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Parmigiano Reggiano, Grana Padano e quote di produzione. #VanghePulite

Parmigiano Reggiano e Grana Padano DOP – i più celebri formaggi italiani a pasta dura, solo all’apparenza simili (1) – esprimono in realtà due sistemi produttivi radicalmente diversi.

Buona parte degli allevatori che fornisce latte per il Grana Padano sono oggi alla canna del gas. Ed è da loro, e dall’alimentazione della vacca, che dipendono la qualità del latte e del prodotto.

Il sistema rischia di implodere e il divieto delle vendite sottocosto, introdotto dal d.lgs. 198/2021, (2) può non bastare a risolvere un’anomalia di fondo. Chi regola domanda e offerta, e perché?

1) Parmigiano Reggiano e Grana Padano, produzioni e piani produttivi

1.1) Volumi di produzione, 1970-2021

I volumi di produzione dei due storici caci sono più che duplicati, nell’ultimo mezzo secolo, registrando l’ascesa del Grana Padano rispetto al Parmigiano Reggiano. Alcuni spunti:

– 1970. Su un totale di 3 milioni di forme (il cui peso era allora di 30kg), circa 2 milioni erano di Parmigiano Reggiano (PR, 67%) e 1 milione di Grana Padano (GP, 33%),

– 2001. Su un totale di 6,747 milioni di forme (già di 40kg in peso), il GP superava il PR, con 3,869 (57%) v. 2,878 (43%) milioni di forme,

– 2015. Su un totale di 8,1 milioni di forme, 4,8 milioni (60%, 183.564 t) il GP e 3,3 milioni (40%, 132.800 t) il PR,

– 2020. Totale forme 9,193 milioni, di cui 5,255 (57%) il Grana Padano e 3,938 (43%) il Parmigiano Reggiano,

– 2021. Totale forme 9,325 milioni, di cui 5,234 (56%) il Grana Padano e 4,091 (44%). Peso medio forme, 38,74 kg il GP e 39,99 kg il PR (fonte banca dati CLAL).

1.2) Primi tentativi di ‘autodisciplina’

Nel 1983 i due Consorzi avevano definito un primo ‘piano di autodisciplina’ che prevedeva una produzione complessiva annua di 130mila t/anno, equamente ripartita tra PG (51%) e GP (49%). Il gentlemen’s agreement veniva però subito vanificato con l’entrata in vigore del sistema europeo ‘quote-latte’ (reg. CEE 856/84).

Nel 2002 il Consorzio del Grana Padano provava a introdurre un accordo per riposizionare il prodotto sul mercato. Nel 2004 Antitrust dichiarava però l’illegittimità del sistema di autoregolamentazione dell’offerta predisposto dal Consorzio del Grana Padano, in quanto intesa restrittiva della libera concorrenza. (3)

1.3) Legge 231/05, piani produttivi per i formaggi italiani DOP

La legge 231/05 introduceva la possibilità per il ministero delle Politiche Agricole e Forestali di valorizzare i formaggi stagionati italiani mediante definizione, con proprio decreto, di ‘piani produttivi per la qualità e lo sviluppo dei mercati, di durata non superiore a cinque anni, predisposti dai consorzi di tutela produttivi per i formaggi a denominazione di origine protetta’ (articolo 1-quater. V. nota 4).

Un caso unico nella Comunità europea, che trovava giustificazione nella sua delimitazione alle ipotesi di ‘presenza di anomale condizioni del mercato’. Condizioni espresse in un calo del prezzo medio unitario alla produzione del latte di almeno il 10% rispetto alla media del triennio precedente.

1.4) Grana Padano DOP, avvio dei piani produttivi

Il Consorzio del Grana Padano DOP attivava così a fine 2005 un piano produttivo complessivo che prevedeva una crescita fisiologica annuale (+1,7%) e un punto di equilibrio in 4,220 milioni di forme soggette a contribuzione ordinaria. In caso di ‘sforamento’ si dovevano stanziare ulteriori risorse da destinare alla promozione, per commercializzare il surplus produttivo.

Le quote di produzione venivano e sono tuttora assegnate ai caseifici – anziché alle stalle (aziende agricole degli allevatori) – ed espresse in numero di forme. Nel 2006 veniva introdotta la nuova categoria ‘Riserva’. Un Grana Padano DOP con oltre 20 mesi di stagionatura, che esprime il 3,6% della produzione complessiva (156 mila forme/anno). Di norma, il Grana Padano viene immesso sul mercato a 15/16 mesi e raggiunge una stagionatura massima di 24 mesi.

