legumi e frutta secca

I generi alimentari più acquistati sfusi sono i legumi e la frutta secca, cereali, vino, tè e tisane. Tra il non food dominano invece i detersivi per il bucato e quelli per l’igiene domestica e personale.

Le ragioni dei sostenitori

In Italia, le motivazioni degli acquirenti di alimenti e altri prodotti sfusi sono prevalentemente di natura etica

  • non produrre rifiuti inutili, in una visione wasteless,
  • tarare la quantità di prodotto da acquistare sui consumi reali ed evitare sprechi,
  • sostenere i negozi di prossimità.

Ulteriori ragioni addotte riguardano

  • la migliore qualità dei prodotti, tipica dei negozi specializzati nello sfuso, prevalentemente bio,
  • costi più contenuti, grazie al risparmio sul prezzo dell’imballaggio.
  • maggiore comodità nella conservazione dei prodotti sfusi nella dispensa.

Le questioni che frenano lo sfuso

Chi non acquista sfuso, invece, lo fa per mancanza di opportunità o scetticismo. Le principali motivazioni riferite sono

  • la distanza dai negozi che offrono questi prodotti (quasi la metà dichiara non di trovarne nel proprio comune di residenza),
  • l’incapacità di trovare punti vendita attrezzati (poco meno della metà del campione).

La diffidenza e la pigrizia riguardano una parte minoritaria, che preferisce i prodotti confezionati considerati

  • più igienici e comodi,
  • meno cari dei prodotti venduti nei negozi specializzati nello sfuso,
  • di migliore qualità.

Italia ancora in retroguardia

La promozione della vendita degli alimenti sfusi in Italia rimane in sostanza una opzione di nicchia. Mentre in Francia il 20% delle grandi superfici deve venire dedicata allo sfuso, nel Bel Paese è previsto soltanto un piccolo incentivo (5mila euro di contributo) per chi allestisce aree dedicate alla vendita packaging-free.

A fare la differenza, come sempre, saranno i cittadini-consumatori. Ridurre l’impatto ambientale dei propri consumi (e il volume dei rifiuti da smaltire) è peraltro favorito dalla legge 1411/2019, il cosiddetto decreto Clima, che consente di portare i propri contenitori riutilizzabili da casa per acquistare prodotti alimentari sfusi nei supermercati.

#wasteless

Marta Strinati

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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