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Salmone affumicato, l’ABC

Salmone affumicato, quale? La prelibatezza che un tempo era riservata a pochi, in quanto rara e costosa, è ora disponibile ovunque, con prezzi accessibili e varietà di scelta. Ma cosa scegliere tra Norvegia, Scozia e Irlanda, Alaska e Canada? Selvaggio e d’allevamento? Tanto costa tanto vale? E quali altre indicazioni cercare in etichetta?

Il pesce ‘quasi fresco’ è sempre pronto, un vero jolly in frigorifero. Bastano un ciuffo d’insalata, un po’ di pane e un filo di burro per una cena gourmet, o quasi. Senza neppur bisogno di usare i fornelli. Ed è pure raccomandato dai nutrizionisti, per via degli acidi grassi Omega 3 che fanno tanto bene alla salute. Ma la qualità e la sostenibilità variano sensibilmente, tra un prodotto e l’altro. L’ABC a seguire.

Salmone selvaggio, i punti a favore

Il salmone selvaggio viene preferito da molti in quanto associato agli equilibri naturali, in contrapposizione ad allevamenti più o meno intensivi. Vero. In effetti, il ‘selvaggio’:

– si nutre secondo natura, anziché venire ingrassato e ‘colorato’ con mangimi performanti,

– è esente da antibiotici e altri farmaci veterinari,

– nuota liberamente, ben più dei suoi simili racchiusi nelle affollate reti in mare aperto.

Le sue carni sono asciutte, consistenti. Il loro profilo nutrizionale è migliore, grazie alla minor quantità di grassi. I prodotti disponibili a scaffale derivano peraltro da esemplari molto diversi per stazza, sapore e consistenza. Sul fronte delle etichette si legge soltanto il nome commerciale, ‘salmone affumicato selvaggio d’Alaska’. I prodotti distribuiti in Europa derivano infatti quasi esclusivamente dalla pesca nell’Oceano Pacifico settentrionale, tra Alaska e Canada. La specie ittica viene invece specificata nella lista degli ingredienti.

Salmone selvaggio, rosso o reale?

In Italia, le specie più diffuse di wild salmon sono due:

– Sockeye o Salmone rosso (Oncorhynchus nerka). È un pesce di piccole dimensioni, i cui filettini si prestano facilmente al confezionamento a peso fisso, in astucci da 80-100 grammi. Colore rosso intenso, consistenza compatta, prezzo relativamente economico (40 €/kg circa),

– Red King o Salmone reale (Oncorhynchus tshawytscha). Un pesce così grande da stare stretto negli astucci, con filetti che pesano anche 3-4 kg. Il colore è meno intenso rispetto al Sockeye ed è a volte de-pigmentato proprio sul muscolo. Morbido quasi da spalmare. È un pesce reale appunto, da grandi occasioni e capacità di spesa (>100 €/kg). Si trova in alcune linee premium e più facilmente nelle gastro-oreficerie.

Salmone di allevamento, più passaporti all’identica specie

Il salmone allevato appartiene alla specie Salmo Salar. I nomi commerciali che campeggiano sul fronte etichetta – es. ‘salmone norvegese’, ‘salmone scozzese’ – valgono perciò a distinguere i prodotti in base al Paese di allevamento. Le differenze sono significative, ben maggiori di quelle che si rilevano in altri prodotti di acquacoltura (es. orata italiana vs. orata greca), per due semplici ragioni:

– benessere animale e tutela dell’ecosistema sono presidiati, in Norvegia (Paese extra-UE), mediante regole più severe di quelle applicate in Scozia,

– i controlli veterinari delle autorità scandinave sono serrati. Imparagonabili a quelli scozzesi, come un’accurata indagine dell’emittente nazionale britannica ha di recente mostrato. (1)

Dopo una prima fase di accrescimento in vasche di acqua dolce, gli animali sono allevati in mare. Dentro grosse reti galleggianti che tendono a inquinare acque e fondali con la caduta del mangime non consumato, feci e antibiotici.

La qualità delle carni è legata ai mangimi somministrati agli animali. Ma la vera qualità, nei pesci di allevamento, va ricercata nel non utilizzo di antibiotici. I quali oltretutto possono venire evitati mediante vaccinazione dei salmoni contro le principali patologie che possono colpirli.

Salmone allevato, i costi degli Omega 3

Il tenore di grasso varia straordinariamente, dal 3 al 15%, a seconda che il salmone sia selvaggio o allevato, norvegese o scozzese. Laddove il maggior contenuto di grassi, nei pesci allevati, deriva dalla ridotta capacità di movimento ma anche dalle quantità di materia grassa aggiunta ai mangimi.

La presenza di grassi Omega 3 varia in genere tra tra 0,3 e 0,6 g su 100, e deriva dall’impiego di mangimi con olio di pesce. Il quale viene ottenuto, così come la farina di pesce, da specie di modico valore commerciale (es. aringhe e altri tipi di pesce azzurro). Ma il sovrasfruttamento dei mari – che ha ridotto drasticamente le riserve ittiche – e l’accresciuta domanda di queste specie sui mercati asiatici hanno reso insostenibile l’impiego di tali risorse.