1.5) Parmigiano Reggiano DOP, avvio dei piani produttivi

Nel 2005-2006 il Consorzio del Parmigiano Reggiano DOP predisponeva a sua volta un piano produttivo quinquennale (2006-2010). Il punto di equilibrio (c.d. punto di riferimento) iniziale veniva fissato in 3,1 milioni di forme, con moderati incrementi annuali. Ogni caseificio ripartiva le forme assegnate tra i propri conferenti/fornitori, in relazione ai loro singoli contributi alla loro determinazione, sulla base di coefficienti prestabiliti. Il sistema era macchinoso, poiché in esso convivevano le quote latte degli allevatori conferenti e le ‘quote forma’ assegnate ai caseifici.

La complessità raggiungeva il culmine nelle ipotesi di trasferimento – sia in proprietà che in affitto – che richiedevano un passaggio accoppiato di quote latte-allevatori e relative quote forme-caseifici. Gli ‘sforamenti’ anche in questo caso comportavano una contribuzione supplementare che, dopo varie compensazioni a livello di comprensorio e di caseificio, ricadevano su quest’ultimo e a cascata sull’allevatore. Al primo piano produttivo ne seguiva un secondo di durata triennale (2011-2013), in continuità, prima della svolta.

2) Regolazione del mercato. La svolta nel ‘Pacchetto Latte’

Il ‘Pacchetto Latte’, reg. UE 261/2012, ha introdotto la possibilità per gli Stati membri – ‘per un periodo di tempo limitato’ e con il divieto di intese restrittive della concorrenza (TFUE, articolo 101) – di introdurre ‘norme vincolanti per la regolazione dell’offerta’ dei formaggi DOP, su richiesta dei rispettivi Consorzi di tutela. (5) Due soli Stati membri hanno accolto questa ‘opportunità’, la Francia (con i formaggi DOP Comté, Beaufort, Reboclon, Gruyère), e l’Italia con Asiago, Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano.

Il prezzo del latte – nonostante i dichiarati obiettivi di tutela prioritaria degli allevatori, quali parti deboli per antonomasia nei rapporti contrattuali di filiera – è tuttavia rimasto agganciato alle strategie e pianificazioni deliberate dal Consorzio per la Tutela, in entrambi i casi del Formaggio Pecorino Romano DOP (come si è già dimostrato in apposita analisi. V. nota 6) e del Grana Padano DOP, come si vedrà. Per una semplice ragione, l’asimmetria di potere, che il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha invece saputo compensare.

2.1) Parmigiano Reggiano, le quote agli allevatori

La svolta del Parmigiano Reggiano si è realizzata con il piano di regolazione dell’offerta 2014-2016, sotto la presidenza di Giuseppe Alai. Il Consorzio, in autoregolamentazione condivisa con i propri soci (v. successivo paragrafo 5), ha definito un riferimento produttivo in aumento rispetto al triennio precedente e attribuito una quota di latte a ogni allevatore. Se la produzione è eccedente, i caseifici sono soggetti a una contribuzione aggiuntiva crescente, di fatto multe i cui importi vengono poi ripartiti fra gli allevatori in proporzione ai litri di latte in eccesso rispetto alla “quota”.

Questa filiera a ben vedere presenta alcune peculiarità che aumentano il rischio di impresa in relazione alle fluttuazioni dei mercati:

– ciclo di produzione. Dopo l’immissione dei nuovi capi in stalla e la loro entrata in produzione, va considerata la stagionatura del prodotto (22-24 mesi in media). I fenomeni di mercato riflettono quindi scelte produttive espresse 30-36 mesi prima,

– costi di produzione. Produrre latte da sola erba, fieno e pochi altri mangimi vegetali (senza ricorrere agli insilati) comporta costi che di fatto escludono destinazioni alternative, fatti salvi quantitativi minimi di formaggio non marchiato (c.d. formaggio bianco).

2.2) Perché attribuire le quote agli allevatori?

