HomeIdeeAntitrust, pasta Made in Italy e origine del grano, note sui flagelli

Antitrust, pasta Made in Italy e origine del grano, note sui flagelli

I cinque procedimenti istruttori dell’Antitrust sull’origine del grano nella pasta Made in Italy hanno inaugurato il 2020 con vivaci dibattiti sul ruolo dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM). E alcune incertezze sull’etichettatura dei prodotti alimentari, alla vigilia dell’applicazione del regolamento (UE) 2018/775. Alcune note su regole, flagelli, autoflagellazioni e convitati di pietra.

Pasta Made in Italy, origine di grano e semola

L’indicazione d’origine del grano, oltreché della semola, nell’etichetta della pasta è un tema di grande attualità:

– in Italia, molti si ostinano a credere nella vigenza di un decreto interministeriale a firma di Paolo Gentiloni e Carlo Calenda, che illecitamente estendeva al 31.3.20 l’applicazione transitoria del DM 26.7.17. Ignorando che il citato DM, recante obbligo d’indicazione d’origine di grano e semola nella pasta, è inapplicabile ab origine per mancato rispetto delle regole UE sulla notifica obbligatoria delle norme tecniche nazionali alla Commissione europea, (1)

– in Europa, a decorrere dall’1.4.20 si applica il reg. UE 2018/775 che impone di comunicare la diversa origine o provenienza dell’ingrediente primario, rispetto all’origine del prodotto, laddove quest’ultima venga dichiarata in etichetta (anche attraverso citazione, non obbligatoria, della sede dello stabilimento). (2)

Il grano nella pasta, le indagini di AGCM

L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato – con alcuni mesi di anticipo rispetto alla data di applicazione del reg. UE 2018/775 – aveva avviato un’indagine sulle etichette e pubblicità della pasta nel mercato italiano. Con l’obiettivo di valutare se le informazioni offerte su base volontaria – per quanto attiene alla localizzazione della filiera – rispondessero ai criteri generali di trasparenza e non ingannevolezza. (3) Avuto riguardo alla comunicazione nel suo complesso, tenuto anche conto dell’enfasi (in parole e immagini, grafica e di posizionamento) attribuita ai vari messaggi. Nella prospettiva del consumatore medio, al quale tali prodotti sono rivolti.

‘È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre (…) il consumatore medio (…) ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso’ (d.lgs. 206/05, articolo 21, Azioni ingannevoli).

Le indagini prescindevano quindi dalla verifica di conformità alle norme che attengono all’indicazione d’origine (reg. UE 1169/11, articolo 26). E hanno coinvolto numerosi operatori, le cui pratiche commerciali sono risultate corrette sotto ogni punto di vista. Al di fuori dei 5 soggetti nei confronti dei quali è stata invece aperta un’istruttoria.

A ben vedere, tra l’altro, l’Autorità è caduta in due macroscopici errori di diritto, nell’affermare che:

– la semola sarebbe un prodotto ‘non trasformato’, in quanto si tratta di un mono-ingrediente e ‘la trasformazione meccanica del grano duro in semola non modifica sostanzialmente le caratteristiche della semola rispetto a quelle del grano duro di partenza’, (4)

– il ‘decreto origine pasta’ sarebbe vigente fino al 31.3.20. (5) Trascurando così la sua inapplicabilità e conseguente dovere di disapplicazione ex officio da ogni pubblico funzionario e autorità di sorta. (6)

Chi ha paura dell’Antitrust?

Tre celebri industrie italiane della pasta (Divella, Cav. Giuseppe Cocco e De Cecco) – in compagnia di due gruppi stranieri della Grande Distribuzione Organizzata (Auchan e Lidl Italia) – sono finite sulla graticola dell’Antitrust. A causa – secondo quanto riportato nel comunicato stampa di AGCM – delle ‘informazioni fuorvianti circa l’origine del grano duro utilizzato nella produzione di pasta di semola di grano duro’.

