La spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi (servizi pubblici e difesa esclusi) incide su oltre il 14% del prodotto interno lordo in UE, coinvolgendo più di 250 mila amministrazioni pubbliche (fonte Eurostat). La direttiva europea sul ‘Green Public Procurement’ (GPP) – recepita in Italia mediante riforma del codice degli appalti pubblici – costituisce un buon esempio di politica ambientale integrata. (1) A seguire, un approfondimento sui c.d. ‘appalti verdi’.
Appalti pubblici, i Criteri Ambientali Minimi (CAM)
La Pubblica Amministrazione – quale ‘aggregato di consumatori’, con un ragguardevole potere d’acquisto e una distribuzione capillare nel mercato interno – può costituire una massa critica senza pari. La scelta di beni e servizi che garantiscano l’equa remunerazione dei lavoratori, il rispetto degli ecosistemi e l’uso razionale delle risorse naturali può quindi contribuire in misura significativa alla riduzione dell’impatto ambientale delle attività d’impresa. Offrendo incentivi concreti, al tempo stesso allo sviluppo di filiere e tecnologie sostenibili.
La direttiva sul ‘Green Public Procurement’ (GPP) o acquisti verdi, pone le basi per attivare percorsi virtuosi di approvvigionamento nelle forniture pubbliche. La sua attuazione in Italia comporta l’obbligo per la PA di garantire il rispetto, nella scelta degli operatori economici, dei Criteri Ambientali Minimi, c.d. CAM (d.lgs. 50/16, art. 34). Vale a dire,
‘le “indicazioni tecniche”, generali o specifiche, di natura ambientale ed etico-sociale previste dal cd PAN GPP, collegate alle diverse fasi delle procedure di gara (oggetto dell’appalto, specifiche tecniche, certificazioni ambientali e criteri premianti della modalità di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, condizioni di esecuzione dell’appalto).’ I CAM rappresentano quindi ‘elementi “di base” di qualificazione delle iniziative ambientalmente preferibili e la somma degli elementi tecnici atti a garantire un’adeguata risposta da parte del mercato dell’offerta’. (2)
Ogni categoria merceologica (beni e servizi) è soggetta ad appositi CAM di riferimento. A cui si aggiungono ulteriori criteri, definiti ‘premianti’ poiché favoriscono le aziende che si distinguono per elementi qualitativi ulteriori ai minimi richiesti. Tra i settori che rappresentano una quota elevata di acquisti pubblici compaiono i servizi di ristorazione e fornitura di alimenti che, dopo l’energia e i trasporti, hanno maggiore impatto sulle emissioni di gas a effetto serra.
Ristorazione collettiva e forniture alimentari, quali CAM
Nella ristorazione, la PA deve basare la scelta dell’operatore sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Nel rispetto dei Criteri Ambientali Minimi di riferimento e delle disposizioni ambientali in materia di ‘green economy’. Considerando altresì i parametri di sostenibilità e qualità ecologica dei prodotti (art. 144).
La qualità complessiva delle derrate deve venire valutata sia nella ristorazione, sia nelle forniture pubbliche di alimenti. Con particolare attenzione verso i prodotti biologici, quelli tipici e tradizionali, DOP e IGP. Nonché a quelli che provengano da filiera corta e da operatori dell’agricoltura sociale. E a quelli in arrivo da Paesi in Via di Sviluppo, allorché realizzati con pratiche di agricoltura sostenibile.
Le specifiche tecniche definiscono i passaggi fondamentali della filiera di approvvigionamento, ivi compresi alcuni requisiti igienici. I fornitori devono presentare relazioni periodiche con schede tecniche e documenti idonei ad attestare le caratteristiche dei cibi offerti. Devono inoltre fornire, al personale e ai consumatori, informazioni adeguate su temi nutrizionali e ambientali. E sono soggetti a un sistema di controllo, che può consistere nella raccolta e verifica delle dichiarazioni scritte dei loro rappresentanti legali e/o in regimi di audit e certificazione.