Il documento che illustra la svolta del Parmigiano Reggiano è cristallino: ‘il modello di riferimento individuato è quello di un meccanismo di contribuzione economica aggiuntiva correlata all’assegnazione di un riferimento produttivo comprensoriale e riferimenti produttivi – quote latte Parmigiano Reggiano (d’ora in avanti QLPR) – attribuite ai singoli produttori. Tali riferimenti costituiscono esclusivamente uno strumento per la determinazione di contribuzioni aggiuntive finalizzate ad azioni di espansione del mercato. Pertanto, qualsiasi allevatore rimarrà libero di produrre latte idoneo alla produzione di Parmigiano Reggiano ed il Piano di regolazione offerta non costituisce una limitazione all’accesso al sistema. Per maggiore chiarezza, 

il latte di un allevatore senza quota latte Parmigiano Reggiano non perde l’idoneità alla trasformazione in Parmigiano Reggiano Dop (purché rispetti il disciplinare). Per definire l’impostazione dei punti di riferimento produttivi, sono stati preliminarmente valutati con attenzione gli obiettivi generali del Reg. UE 261/2012:

- ’accordi che contribuiscano a stabilizzare il mercato e i redditi dei produttori di latte e rafforzare la trasparenza del settore‘ (Considerando 3), 
- ‘si rileva in molti casi una bassa concentrazione dell’offerta che si 
traduce in uno squilibrio del potere di contrattazione all’interno della filiera tra agricoltori e latterie’ (Cons. 5), 
-‘ per garantire lo sviluppo sostenibile della produzione e per assicurare quindi un equo tenore di vita ai produttori di latte, è opportuno rafforzarne il potere contrattuale nei confronti dei produttori lattiero-caseari, portando così a una più equa distribuzione del valore aggiunto lungo la filiera’ (Cons. 14), 
-‘ vista l’importanza delle Dop e Igp, in particolare per le regioni rurali vulnerabili’ (Cons. 17). (7)

2.3) L’unica scelta coerente agli obiettivi del legislatore UE

‘A seguito di approfondimenti e discussioni, si è ritenuto che l’unica scelta capace di rispondere a tali finalità sia quella di attribuire le quote produttive ai produttori di latte. Soluzioni alternative legate all’attribuzione delle quote alle latterie/caseifici sarebbero viceversa in contrasto con le citate finalità del Regolamento UE n. 261/2012. Tali quote assumono la natura di “bene immateriale”.

Lo strumento operativo di programmazione consiste nella determinazione di una contribuzione aggiuntiva in capo ai caseifici e l’entità di tale contribuzione emerge dal confronto tra i quantitativi di latte lavorato e le quote (QLPR) sorrette dal latte lavorato. 
In considerazione del fatto che circa il 20% della produzione di Parmigiano Reggiano viene ottenuta in aree di montagna, in condizioni di particolare vulnerabilità e svantaggio, in virtù del Considerando 17 sono state definite norme specifiche per salvaguardare le potenzialità produttive di tali aree.’ (7)

2.4) Punti di riferimento produttivi. Non le forme ma il latte

‘L’adozione del Piano si lega alla definizione di uno strumento di base, il registro dei punti di riferimento produttivi degli allevatori, espresso in kg di latte idoneo alla Dop, che assume un significato strutturale per la filiera (Registro QLPR).
La scelta di modificare l’unità di misura del punto di riferimento dal numero forme prodotte (che era il parametro adottato nel precedente Piano produttivo del Consorzio) ai kg di latte lavorato, risponde prima di tutto all’esigenza di eliminare le distorsioni tra soggetti sottoposti al Piano, laddove il peso medio delle forme mostra differenze spesso consistenti tra differenti caseifici, in ragione delle differenti scelte produttive dei casari.

Si consideri che la distribuzione dei pesi medi oscilla dai 37 kg/forma fino a pesi superiori ai 43-44 kg/forma, quindi con differenze relative fino al 15/20%, che si rifletterebbero con effetti distorsivi sull’applicazione della contribuzione 
aggiuntiva.’ (7)

2.5) Il valore delle Quote Latte PR

L’assegnazione agli allevatori delle Quote Latte Parmigiano Reggiano (QLPR. 1 quota equivale a 1 q.le di latte) ha generato un nuovo valore economico. La quota è un bene immateriale in attivo dello stato patrimoniale ‘che è possibile vendere, affittare, dare in garanzia per ottenere credito’. Ed è stata creata proprio quando hanno cessato di valere le vecchie quote latte europee, l’1.4.15, che a suo tempo erano state oggetto di investimenti anche cospicui (oltre che di atroci grane a tutt’oggi irrisolte dal ministro Stefano Patuanelli, in barba ai diktat della Corte di Giustizia UE).