Paradossalmente, la ricchezza in Omega 3 dei salmoni allevati si basa su due presupposti che è difficile accettare sul piano etico:

– sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche naturali, per produrre più olio di pesce. Al punto che un tempo si impiegavano i derivati di 6-7 kg di pesci ‘selvaggi’ per ottenere 1 kg di Salmo. Ora si vorrebbe tendere a un apporto paritetico (1:1), per l’esigenza di contenere i costi di produzione,

– malessere animale. Più il Salmo è contenuto, a causa della concentrazione di pesci in rete, meno nuota e più ingrassa.

Sostenibilità e innovazione nei mangimi

La ricerca di mangimi più sostenibili dell’olio di pesce si sposta verso altre matrici. È ancora diffuso l’impiego del gamberetto di oceano (Krill), esponendo a rischio di estinzione un’altra specie ittica. E si considerano altre fonti proteiche, estranee all’ambiente marino. Come la farina di insetti – che esprime un grande potenziale, come si è visto – e la soia.

La soia è un’ottima fonte di proteine vegetali ad alto valore biologico, con un ricco portafoglio di aminoacidi. Le proteine si ricavano a seguito dell’estrazione dell’olio dai semi, tramite spremitura meccanica e/o solventi (esano) e costituiscono la base dei mangimi per i bovini. La sostenibilità di questa risorsa è tuttavia legata a doppio filo con quella delle coltivazioni agricole. Si riafferma perciò, ancora una volta, l’attualità della campagna e della petizione Buycott! contro la soia OGM che deriva da rapina delle terre e deforestazioni.

Se l’agricoltura europea si dimostrerà in grado di produrre soia non-OGM, adottando disciplinari che ne garantiscano la vera sostenibilità, sarà possibile ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti di salmoni. Il Salmo Salar ha infatti bisogno di molte proteine nella fase giovanile ed è sufficiente inserire fonti di Omega 3 negli ultimi 6 mesi di breeding, affinché i preziosi grassi si trasferiscano nelle carni.

‘Affumicato naturalmente’ o ‘con aroma di fumo’?

Il pesce viene affumicato secondo due tecniche completamente diverse, che incidono su colore, consistenza e composizione aromatica dell’alimento:

– ‘Affumicatura naturale’. I pesci vengono appoggiati su una griglia ed esposti al fumo di combustione dei trucioli di legno. Il legno utilizzato varia in base ai gusti dei mercati di destinazione. In Italia è favorito il faggio, in Nord Europa la quercia e altre piante che attribuiscono al salmone un aroma più marcato,

– Aroma di fumo. Tutt’altra storia è quella degli ‘aromi naturali di fumo’. I quali sono sostanze liquide o in polvere che vengono spalmate sulle carni o iniettate nei loro tessuti. L’adozione di questo processo ‘alternativo’ di affumicatura è rivelato dalla citazione in etichetta di ‘aroma/i (naturale/i) di fumo‘, nella lista degli ingredienti.

La differenza di valore è sostanziale. Nell’affumicatura naturale, il pesce perde acqua, si asciuga e concentra i profili aromatici. Gli aromi aggiunti hanno invece la funzione di mantenere peso e umidità, con buona pace dei sapori della tradizione. Qualità e costi di lavorazione calano drasticamente, così come i prezzi (dai 45-50 ai 25 euro/kg).

La tecnica tradizionale di affumicatura, del resto, richiede professionalità e attenzione. A fronte del rischio di contaminazione da idrocarburi policiclici aromatici (IPA), che si possono formare qualora la combustione del legno avvenga a temperature non controllate.

‘Salato a secco’ o immerso in salamoia

Il sale aggiunto al salmone affumicato varia in genere dal 2,5 al 4%. Il cloruro di sodio adempie alla duplice funzione di conferire sapidità e conservare il prodotto. Come è uso anche nella lavorazione delle carni di animali terrestri (es. prosciutto crudo, bresaola, carne salada). Ricerca e sviluppo dovrebbero quindi venire portati avanti per ridurre il sale in tutti questi prodotti, come pure nei cibi vegani Ready To Eat. Tenuto conto della soglia di sicurezza definita da OMS ed Efsa, pari a 5g/die di sale per gli adulti.

L’aggiunta di sale sui salmoni può venire eseguita con due modalità:

– ‘salato a secco’. Secondo tradizione, lo spargimento di sale viene eseguito manualmente. Più abbondante sul dorso, ove il muscolo è più spesso, meno sul lato interno. Un metodo più costoso ma al contempo più preciso, che riduce al minimo i rischi di contaminazione batterica,

– immersione in salamoia. I filetti vengono immersi in una soluzione di acqua e sale. Al risparmio sui costi di manodopera corrisponde tuttavia una salatura meno accurata e la riduzione della durabilità dell’alimento, in quanto esposto a contaminazione batterica attraverso il liquido.

Marta Strinati e Dario Dongo

Note

(1) Lucy Adams. (2019). Is there a problem with salmon farming? BBC Panorama, https://www.bbc.com/news/uk-scotland-48266480

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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