HomeIdeeElogio della pizza italiana, candidata a patrimonio immateriale dell'umanità

Elogio della pizza italiana, candidata a patrimonio immateriale dell’umanità



Etimologia

Prescindendo dai trasferimenti di significato (cambiamenti di senso, polisemia) è controverso l’etimo della parola “pizza”, dai più degli studiosi accreditata appartenente ad area centro-meridionale, e attestata nel latino medievale (Gaeta, 997, Codex cajetanus), quindi a Sulmona: pizzas de pane (1201); piza panis a Pesaro (1531). Forse dal latino “placenta” (Catone, Orazio, Petronio) che in origine stava a indicare la focaccia. C’è chi ha richiamato l’offa (citata in Plinio e Cicerone) che però evoca la polpetta o il boccone. Tra i sinonimi si collocano ora la stessa focaccia, e, su piano regionale, la schiacciata, la spianata, la stiacciata. Pizza – almeno in ambito gastronomico – è il vocabolo più conosciuto all’estero, prima ancora, nell’ordine, di cappuccino, spaghetti, espresso.

 

La Pizza Margherita

Anno 1889. Il pizzaiolo Raffaele Esposito prepara per la regina Margherita, che gradisce, una pizza ispirata ai colori della bandiera: verde (basilico), bianco (mozzarella) e rosso (pomodoro). En passant si ricorda che la bufala fu introdotta in Italia dai Longobardi e bene si ambientò nel Lazio e in Campania. Quanto al pomodoro l’importazione dall’America in Spagna avvenne per merito di Cristoforo Colombo. Dal Paese iberico l’esportazione a Napoli è datata 1596. Dapprima utilizzato come pianta ornamentale, il pomodoro divenne parte integrante ed essenziale dalla pizza ora STG intorno al 1720, anno più, anno meno.

 

Gastronomia

In assenza di una disciplina normativa, la pizza può esser fatta come più aggrada: pertanto può essere definita e valutata soltanto in base agli ingredienti che sono utilizzati. Con larga approssimazione si può definire pizza un preparato alimentare a base di farina, olio, sale, lievito, pomodoro, mozzarella e per lo più con aggiunta di origano, basilico, funghi, prosciutto, salame e via elencando.

 

Valore calorico

Esemplificando, una pizza napoletana (con pomodoro e mozzarella) di tre etti, contiene all’incirca 18 grammi di proteine, 28 di grassi e 94 d’idrati di carbonio, pari a 717 calorie.

 

La STG

Più che di pizza al singolare, sembra più corretto parlarne al plurale. D’altra parte basti pensare alla gamma di aggettivi che di volta in volta si applicano, spesso ad esclusione l’uno dall’altro. Per la consistenza: croccante, dolce, istantanea, rustica, salata, soffice, verace e altri attributi. Per l’aspetto fisico: alta, bassa. Ma soprattutto rileva l’estrema eterogeneità dei materiali (ingredienti) di cui l’impasto si compone. Stando così le cose limitiamoci in questa sede a occuparci della pizza napoletana riconosciuta a livello comunitario come STG, specialità tradizionale garantita. Una premessa di carattere normativo: nel Regolamento (CE) n.509/2006 (in vigore dall’aprile dello stesso anno) relativo alle specialità tradizionali garantite, per STG s’intende un prodotto agricolo o alimentare tradizionale, la cui specificità è riconosciuta dalla Comunità attraverso la registrazione di continuo aggiornata delle specialità tradizionali.

Per beneficiare della denominazione STG il prodotto deve essere conforme a un disciplinare, contenente norme, descrizione del prodotto e del metodo di produzione, elementi chiari atti a definire la specialità del prodotto e ad attestare la tradizionalità dello stesso, le procedure di controllo. In seguito il Regolamento (UE) n. 97/2010 della Commissione ha recato la registrazione della denominazione nel registro delle STG della “Pizza Napoletana”. La pizza si presenta come prodotto da forno tondeggiante con diametro variabile non superiore ai 35 centimetri, con il bordo rialzato di uno-due centimetri (cosiddetto cornicione) e con la parte centrale spessa 0,4 centimetri e coperta da farcitura. Al centro spiccheranno il rosso del pomodoro, perfettamente amalgamato con l’olio e, secondo gli altri ingredienti utilizzati, il verde dell’origano e del basilico, il bianco dell’aglio e della mozzarella (di bufala campana DOP o quella STG) a chiazze più o meno ravvicinate, La consistenza della pizza risulterà morbida, elastica, facilmente piegabile. Le materie di base sono: farina di grano tenero tipo 00, con eventuale aggiunta di farina tipo 0, lievito di birra, acqua naturale potabile, pomodori pelati e/o pomodorini freschi, sale marino o da cucina, olio extravergine di oliva. Altri ingredienti utilizzabili: i citati aglio e origano, mozzarella, basilico fresco.

