‘Senza glutine’ è un leitmotiv che compare ormai sulle etichette di qualsiasi cibo e bevanda, al di là delle logiche che in origine ne ispirarono l’impiego. E a volte, in violazione delle regole in tema di etichettatura dei prodotti alimentari.
‘Senza glutine’, quale significato?
La celiachia, intolleranza cronica al glutine, è una malattia endemica che colpisce quote variabili – tra l’1 e il 2%, a seconda delle regioni – della popolazione globale. L’unica cura a tutt’oggi disponibile per i pazienti celiaci è una dieta rigorosamente senza glutine.
Le associazioni dei pazienti – tra le quali spicca AIC, Associazione Italiana per la Celiachia – hanno profuso straordinari impegni, nel corso degli ultimi decenni, per garantire un’esistenza sicura e serena ai celiaci e alle loro famiglie. Si sono battute, tali associazioni, nei diversi contesti:
– a livello regolatorio, per garantire la doverosità di informazioni appropriate e ben visibili sulle etichette degli alimenti, in caso di eventuale presenza di cereali contenenti glutine, anche a causa di contaminazione accidentale. (1) Tali informazioni sono doverose anche nei casi di vendita di alimenti sfusi, come la croissanterie e i panini esposti nelle vetrine dei bar, o lo street food. Oltreché in tutte le ipotesi di somministrazione dei cibi in pubblici esercizi, mense e catering, (2)
– presso le industrie e le imprese di produzione, attraverso opere di sensibilizzazione e incoraggiamento a sviluppare linee di prodotti destinati ai celiaci in ambiti merceologici ove sono tradizionalmente impiegati cereali contenenti glutine (prodotti da forno e piatti pronti in primis),
– nei pubblici esercizi sul territorio (ristoranti, pizzerie, alberghi, gelaterie, laboratori artigiani), promuovendo l’effettiva applicazione dell’autocontrollo onde prevenire contaminazioni accidentali. Mediante attività di formazione, cui possono aggiungersi procedure di certificazione e audit degli operatori davvero in grado di offrire cibi e pasti sicuri per questa fascia vulnerabile di consumatori,
– in ambito di sanità pubblica, per diffondere consapevolezza sul carattere endemico di questa malattia e promuovere la diagnostica già a partire dai primi mesi di vita. (3) Oltreché per garantire assistenza sanitaria adeguata, e garantire a tutti i celiaci l’erogazione gratuita di prodotti alimentari consoni alle loro specifiche esigenze dietetiche, (4)
– a livello scientifico, promuovendo la ricerca scientifica necessaria ad affrontare le diverse condizioni dei pazienti e promuovere la loro salute, tenuto conto delle esigenze di salute e nutrizione adeguata. Portando avanti gli studi sulla nutrizione e le tecnologie alimentari onde comporre diete equilibrate Senza mai perdere la speranza di individuare nuovi strumenti di cura,
Gluten-free, una moda di tanti per il profitto di pochi. Oltre ogni logica
‘La dieta senza glutine non è una moda!’, ribadisce da anni l’Associazione Italiana per la Celiachia (AIC). I celiaci non hanno scelte, la dieta senza glutine è per loro un salvavita, l’unica terapia possibile. Ma il 99% dei consumatori prova interesse verso i prodotti gluten-free nella convinzione che essi siano in qualche modo favorevoli per il benessere, o il dimagrimento. Falso. (5)
Il 10% della popolazione europea, 6 milioni di consumatori in Italia, segue una dieta priva di glutine senza alcuna ragione. Un prodotto ‘senza glutine’ su tre viene consumato da non-celiaci che si illudono così di dimagrire o migliorare la forma fisica (!). Salvo invece sprecare, solo in Italia, più di 100 milioni di euro per l’acquisto di alimenti di cui non si ha alcun bisogno. (6)
Come si spiega questo fenomeno? Semplicemente con la viral deception, la strategia dell’inganno virale che viene portato avanti da Big Food, da numerosi anni ormai. È fiorita l’offerta di prodotti gluten-free, che consentono di risparmiare sui costi di produzione – sostituendo ai cereali pregiati (come il grano) quelli più economici (come il mais) – e al contempo di aumentare i prezzi. Bingo!
Alcune star internazionali a loro volta, guarda caso, celebrano la scriteriata dieta ‘gluten-free senza bisogno’. Da Lady Gaga a Victoria Beckham, Gwyneth Paltrow, Kim Kardashian, la viral deception si propaga su centinaia di milioni di follower sui social network. E il lucroso business cresce a gonfie vele.
