Grasso di palma in Messico. All’assalto del Chiapas.
Non è bastato il crollo della domanda in Europa, Spagna compresa, ad arginare la voracità dei palmocrati. Le loro ruspe proseguono la devastazione anche in Chiapas, giorno e notte.
La produzione messicana di palma da olio è cresciuta di 12 volte in tre lustri, dalle 6.500 ton del 1997 alle 77.000 del 2013. (1) Lo Stato del Chiapas ne è il primo produttore, a causa delle politiche liberiste attuate a partire dal 2004. (2) I progetti di deforestazione tropicale investono riserve protette (3) e sono finanziati, come spesso capita, dalla Banca Mondiale. Oltreché dal Banco Interamericano de Desarrollo (BID).
Los monocultivos de palma “sustituyen bosques tropicales u otros ecosistemas, provocando una grave deforestación, que trae aparejada la pérdida de biodiversidad, inundaciones, el agravamiento de las sequías, la erosión de suelos, la consiguiente contaminación de los cursos de agua y la aparición de plagas por la ruptura del equilibrio ecológico y cambios en las cadenas alimentarias”. Además, los monocultivos de palma ponen en peligro “la conservación del agua, de los suelos, de la flora y de la fauna. La degradación de los bosques diminuye sus funciones en materia climática y su desaparición afecta a la humanidad en su conjunto”
(Panel Intergubernamental de las Naciones Unidas sobre Bosques, Declaración internacional en contra de la ‘Mesa Redonda de Aceite de Palma Sostenible’, RSPO)
Ecocidi e soprusi, anche in Chiapas, sono la regola per l’olio di palma. La devastazione irreparabile delle foreste ha gravi ricadute tra l’altro sulla disponibilità di acqua potabile per decine di migliaia di cittadini. E il loro dissenso, come quello di campesinos (contadini) e lavoratori, viene sistematicamente represso nel sangue. In un Paese ove pure gli omicidi di giornalisti sono all’ordine del giorno.
La ricorrente bugia dei vantaggi per i piccoli coltivatori locali viene smentita dai dati. Secondo gli studi della Fundación Produce Chiapas il miraggio del palma può consentire ai campesinos un reddito giornaliero solo ipotetico di 3 US$ per ettaro di terra lavorata, a condizioni di resa media di 19 ton. Sotto il salario minimo. A cui va sottratto un investimento giornaliero di 1,3 US$ per ettaro, (4) che inizia a portare frutto solo dopo 3 anni di attività, per entrare a regime l’ottavo anno. (5)
I campesinos si possono almeno nutrire di palma? Ma quando mai! Anche questa è una delle balle spaziali dei palmocrati. La palma africana ruba spazio ad altre colture e piante spontanee che offrono cibo, ma il suo frutto non è commestibile.
I 20 anni di lotta dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, evidentemente, non sono bastati a proteggere gli indigeni dal grande inganno della palma africana.
Dario Dongo
Note
(1) Fonte FAOSTAT, 2014
(2) Tra i quali il NAFTA, North American Free Trade Agreement
(3) Selva Lacandona e Reserva de la Biosfera Montes Azules, alla frontera col Guatemala
(4) L’investimento comprende i costi di impianto (preparazione del terreno, acquisto piante, controllo infestanti, pulizia strade, applicazione di pesticidi, semina a mano), la fecondazione, il controllo dei parassiti, la potatura, attrezzature e servizi. Un terzo dei costi complessivi è assorbito dai soli agrotossici
(5) Si aggiungono poi i rischi per i campesinos di non raggiungere gli obiettivi di produzione. Dopo essere caduti in prigionia delle industrie di trasformazione del palma, come Palma Tica de Mexico. Le quali forniscono a credito le piantine e gli agrotossici, vincolando i campesinos a fornire loro in via esclusiva i frutti dei raccolti. Senza tuttavia pre-definire un corrispondente impegno a ritirare le messi, né garantire un prezzo minimo. Né offrire coperture assicurative di sorta
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.