Analisi sui livelli di applicazione dei CAM in Italia
L’Associazione Comuni Virtuosi ha presentato alla Camera dei Deputati, il 12.2.19, il proprio rapporto d’indagine sulle procedure di approvvigionamento adottate nel 2017 da un campione rappresentativo della varietà di suoi soci. (3) Ebbene, il 55% dei Comuni che hanno aderito al sondaggio (40 su 102) non applica i CAM in alcuna categoria merceologica. I Criteri Ambientali Minimi sono indicati solo nel 21% dei bandi, con prevalenza su fornitura di carta per ufficio (60%) e ristorazione (50%). Ed è interessante annotare come, nel campione esaminato, l’inserimento dei criteri ambientali nei servizi di ristorazione oggetto di appalto incida in misura esigua (1,5%) sulle risorse economiche impiegate.
Legambiente e la Fondazione Ecosistemi hanno a loro volta riscontrato che il 29,38% dei 1.048 comuni intervistati ancora non applica i CAM in alcuna categoria merceologica. Sebbene tale dato potrebbe risultare falsato in eccesso, per carenza di risposte al questionario ‘Comuni Ricicloni’. (4) Lo studio, pubblicato a giugno 2018, colloca la ristorazione collettiva solo al quinto posto nell’applicazione dei criteri ambientali (15,9%), dopo la gestione dei rifiuti (27,5%), la fornitura di carta (24,4%), riscaldamento e illuminazione (18,5%), gestione delle pulizie (18,4%).
Le regioni del Sud e del Centro, nello studio di Legambiente, si distinguono favorevolmente per avere inserito i CAM nei bandi riferiti ad almeno una categoria merceologica. Ciò vale per il 92% dei municipi del meridione e l’83% di quelli centrali, a fronte del più magro 66% settentrionale. Nondimeno, paradossalmente, le regioni del Sud in vetta alle classifiche nell’adozione delle misure sulla generalità dei bandi – Basilicata e Puglia – registrano il loro più basso tasso di applicazione nel ‘food service’. La Sardegna, prima regione italiana ad avere adottato un piano d’azione regionale per gli acquisti verdi, è in cima alla classifica delle regioni virtuose con l’adozione di CAM da parte di tutte amministrazioni comunali e la quota più elevata di loro riferimento nella ristorazione collettiva (62,5%). (5)
Punti deboli e ostacoli applicativi
Mense e derrate alimentari sono i settori di fornitura pubblica soggetti al minor numero di vincoli di ‘Green Public Procurement’. Si ammette, da un lato, che i criteri minimi possano venire soddisfatti da una quantità di prodotti inferiore al 50% del totale. Prevedendosi al contempo che l’offerta ‘economicamente più vantaggiosa’ possa coincidere con quella che garantisca le caratteristiche distintive delle derrate (es. bio) per l’intera fornitura. Le singole amministrazioni mantengono dunque ampi margini di arbitrio, in un settore che come si è evidenziato ha un impatto sull’ambiente non affatto trascurabile. Senza dimenticare, tra l’altro, la questione degli sprechi alimentari.
Il rapporto dell’Associazione Comuni Virtuosi evidenzia poi, con un’analisi qualitativa, il vero ostacolo da affrontare. Il fattore umano. Nella politica, ancora insensibile a temi cruciali per la nostra società, e nell’amministrazione. Emerge così la carenza di attenzione dei dirigenti, al punto che il personale della metà dei comuni coinvolti non ha mai ricevuto formazione su questi temi. Mancano le competenze specifiche, il personale non conosce né tantomeno sa applicare la disciplina. Sebbene il settore pubblico venga chiamato dalla legge – oltreché da etica e buon senso – a orientare il mercato verso la sostenibilità ecologica e sociale.
Dario Dongo e Giulia Caddeo
Note
(1) Cfr. dir. 2014/24/UE, d.lgs. 50/2016. V. anche Commissione Europea, ‘Green Public Procurement’ (GPP),
(2) V. Piano d’Azione Nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione, c.d. PAN GPP, paragrafo 4.3
(3) Rapporto Associazione Comuni Virtuosi,
(4) Rapporto Legambiente
(5) Premiazione mense verdi Regione Sardegna