 

Quali le differenze tra la Marinara e la Margherita?

La prima (che deve il suo nome probabilmente al fatto che gli ingredienti, facilmente conservabili, potevano essere portati dai marinai nel corso delle loro lunghe peregrinazioni) è farcita con pomodori pelati e/o pomodorini freschi, olio extravergine di oliva, sale, origano e aglio. La seconda con pomodori pelati e/o pomodorini freschi, olio extravergine di oliva, sale, mozzarella di bufala DOP o Mozzarella STG e basilico. Ampiamente descritto dal disciplinare al punto 3.6 il metodo di produzione del prodotto – peraltro non ammissibile in commercio né congelato, né surgelato né sottovuoto – che attiene a sei specifici momenti, da realizzarsi in ciclo continuo nello stesso esercizio: 1) impasto, 2) lievitazione, 3) modellatura, 4) farcitura, 5) cottura e 6) conservazione. 1. Impasto. Si mescolano farina, acqua, sale e lievito. All’interno di un’impastatrice, preferibilmente a forcella, si versa un litro d’acqua, si sciolgono 50-55 grammi di sale, si aggiunge il 10 per cento della farina rispetto alla quantità complessiva; subito dopo si avvia l’impastatrice e si aggiungono gradualmente 1.800 grammi di farina fino alla consistenza desiderata, definita punto di pasta. L’operazione dura dieci minuti. L’impasto va quindi lavorato per venti minuti fino all’ottenimento di una pasta compatta, che dovrà presentarsi al tatto non appiccicosa, morbida, elastica e presentare specifiche caratteristiche quanto a temperatura di fermentazione, PH finale, acidità totale titolabile, densità. 2. Lievitazione. Si distinguono due fasi. Nella prima l’impasto è collocato su un tavolo da lavoro, dove si lascia riposare per due ore, coperto da un panno umido. Trascorse le due ore si passa alla formatura del panetto, eseguita a mano. Si taglia dall’impasto una porzione di pasta lievitata e le si dà appunto una forma di panetto, di 180 – 250 grammi. Formati i panetti (staglio) si procede a un’altra lievitazione (seconda fase) in cassette per alimenti della durata da quattro a sei ore. L’impasto, conservato a temperatura ambiente, sarà quindi pronto per esser utilizzato nelle sei ore successive. 3. Modellatura (formatura). Le preforme, modellate a mano, riposano per circa 30 minuti. 4. Farcitura. Per le due tipologie differisce il modo sopra accennato con cui la pizza napoletana STG è farcita. 5. Cottura. Deve avvenire esclusivamente in forni a legna a temperatura che può spingersi sino a 485 gradi. 6. Conservazione. La pizza napoletana va di preferenza consumata immediatamente, appena sfornata, negli stessi locali di produzione. Qualora non consumata nel locale di produzione, la pizza non può essere congelata o surgelata o posta sottovuoto per una successiva vendita.

 

La pizza surgelata

La prima pizza surgelata risale al 1945, confezionata in occasione di una spedizione area. A eccezione di isolate produzioni di eccellenza, per le quali la qualità delle materie prime e la lievitazione naturale prolungata per 36 ore offrono una pizza gustosa e altamente digeribile, il procedimento in uso è standard. Per sommi capi descriviamo un procedimento standard. Occorrono diversi macchinari. Per la base un’impastatrice mescola per quattro minuti più ingredienti: acqua, lievito, sale, farina bianca, olio, zucchero e, a scopo aromatizzante, farina di mais. L’impasto lievita per circa trenta minuti. Altro macchinario divide il tutto in parti più piccole. Le porzioni ricavate sono stese con appositi rulli in foglia piatta dello spessore di due centimetri e mezzo. Altri rulli conferiscono all’impasto una consistenza omogenea. Alcune spatole renderanno liscio l’impasto. Quindi congegni d’acciaio inossidabile lo foreranno per una profondità dai sette a dieci millimetri per evitare la formazione di bolle d’aria. Dopo, altro meccanismo di plastica taglierà la pasta in modo da conferirle la classica forma tonda. I dischi di pasta così ottenuti sono finalmente destinati al forno, ove cuociono per due minuti alla temperatura oscillante tra i 200 e i 300 gradi. Indi si passa alla stesura del pomodoro, seguita da quella della mozzarella, tagliata in minuti pezzi. Altro distributore provvede all’inserimento di diversi ingredienti (come peperoni, salame e altri tipi di carne) che cadono via via sulla base. Si procede quindi ai controlli, effettuati a campione. In prossimità della fase finale un freezer a spirale interviene per circa venti minuti a meno 31, 5 gradi. Finalmente la fase dell’imballaggio, nel corso della quale un sistema d’ispezione ottico scarterà i prodotti difettosi: non resta quindi che l’inscatolamento in cartoni per la distribuzione al mercato. 

(Bruno Nobile)

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