L’autoflagellazione però, si noti bene, è stata la scelta di tutti fuorché del leader del discount in Italia. Vale a dire che – per paura delle sanzioni dell’Antitrust – tre gloriose industrie pastaie italiane si sono impegnate non solo a correzioni di forma sulle loro etichette, bensì a rinnegare la loro storia e i messaggi-chiave della loro politica commerciale. Con esiti grotteschi, rispetto ai quali la multa di € 1 milione invece inflitta a Lidl Italia (pari allo 0,021% del fatturato di € 4,7 miliardi) sembra aria fresca.

De Cecco S.p.A.

I consulenti di De Cecco hanno dimostrato totale ignoranza dei concetti sulle cui basi l’azienda ha investito milioni di euro in pubblicità, negli ultimi anni. Ma sono addirittura riusciti a convincere la proprietà a fare marcia indietro rispetto alle dichiarazioni rese pubbliche negli ultimi 15 anni, circa il valore essenziale della fase di trasformazione della pasta.

La vergogna è avere assunto l’impegno, ‘per finalità di aggiornamento e restyling delle confezioni’, a eliminare dal fronte delle etichette l’immagine del tricolore, nonché le diciture ‘metodo De Cecco’, ‘ricetta da oltre 130 anni’ e ‘Made in Italy’. Ed è pura follia, considerato che proprio il ‘metodo De Cecco’ è celebrato anche in alcuni studi scientifici in quanto unico, nella produzione industriale di pasta italiana, a preservare al meglio le caratteristiche del grano (grazie ai tempi, oltreché alle basse temperature di essiccazione).

Proprio perché l’azienda si è impegnata a riportare sul fronte della confezione la dicitura ‘I migliori grani italiani, californiani e dell’Arizona’, tra l’altro, è del tutto privo di senso rinunciare al tricolore. Il quale serve esattamente a distinguere una pasta realizzata in Italia – a Fara San Martino oltretutto, con acqua sorgiva (!) – rispetto a quelle fabbricate in Turchia o Egitto (ove pure altre industrie operano, a costi ovviamente competitivi).

Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco S.r.l.

I legali del Cav. Giuseppe Cocco dichiarano di ‘contestare integralmente’ le violazioni ascritte. Ma alla formula di rito fanno seguire, ‘per spirito collaborativo’, l’impegno a modificare le confezioni di pasta e le informazioni sul sito web. L’origine del grano viene evidenziata sul sito e inserita sul fronte etichetta, con aggiunta della dicitura ‘acqua della sorgente di Fara San Martino, semola da grano extra durum Arizona e asciugamento statico a bassa temperatura’.

Ma perché auto-flagellarsi assumendo l’impegno a eliminare l’informazione volontaria, neppure specificamente riferita al prodotto, secondo cui ‘… a Fara San Martino fare la pasta è un’antica tradizione’? Fara San Martino (CH) in Abruzzo, al pari di Gragnano in Campania (NA), è riconosciuta tradizionalmente nella letteratura, oltreché su Wikipedia, come ‘la città della pasta’. E oltretutto, come la stessa AGCM riconosce, l’impiego di grano estero in miscela con quello nostrano è uso (almeno) dal XIX secolo. (7)

Divella S.p.A.

Divella è l’unica tra le tre industrie ad aver mantenuto una posizione coerente, senza rinunciare a far valere le proprie ragioni. Si è perciò impegnata a inserire la dicitura ‘pasta di semola di grano duro coltivato in Italia e Paesi UE e non UE’ sul fronte etichetta. Con indicazione della provenienza della materia prima anche sul sito web, e relativa formazione al personale dedicato al call center.

La posizione di Divella rimane tuttavia ferma in punto di diritto. Il marchio ‘DIVELLA’ è escluso dall’ambito di applicazione del reg. UE 2018/775, che infatti esclude espressamente ‘i marchi d’impresa, registrati, laddove questi ultimi costituiscano un’indicazione dell’origine’. L’identità e l’orgoglio dello storico marchio pugliese non si toccano.

