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Gorillas e dark store, la nuova frontiera della distribuzione

La app Gorillas di food delivery è arrivata in Italia. La startup è già attiva in alcune zone di Milano e progetta di raggiungere presto altre città italiane, a partire da Torino, Genova e Roma.

Gorillas e dark store, la nuova modalità di distribuzione

La promessa di Gorillas è lavorare in partnership con il produttori locali e consegnare la spesa a domicilio entro 10 minuti dall’ordine. Per farlo, opera attraverso una rete di dark store, vale a dire magazzini chiusi al pubblico, con presenza capillare nelle zone servite dal servizio.

La consegna è operata da biker (in bicicletta) e costa 1,80 euro.

Uno schema competitivo vantaggioso

L’organizzazione basata sui dark store di quartiere potrebbe rappresentare una concorrenza agguerrita nei confronti della distribuzione organizzata tradizionale (supermercati, ipermercati), ma anche verso le botteghe di vicinato.

I vantaggi sono significativi, commenta il nostro amico tecnologo alimentare Carmine F. Milone:

1) minori costi strutturali (poiché non servono vetrine refigerate né oneri di adeguamento per flussi di persone esterne all’attività)

2) ottimizzazione degli spazi (in assenza di superfici di vendita, lo spazio è interamente dedicato a magazzino con un maggiore rapporto kg/mq)

3) maggiore sicurezza intesa come food defense (contaminazioni volontarie da parte dei clienti)

4) minori rischi di furti

5) maggiore facilità di gestione.

Il rapporto con i lavoratori

Il rapporto con i lavoratori impiegati nel food delivery è sempre un elemento complesso, a rischio sfruttamento. Anche per Gorillas, nata in Germania, Paese con una discreta tradizione di tutela dei lavoratori, con alcune eccezioni. E alla ricerca di diverse figure professionali.

Nonostante l’approccio dichiaratamente friendly (assunzione con contratto e rispetto delle diversità, di genere, etniche, etc.), la startup ha incassato pochi giorni fa a Berlino una manifestazione di protesta nata per un licenziamento in tronco e dilagata poi ai temi chiave del lavoro nel food delivery. Paga oraria scarsa (11,50 euro), periodo di prova al massimo consentito (6 mesi), pacchi troppo pesanti, scarsa comunicazione con i coordinatori, cattiva manutenzione delle biciclette, etc.

La debolezza dell’ecommerce alimentare

La qualità del servizio sarà verificabile più avanti, almeno in merito alla puntualità delle consegne. Ciò che già appare debole è l’informazione al consumatore.

Sfogliando la app, appare evidente che le regole dettate dal Food Information Regulation (reg. Ue 1169/11, articolo 14) sono sistematicamente violate anche da Gorillas. Come vari altri operatori, a partire da Everli, di cui abbiamo riferito.

Ignorati i diritti dei consumatori

Invece di riferire con un testo leggibile la lista degli ingredienti, la tabella nutrizionale e i recapiti del produttore, la app fornisce solo alcune immagini della confezione. In molti casi, leggere le informazioni obbligatorie è impossibile.

Un ultimo appunto riguarda la varietà dell’offerta. Il bio è una perla rara, sugli scaffali virtuali di Gorillas. Le referenze sono poche e nel fresco è molto frequente trovare alimenti con origine Spagna (arance, limoni, mirtilli, lamponi, peperoni, per esempio).

Le preferenze alimentari degli italiani

Pensare di crescere senza soddisfare le preferenze alimentari degli italiani potrebbe rivelarsi illusorio. I consumatori del Bel paese vogliono consumare bio e made in Italy, come ha ribadito l’ultimo rapporto Immagino. Non è scontato perciò che il solo elemento del fast delivery possa bastare al successo della app in Italia.

La velocità di consegna ha comunque fatto breccia in altri Paesi, forse meno sensibili a questi temi. Al punto che la newco Gorillas, lanciata a marzo 2020 dall’imprenditore turco Kagan Sümer, a Berlino – operativa in 18 città tra Germania, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito – è stata valutata più di di un miliardo di dollari a un anno dall’avvio. E ha appena raccolto investimenti per 290 milioni di dollari.

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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