La Commissione europea sta mettendo a punto la strategia Farm to fork (f2f, ‘dalla fattoria alla forchetta’), nel contesto del Green New Deal. Ma continua a trascurare le esigenze di uniformità delle regole nel mercato interno.
Le confederazioni che rappresentano in Europa le industrie delle carni e dei latticini, CLITRAVI ed EDA, rivolgono un appello a Ursula von der Leyen.
Libera circolazione, un pilastro a pezzi
L’alleanza europea è stata fondata e tuttora si basa su un primo pilastro, la libera circolazione delle merci tra gli Stati membri, che presuppone l’abolizione di barriere tariffarie e non tariffarie. Le quali ultime si concretizzano in ogni misura legislativa, regolamentare e amministrativa adottata a livello nazionale o locale in grado di ostacolare il commercio delle derrate da un Paese all’altro.
I principi generali della legislazione in materia alimentare nell’Unione europea, indicati nel Libro verde della Commissione europea del 30.4.97, hanno dato vita a una riforma organica del c.d. European Food Law. (1) All’insegna dell’uniformazione delle norme, convogliate in una serie di regolamenti europei in quanto tali applicati nei loro identici testi in tutti i Paesi membri. (2)
Il primo pilastro cade però a pezzi, a causa della proliferazione incontrollata di norme nazionali che costringono gli operatori alimentari ad affrontare nuovi oneri e incertezze. Come è avvenuto in Italia, con i decreti – in palese contrasto con le regole UE – sulla sede dello stabilimento e sull’origine di pasta, riso e pomodoro. (3)
L’appello delle industrie di carni e latticini
CLITRAVI (Centre de Liaison des Industries Transformatrices de Viande) ed EDA (European Diary Association) – le Confederazioni che esprimono a Bruxelles gli interessi rappresentati in Italia da Assica e Assolatte – hanno rivolto un appello alla Commissione europea, con lettera 4.3.20.
Le industrie europee dei settori delle carni trasformate, del latte e i prodotti lattiero-caseari resistono al dumping sanitario e socio-ambientale imposto dall’Unione Europea con i trattati CETA ed EU-Mercosur. A causa dei quali enormi contingenti di prodotti – realizzati a costi e condizioni ben lontane dai requisiti europei di sicurezza, benessere animale e sostenibilità – vengono ammessi a competere con quelli ‘Made in EU’.
La zootecnia europea, in larga parte basata su piccoli allevamenti e impianti di trasformazione, strettamente legati ai territori, si accinge anche ad affrontare la sfida dello sviluppo sostenibile. Come è giusto e doveroso, per mantenere un ruolo-guida sulla via del progresso. E tuttavia non può permettersi di affrontare costi e rischi ulteriori – oltreché inutili – per inseguire la frammentazione delle regole di etichettatura. Come tuttora accade su entrambi i fronti di:
– indicazione d’origine, laddove Francia, Spagna, Grecia, Portogallo, Lituania, Romania, Finlandia e Italia hanno adottato normative nazionali differenti. Ed è invece stata firmata da 1,1 milioni di cittadini europei l’iniziativa volta ad adottare un regolamento UE che prescriva l’origine obbligatoria di tutti i prodotti alimentari e la provenienza dei loro ingredienti primari, ovunque realizzati, allorché venduti in Europa (#EatORIGINal! Unmask your food!),
– informazioni nutrizionali di sintesi, che nei diversi Paesi tuttora seguono schemi diversi (tra i traffic-lights in Inghilterra, se pure ormai extra-UE, i keyhole scandinavi, l’ancora ignota ‘batteria’ italiana e lo healthy logo olandese, in via di conversione verso il NutriScore). In attesa che il NutriScore venga riconosciuto come modello da applicare nell’intera UE, come richiesto dai suoi cittadini in apposita iniziativa.
Il convitato di pietra
Il convitato di pietra, ancora una volta, è la Commissione europea. Alla quale non solo chi scrive ma anche Food Drink Europe – la Confederazione delle Confederazioni, che rappresenta l’insieme delle industrie agroalimentari in UE – ha più volte sollecitato l’adozione dei doverosi atti di messa in mora. Nei confronti degli Stati membri che indulgono nell’emanare norme tecniche nazionali non conformi al diritto UE.
Rinnoviamo l’appello alla Commissione europea, a riportare certezza del diritto in un mercato interno ove chi lavora a produrre alimenti sicuri e sostenibili non si può permettere di moltiplicare e aggiornare le etichette ogni qualvolta i prodotti siano destinati a un Paese piuttosto che a un altro. Con il rischio di dover gettare tonnellate di imballi al macero e l’ulteriore rischio di incorrere in sanzioni ‘là dove gira il vento’. A maggior ragione ove si consideri che oltre il 90% delle imprese alimentari in Europa è di dimensioni microscopiche, piccole e medie.
Il mediatore europeo – al quale ci siamo pure rivolti, il 22.1.20 – è la penultima risorsa. Prima di dover ricorrere alla Corte di Giustizia, per riaffermare i principi su cui si fonda il Trattato per il Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Senza mai perdere la speranza che Ursula von der Leyen risvegli il convitato di pietra.
L’urgenza di un intervento deciso della Commissione europea è resa evidente dal comunicato stampa 2.3.20 dei ministri italiani Stefano Patuanelli e Teresa Bellanova. I quali continuano a rivendicare la ‘applicazione sperimentale’ dei decreti su origine di ‘latte, formaggi, carni trasformate, pasta, riso, derivati pomodoro’. (4) Trascurando la palese illegittimità, da ultimo, anche del decreto ministeriale che ne prorogò la (in)efficacia temporale.
In una società civile, i responsabili di atti illeciti si sarebbero già dimessi. Le parti sociali interessate, la stampa e gli accademici avrebbero denunciato l’incostituzionalità delle norme. Ma il contesto, evidentemente, è diverso.
Dario Dongo
Note
(1) The general principles of food law in the European Union – Commission Green Paper, COM/97/0176 def. Testo italiano su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A51997DC0176
(2) Così General Food Law (reg. CE 178/02), Pacchetto Igiene (reg. CE 852, 853/04 e successivi), regolamento sui residui di antiparassitari (reg. CE 396/05), e Food Information Regulation (reg. UE 1169/11), tra gli altri
(3) Il d.lgs. 145/17 (sede stabilimento) e i DM ‘origine’ (pasta, riso e pomodoro), vengono ancora illegittimamente applicati da alcune autorità di controllo, sul falso affidamento di provvedimenti dei loro vertici che così espongono i funzionari al rischio di denuncia per abuso di ufficio. V. https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/sede-dello-stabilimento-in-etichetta-controlli-a-rischio
(4) Mi.S.E. Etichette, Patuanelli e Bellanova scrivono a Commissione UE. Comunicato stampa 2.3.20, Etichette, Patuanelli e Bellanova scrivono a Commissione UE
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.