I convitati di pietra

Il mainstream media – al pari, purtroppo, della stampa di settore, ha presentato i cinque casi con un semplice e acritico copia-incolla del comunicato stampa dell’Antitrust. Con l’effetto di:

– amplificare un caso tutto sommato banale, relativo all’interpretazione soggettiva di etichette comunque conformi sia alle regole europee, sia alle norme italiane inapplicabili, (1)

– attribuire all’Antitrust un ruolo diverso da quello effettivo. Non il supremo censore delle attività industriali ma un ente che opera a servizio della collettività, dialoga con gli operatori e raccoglie i loro impegni. Con un approccio basato sulla moral suasion.

Stupisce però che nessuno sia intervenuto pubblicamente per evidenziare che:

– le industrie italiane coinvolte nei procedimenti hanno sempre e comunque rispettato le normative applicabili, al di là delle interpretazioni soggettive sulla chiarezza delle etichette. Quando invece basta superare il Brennero per trovare la pasta di Kraft a marchio ‘Miracoli’ che sventola tricolore senza avere neppure la colla delle confezioni Made in Italy,

– De Cecco e Cav. Cocco hanno deciso di propria spontanea (sebbene improvvida) volontà di riformare in misura sostanziale le loro etichette. L’Antitrust non ha fatto altro che prendere atto dei loro impegni.

Il convitato di pietra è il sistema associativo industriale che non ha speso una parola a sostegno dei marchi storici su cui si fonda la storia del Made in Italy. Dopo avere tra l’altro assistito in silenzio alla profanazione del diritto europeo in una serie di decreti nazionali che hanno causato oneri e incertezze alle industrie rappresentate. Inedia o conflitti d’interesse?

Dario Dongo e Martina Novelli

Note

(1) Chi scrive – per solo amore verso la certezza del diritto e senza ricevere alcun supporto esterno – ha da ultimo interpellato lo European Ombudsman. Affinché la Commissione europea avvii una procedura d’infrazione (EU Pilot) nei confronti della Repubblica italiana, per reiterata violazione degli obblighi di notifica preventiva a Bruxelles di una serie di norme tecniche nazionali. V. https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/sede-stabilimento-decreto-origine-e-scadenza-latte-gift-denuncia-la-commissione-al-mediatore-europeo

(2) Circa l’applicazione del reg. UE 2018/775, si vedano le linee guida pubblicate dalla Commissione europea (2020/C 32/01), su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:JOC_2020_032_R_0001&from=E. Sintesi e commenti su https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/origine-ingrediente-primario-reg-ue-2018-775-linee-guida-commissione-europea

(3) I criteri di trasparenza e non-ingannevolezza dell’informazione commerciale sono stabiliti nel Codice del Consumo (d.lgs. 206/05 e successive modifiche, articoli 18 e seguenti), oltreché nel Food Information Regulation (reg. UE 1169/11, articolo 36)

(4) Cfr. provvedimento AGCM 20.12.19 nei confronti di LIDL Italia S.r.l., nota 3 (p. 3). Tale assunto, si noti bene, è in palese contrasto con i criteri del valore aggiunto e del c.d. ‘salto tariffario’. Laddove il maggior valore assunto dal prodotto a seguito delle lavorazione e il passaggio da una categoria ad un’altra, nel Codice Doganale (reg. UE 952/13), qualifica la trasformazione come sostanziale

(5) Idem c.s., valutazioni conclusive, punto 53 (p. 19)

(6) Dongo, Dario (2019). Food Regulations and Enforcement in Italy. Reference Module in Food Science. Elsevier, pp. 1–5. doi: https://doi.org/10.1016/B978-0-08-100596-5.21172-4

(7) V. documento di cui in nota 4, punto 13 (p. 4, 5)

Articoli correlati

Articoli recenti

Commenti recenti