Tra il 1960 e il 2015 la produzione agricola è più che triplicata. Ciò ha favorito la riduzione dei prezzi e un più diffuso, benché sempre iniquo, accesso al cibo. Ma la ‘rivoluzione verde’ – anzi ‘grigio fumo’, come si è già scritto – ha anche riversato nell’ambiente una enorme quantità di veleni, pesticidi in primis. Mettendo a rischio il presente e futuro della produzione alimentare stessa.
L’impatto negativo del sistema basato sull’agricoltura industriale viene descritto da UNEP, United Nation Environment Programme, in 10 punti.
1) Costi-benefici, un bilancio oscuro
Nel bilancio relativo all’agricoltura industriale, i benefici sono sotto gli occhi di tutti, ma diverse voci di costo non vengono considerate. Basti pensare alle spese pubbliche per la bonifica di acque potabili contaminate, o ai costi sanitari per la cura delle malattie causate dai pesticidi (v. rapporto ONU 24.1.17), per citare un paio di esempi. Costi che le Big 4 e i loro clienti esternalizzano sulla comunità, con buona pace del principio ‘chi inquina paga’.
L’agricoltura industriale ha un costo ambientale stimato in circa 3 trilioni (miliardi di miliardi) di US$ l’anno, considerando solo l’inquinamento che danneggia acqua, aria e fauna selvatica.
2) Porte aperte ai virus?
L’allevamento intensivo – secondo UNEP – può compromettere la naturale resistenza degli animali a virus e patogeni. E potrebbe favorirne la diffusione negli allevamenti, i quali potrebbero fungere da ponte e facilitare ai patogeni il salto di specie, dagli animali selvatici a quelli da reddito e da questi ultimi all’uomo. Vale la pena al proposito sottolineare come questi fattori siano strettamente legati alle condizioni igienico-sanitarie degli allevamenti.
È indispensabile, aggiungiamo noi, che la Commissione europea porti avanti con sollecitudine la Strategia UE per il benessere animale invece annunciata per le idi di marzo. E che già ora rafforzi gli audit sui controlli veterinari condotti nei diversi Paesi membri. Laddove – come si è già condiviso – la zootecnia in Germania, Polonia, Belgio e Paesi Bassi in particolare risulta spesso problematica.
3) Un volano per le zoonosi
La distruzione delle foreste per espandere coltivazioni e allevamenti è un ulteriore fattore di rischio sanitario. Quale conseguenza dello sterminio della fauna selvatica e dell’avvicinamento delle attività agricole alle aree più densamente popolate, la naturale barriera di protezione sanitaria viene meno.
L’insostenibile intensificazione delle produzioni, fino a raggiungere la sovrapproduzione delle eccedenze influenza altresì l’emergere di malattie zoonotiche, vale a dire malattie infettive trasmesse dagli animali all’uomo (o viceversa), direttamente (contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni) o indirettamente (tramite altri organismi vettori o ingestione di alimenti infetti).
4) Antibiotico-resistenza
L’uso eccessivo e inappropriato di antibiotici per accelerare la crescita del bestiame, sistematico nel continente americano, è tra le cause primarie della antibiotico-resistenza. Lo sviluppo di microrganismi resistenti agli antibiotici è già ora causa di 700 mila decessi l’anno per infezioni resistenti ai farmaci.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) stima che entro il 2050 queste malattie mieteranno più del cancro. Senza invertire la rotta – come si è iniziato a fare in Italia con le filiere zootecniche antibiotics-free (Senza Antibiotici) – nulla potrà fare la medicina moderna. A fronte del concreto rischio di decessi per infezioni e lesioni anche lievi, come ammonisce l’OMS.
5) Azione venefica dei pesticidi
Per aumentare le rese agricole (e i profitti), vengono sversate enormi quantità di pesticidi e fertilizzanti chimici. I residui di tali molecole negli alimenti rappresentano una grave minaccia per la salute pubblica (senza contare i rischi professionali degli operatori agricoli).