Il registro delle Quote Latte PR è online dal 12.11.14 ed è pubblico. Chiunque può consultarlo, sul sito del Consorzio, per la visura dei produttori che operano nel comprensorio e le loro quote, all’insegna della trasparenza. Con evidenza altresì dei loro valori medi mensili in entrambi i casi di vendita e di affitto.

3) Consorzio Grana Padano, nessuna svolta

Nessuna svolta si è invece realizzata al Consorzio del Grana Padano DOP. Ancora si raccolgono firme per l’approvazione postuma del settimo piano produttivo (triennio 2022-2024, in vigore dall’1.1.22 con buona pace delle esigenze di programmazione di chi alleva vacche ad alimentazione continua. (8)

Il ‘punto di riferimento’ – cioè la quota produttiva, e il relativo valore, in attivo allo stato patrimoniale (9) – è rimasta in capo ai caseifici e la sua unità di misura rimane la forma di formaggio, come già dal 2006. Il piano produttivo si confronta perciò esclusivamente con i mercati e il rispetto degli obiettivi riguarda i soli caseifici, non anche gli allevatori.

3.1) Grana Padano, le quote ai caseifici

I caseifici hanno perciò ricevuto dal Consorzio del Grana Padano un patrimonio, le quote forma, il cui valore era stato creato dagli agricoltori con gli investimenti sulle quote latte comunitarie che frattanto hanno cessato di esistere. Un patrimonio a cui corrisponde un potere contrattuale a sua volta sottratto agli allevatori:

– il caseificio GP può produrre le forme assegnategli, versando al Consorzio il contributo ordinario. Ovvero affittare o acquistare ‘quote forme’ da altri caseifici, anche in altre Regioni e Province, per aumentare la produzione in pari misura senza dover pagare un onere aggiuntivo,

– la stalla GP non è vincolata a soglie massime di produzione, salvo rischiare di dover (s)vendere il ‘latte GP’ per destinazioni diverse. Altre DOP del territorio (es. Gorgonzola, Asiago, Taleggio, Provolone). Ma anche come commodity per altri usi (latte alimentare, formaggi non DOP e prodotti lattiero-caseari freschi), in competizione con i fornitori di latte estero.

3.2) Speculazioni sulle quote forma GP

L’istituzione delle quote forma GP e la libertà di commercializzarle (vendita e/o affitto) senza vincoli territoriali ha dato vita a speculazioni che hanno provocato tre conseguenze:

– la depauperazione di molti territori, nel vasto areale del Grana Padano DOP che comprende 4 Regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto) e 2 Province autonome (Trentino, Alto Adige)

– la concentrazione della manifattura in una sola Regione (Lombardia, 73,9%) e in tre Province. Mantova 30,4%, Brescia 22,1%, Cremona 17,5%. A distanza Piacenza 11,4% e Vicenza 6,6%. Sotto il 3% le altre 11 Province (fonte CLAL, dati 2021),

– l’impennata di valore delle quote forma, da € 30 nel 2014 a € 250 nel 2016. I rumors riferiscono alla cessione del 35% delle quote forma – nel 2017, a ca. € 300 – dai caseifici privati a quelli cooperativi, per un valore complessivo di circa 550 milioni di euro. Gli allevatori soci di quei caseifici cooperativi hanno così pagato una seconda volta le loro ‘vecchie’ quote latte.
Oltre al danno, la beffa.

4) Vincitori e vinti

In entrambi i Consorzi, per ragioni diverse, a vincere sono i ‘padanisti’. I 10 grandi gruppi che al contempo detengono la gran parte delle quote forma GP e al 12° mese acquistano circa il 60% delle forme PR presso i circa 305 caseifici. Rimangono però alcune differenze, di non poco conto:

– i 2.600 allevatori che conferiscono alla filiera del Parmigiano Reggiano DOP quantomeno mantengono il valore delle Quote Latte PR e il relativo potere contrattuale,

– i 4.000 allevatori che forniscono il latte per il Grana Padano DOP subiscono i piani produttivi decisi dai colossi e dai presidenti delle cooperative. (10) Senza neppure ricevere, salvo rare eccezioni, quella ‘equa correlazione’ tra l’andamento dei prezzi del GP e il prezzo del latte a cui avrebbero diritto.

