Gli individui devono essere al centro della filiera agroalimentare. È questo, in fin dei conti, il vero significato della sostenibilità. La collettività degli individui partecipa al bene comune che si riflette su salute umana, benessere animale, ambiente e biodiversità. Esprimendosi, tra l’altro, mediante etichette libere da insopportabili pesi.
‘Free from’, filiere e prodotti liberi da insopportabili pesi
I consumatori globali, sempre più consapevoli del loro ruolo di protagonisti e dunque padroni della filiera agroalimentare, esprimono oggi una vocazione netta all’acquisto di cibi e bevande ‘naturali’. Imponendo di fatto un cambio di paradigma nelle filiere produttive e di distribuzione.
Il segnale più eclatante di straordinaria efficacia della ‘pressione dal basso’ dei ConsumAttori è quello dell’olio di palma, che nel giro di pochi anni è quasi scomparso in Italia e in Europa dai prodotti dolciari e da forno. Numerosi altri segnali sono invece passati sotto traccia, poiché gli operatori si sono limitati a eliminare ingredienti che presentano rischi di sicurezza alimentare senza però vantarne l’assenza. Come è occorso per il biossido di titanio e i c.d. coloranti di Southampton, esclusi in silenzio da molta confetteria e chewing-gum (non anche, i coloranti, dalle bevande). (1)
Il ‘free from’ è un fenomeno di portata ben più ampia poiché riguarda:
– gli ingredienti e additivi alimentari (v. successivo paragrafo su ‘clean label’),
– le filiere ‘from seed to fork’ e ‘from farm to fork’. Si registra una spiccata diffidenza verso le sementi – laddove il ‘no OGM’ è già in testa alle classifiche europee – e i pesticidi impiegati nella produzione di ingredienti vegetali.
L’utilizzo fraudolento di alcune diciture ‘free from’, viceversa, deve venire represso senza indugio dalle competenti autorità di controllo. Poiché l’abuso di diciture come il ‘senza glutine’ su prodotti che ne sono naturalmente privi e non possono recarne traccia in quanto realizzati in impianti e filiere ove i cereali neppure compaiono (es. tè) costituisce una violazione delle pratiche leali d’informazione, quando non una frode in commercio. (2)
Benessere animale e salute umana
L’antibiotico-resistenza ha raccolto l’attenzione dell’OMS come quella del legislatore europeo, che ha di recente introdotto un’importante riforma sull’impiego dei farmaci in zootecnia. Coop Italia ha impresso una svolta al sistema, coinvolgendo diverse centinaia di fornitori nello sviluppo di filiere ‘antibiotics-free‘, estese alle uova e all’acquacoltura.
L’alimentazione degli animali è a sua volta destinata alla ribalta. Nella prospettiva di integrare le filiere sui territori, escludendo le insostenibili forniture di mais e soprattutto soia OGM di provenienza lontana e di fatto prive di controllo. D’altra parte i consumatori iniziano a comprendere che il ‘latte d’erba’ ha caratteristiche ben diverse rispetto al ‘latte di stalla’, e impareranno a riconoscere il maggior valore dei prodotti derivati da allevamenti al pascolo. Nei formaggi da latte ovino sardo ma anche nel Parmigiano Reggiano e nel Grana Padano, per citare solo alcune delle nostre eccellenze.
‘Clean label’
Le ‘clean label’ – etichette semplici, con pochi ingredienti di qualità certificata – si vanno affermando in ogni settore merceologico. Si lavora sull’integrità della filiera, che dev’essere equa e sostenibile per garantire la qualità vera, intesa anche in una dimensione socio-ambientale (CSV, ‘Contributing to Social Values’). La tecnologia blockchain, in questo senso, può contribuire alla trasparenza mediante ‘notarizzazione digitale’ e incorruttibile dei processi fisici. (3)
La riformulazione degli alimenti e l’adeguamento dei processi è un altro passaggio cruciale per migliorare e semplificare le ricette. Si deve intervenire anzitutto – ove possibile, in particolare nei prodotti trasformati e su quelli ultraprocessati – sui profili nutrizionali. Con il preciso obiettivo di ridurre sale, zuccheri aggiunti e grassi saturi ogni qualvolta essi non siano assolutamente indispensabili a mantenere la stabilità microbiologica e/o la natura di cibi tradizionali (ove comunque alcune correzioni possono venire eseguite, tenuto conto delle esigenze nutritive attuali della popolazione).
L’impiego di additivi alimentari può a sua volta venire ridotto al minimo indispensabile, quale ‘extrema ratio’ cui riferirsi solo quando ogni altra soluzione risulti inadeguata a esigenze tecnologiche effettive e irrinunciabili. Secondo una logica che a ben vedere è già imposta dalle regole europee in tema di additivi, sebbene spesso trascurata dagli operatori alimentari che invece inseguano obiettivi di ‘shelf life’ utili solo alla permanenza a scaffale dei prodotti oltre ogni ragionevole limite. (4) Ricerca e sviluppo sono in ogni caso le funzioni-chiave per sostituire gli additivi ‘tradizionali’ con ingredienti funzionali, spesso di origine vegetale, in grado di assolvere a funzioni tecnologiche equipollenti.
La trasparenza è un ulteriore elemento da considerare, per redigere ‘clean label’ davvero capaci di incontrare le aspettative e le scelte delle varie categorie di consumatori. Un esempio su tutti è quello della gelatina, che può avere origine animale e non essere così indicata a ignari consumatori vegetariani e vegani. (5) La gelatina animale, a sua volta, può derivare da pelli bovine, ittiche o suine. E poiché quasi 2 miliardi di persone nel mondo (tra islamici ed ebrei) non possono assumere alimenti di origine suina per precetto religioso, dev’essere riconosciuto il loro diritto di conoscere la specie di provenienza di tale ingrediente, diffuso in ampio numero di prodotti.
#Égalité!
Dario Dongo
Note
(1) Il reg. CE 1333/08, relativo agli additivi alimentari, ha introdotto l’obbligo di riportare l’avvertenza ‘può influire negativamente sull’attività e l’attenzione dei bambini’ sulle etichette dei prodotti che contengano i coloranti giallo tramonto (E 110), giallo di chinolina (E 104), azorubina o carmoisina (E 122), rosso allura (E 129), tartrazina (E 102), rosso cocciniglia (E 124)
(2) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 7.1.c, e codice penale, articolo 51
(3) Sarà utile in tal senso chiarire le responsabilità degli operatori della filiera, dall’agricoltura primaria alla distribuzione finale. Ma anche e soprattutto quella degli auditor e ispettori tecnici che certificano la coerenza dei processi e dei flussi materiali con i requisiti fissati
(4) I vertici aziendali a loro volta dovrebbero avere la lucidità di proporre alimenti migliori, in modo da favorirne l’apprezzamento e una turnazione più rapida
(5) La trasparenza deve altresì venire promossa sui formaggi, che sono idonei ai vegetariani solo nei casi di utilizzo di caglio vegetale o microbico. Si veda l’articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/il-formaggio-è-vegetariano-nì-ecco-come-riconoscerlo-dall-etichetta
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.