Alcuni pesticidi hanno dimostrato di agire come interferenti endocrini, possono influenzare le funzioni riproduttive, aumentano l’incidenza di tumori al seno e determinano ritardo nello sviluppo dei bambini. Oltre ad alterare della funzione immunitaria.
6) Acqua contaminata
L’agricoltura ‘convenzionale’ ha un ruolo di primo piano nell’inquinamento delle acque, a causa del rilascio di grandi quantità di prodotti chimici, antibiotici e ormoni della crescita (i quali ultimi, si ricorda, sono vietati in UE ma non altrove). Il danno coinvolge gli ecosistemi acquatici ma anche la salute umana. Il contaminante chimico più comune dell’agricoltura, il nitrato, può causare la ‘sindrome del bambino blu’ con effetti anche mortali, ricorda la FAO.
7) Obesità e malattie croniche
La globalizzazione industriale mirata ad abbattere i costi delle materie prime ha comportato una drastica riduzione della varietà di colture usate come commodities di base, come si è visto.
Gli alimenti ultraprocessati sono stati così diffusi presso ogni popolazione, causando al contempo malnutrizione e obesità. I due fattori a base della Global Syndemic, assieme all’emergenza climatica. A detrimento del consumo di frutta, verdura, legumi e altri alimenti salutari, inaccessibili alla gran parte dell’umanità.
Gli effetti di questo fenomeno si manifestano nella epidemia globale di obesità, sovrappeso e malattie correlate. I fatidici Non-Communicable Diseases, NCDs, che rappresentano le prime cause di mortalità prematura a livello planetario. E così in Europa, e in Italia.
8) Utilizzo inefficiente del suolo
A un’offerta globale insufficiente di legumi, frutta e verdura, corrisponde l’aumento del consumo di suolo per gli allevamenti. Tra il 1970 e il 2011, il bestiame è aumentato da 7,3 miliardi a 24,2 miliardi di unità in tutto il mondo, con circa il 60% di tutti i terreni agricoli utilizzati per il pascolo.
Il consumo di suolo in agricoltura è sempre più legato alla produzione di materie prime per mangimi (soia OGM in primis) e ‘biocarburanti’ insostenibili. Attraverso monocolture intensive ed estensive su enormi appezzamenti di terre spesso a tal uopo rapinate alle comunità locali (land grabbing) e deforestate.
9) Più disuguaglianze
L’industrializzazione agricola penalizza sempre i poveri, siano produttori o consumatori, allargando la forbice della disuguaglianza e dell’ingiustizia sociale.
Le piccole aziende agricole rappresentano il 72% di tutte le imprese del settore, ma occupano solo l’8% delle terre coltivate. Al contrario, le grandi imprese agricole – che rappresentano solo l’1% delle aziende – occupano il 65% dei terreni. Ne consegue un controllo sproporzionato nelle mani di pochi colossi e uno scarso incentivo per i piccoli ad evolvere tecnologicamente.
I consumatori meno abbienti o in conclamate difficoltà economiche sono a loro volta dirottati nel consumo di alimenti processati molto calorici e poveri di nutrienti. Con effetti deleteri sullo sviluppo cognitivo, la resistenza alle malattie e più in generale nella produttività economica.
10) Un attentato alla salute ambientale
All’inizio del XX secolo, il processo Haber-Bosch – che avrebbe trasformato l’agricoltura moderna – utilizzava temperature e pressioni molto elevate per estrarre azoto dall’aria, combinarlo con idrogeno e produrre ammoniaca, che oggi costituisce la base dell’industria dei fertilizzanti chimici.
L’invasione della chimica sui suoli agricoli ha reso obsoleto il processo di fecondazione della natura (sole, terreni dal microbiota sano, rotazione delle colture). Oggi, la produzione di ammoniaca consuma dall’1 al 2% dell’approvvigionamento energetico mondiale e rappresenta circa l’1,5% delle emissioni globali globali di anidride carbonica.
‘L’agricoltura efficiente non è solo una questione di produzione. Si tratta anche di sostenibilità ambientale, salute pubblica e inclusione economica’, James Lomax, Program Manager del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). (1)
Marta Strinati e Dario Dongo
Note