5) Chi rappresenta quali interessi?

Il passaggio fondamentale che ha consentito al Parmigiano Reggiano DOP il salto di qualità – dalle quote forma alle Quote Latte PR – fu l’estensione della partecipazione alle assemblee deliberative del Consorzio a tutti i caseifici, ottenuta il 28.4.10 dopo un periodo di vivaci dibattiti.

Fino a quel momento le assemblee deliberative erano partecipate da un numero ristretto di caseifici, delegati dalle assemblee sezionali/provinciali del Consorzio e ‘opportunamente selezionati’ dalle confederazioni agricole, sotto il controllo egemonico di Coldiretti. Come tuttora avviene in altri Consorzi, grazie anche a un DM di assai dubbia legittimità. (10)

6) Conclusioni provvisorie

L’emancipazione almeno parziale degli agricoltori da chi rappresenta interessi di partito, poltrone e vari altri affari – spesso in conflitto d’interessi – ha messo fine al metodo ‘divide et impera’. E ha consentito la rinascita di un sistema, il PR, che ora funziona meglio di tutti gli altri.

A seguito della citata assemblea 28.4.10 le confederazioni agricole hanno continuato a partecipare alle assemblee del Consorzio del Parmigiano Reggiano DOP, ma il dibattito e i voti sono tornati nelle mani di chi lavora. E il latte viene pagato il doppio che altrove.

#VanghePulite

Dario Dongo

Note

(1) Dario Dongo. Grana Padano e lisozima da uovo, conservante necessario? L’anomalia italica. GIFT (Great Italian Food Trade). 3.7.21, https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/grana-padano-e-lisozima-da-uovo-conservante-necessario-lanomalia-italica/

(2) Dario Dongo. Pratiche commerciali sleali, i guai del d.lgs. 198/2021. GIFT (Great Italian Food Trade). 4.12.21, https://www.greatitalianfoodtrade.it/mercati/pratiche-commerciali-sleali-i-guai-del-d-lgs-198-2021

(3) AGCM, caso I 569 – Consorzio Grana Padano. Provvedimento 24.6.04, n. 13300. https://bit.ly/3AVtuGm

(4) Legge 11.11.05, n. 231. Conversione in legge con modificazioni del DL 9.9.05 n. 182, recante interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari. Su Normattiva, https://bit.ly/3gq4BJE

(5) Reg. UE 261/2012, c.d. Pacchetto Latte, che modifica il reg. CE 1234/2007 [c.d. OCM unica] per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Abrogato dal successivo reg. UE 1308/13, nuova OCM unica (v. art. 150, regolazione dell’offerta di formaggio a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta)

(6) Dario Dongo, Guido Cortese. Sardegna, l’Antitrust indaga sui prezzi di latte e pecorino. Alcuni dati di mercato. GIFT (Great Italian Food Trade). 19.2.19, https://www.greatitalianfoodtrade.it/mercati/sardegna-l-antitrust-indaga-sui-prezzi-di-latte-e-pecorino-alcuni-dati-di-mercato

(7) Consorzio del Parmigiano Reggiano DOP. Piano di Regolazione Offerta, triennio 2014-2016. Regolamento applicativo per la costituzione e il funzionamento del Registro Quote Latte Parmigiano Reggiano. https://registro.parmigianoreggiano.it/qlpr/linkDocument?n=Regolamento+Applicativo+Piano+2014-16+-Testo+integrato.pdf&a=true&f=true&d=true

(8) Il piano di produzione del Consorzio Grana Padano DOP è triennale e deve venire approvato da almeno i 2/3 dei caseifici che rappresentano i 2/3 di forme prodotte e dai 2/3 dei produttori di latte che rappresentano i 2/3 del latte crudo utilizzato per produrre il formaggio (cfr. reg. UE 1308/13, art. 150.2)

(9) Le regole UE non prevedono (e neppure vietano) la commercializzazione delle ‘quote forma’. Il MiPAAF la ha invece prevista come possibile, senza neppure imporre come logico il dovere di vincolarle alle singole province ove esse sono state in origine rilasciate

(10) Cfr. decreto MiPAAF 15.2.19, recante  modalità di presentazione e approvazione dei Piani di regolazione dell’offerta dei formaggi a DOP o IGP. https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/e%252F3%252F3%252FD.7110ba98513e7be7cc7e/P/BLOB%3AID%3D13706/E/pdf

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