Il ‘buon vecchio glutine’ è invece una proteina preziosa, alla quale i nostri organismi sono ben avvezzi – al di fuori dei soli casi di celiachia – in quanto presente nei cereali che hanno nutrito le popolazioni europee a partire dal Neolitico. A differenza del mais, ad esempio, che è stato introdotto in Europa solo nell’età moderna. (7) Ed è un campione di sostenibilità, grazie a un’impronta idrica e ambientale ben inferiore ad altre fonti proteiche.
‘Senza glutine’ e ‘a ridotto tenore di glutine’, le regole in etichetta
Gli alimenti ‘senza glutine’ e ‘a ridotto tenore di glutine’, un tempo qualificati come ‘alimenti destinati a un’alimentazione particolare’, sono ora soggetti alle regole previste per gli alimenti di uso corrente. (8)
Il regolamento UE 828/2014, ‘relativo alle prescrizioni riguardanti l’informazione dei consumatori sull’assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti’, ha confermato le soglie di tolleranza già definite (9). Introducendo altresì la possibilità di riportare in etichetta, al ricorrere delle condizioni previste, alcune apposite diciture facoltative.
La dicitura ‘specificamente formulato per celiaci’ o ‘specificamente formulato per persone intolleranti al glutine’, (10) può venire utilizzata nell’etichettatura dei c.d. alimenti sostitutivi. Vale a dire, i prodotti tradizionalmente realizzati con ingredienti a base di glutine (es. pasta, pane, etc.), i quali siano stati sostituiti con altre materie prime naturalmente prive di glutine ovvero con ingredienti ‘de-glutinati’.
‘Senza glutine’ in etichetta, condizioni d’uso
‘Un alimento contenente ingredienti naturalmente privi di glutine dovrebbe inoltre poter recare un’etichettatura indicante l’assenza di glutine, in conformità delle disposizioni di cui al presente regolamento, purché siano rispettate le condizioni generali sulle pratiche leali di informazione di cui al regolamento (UE) n. 1169/2011. In particolare le informazioni sugli alimenti non dovrebbero indurre in errore suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche.’ (reg. UE 828/14, Considerando 10)
Nel caso di alimenti ove in genere non si riscontra la presenza di glutine – perché assente in natura nei loro ingredienti essenziali e caratteristici – la regola è cristallina:
– se un cereale contenente glutine è presente (o può esserlo, a causa di contaminazione accidentale che non si sia in grado di escludere, pure a seguito del doveroso autocontrollo), si deve citare lo specifico cereale contenente glutine in lista ingredienti (ove del caso preceduto la dicitura ‘può contenere’),
– non è viceversa ammesso il vanto ‘senza glutine’, poiché tale caratteristica è comune agli altri prodotti simili. È anzi espressamente vietato attribuire a un prodotto caratteristiche comuni agli altri alimenti che appartengono alla stessa categoria. (12)
È dunque ora di farla finita con le diciture gluten-free su una moltitudine di prodotti che coi cereali contenenti glutine hanno poco o nulla a che fare, dai latticini ai succhi di frutta, le carni e le caramelle. ‘Senza glutine’? Ci mancherebbe altro!
Dario Dongo
Note
(1) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 21 e Allegato II. NB: è doveroso specificare la presenza dei singoli cereali, per tutelare anche i consumatori allergici a ciascuno di essi. Si vedano, al proposito, le recenti Linee Guida della Commissione europea, su https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/allergeni-linee-guida
(2) V. reg. UE 1169/11, articolo 44.1.a. Rimane da chiedersi, a tale riguardo, perché le regole europee vengano tuttora violate dalla quasi totalità dei pubblici esercenti. E perché https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/controlli-il-ruolo-dellamministrazione-sanitaria/
(3) L’AIC stima che i celiaci in Italia siano 600.000, di cui solo 190.000 diagnosticati. Vale a dire che il 70% dei celiaci non è consapevole della propria condizione di salute
(4) Attualmente, in Italia, vengono erogati prodotti fino a un tetto massimo mensile di circa 90€ a paziente
(5) Sono invece state espresse preoccupazioni verso l’adozione di diete senza glutine al di fuori dei casi strettamente necessari, in una recente ricerca dell’Università di Harvard
(6) Il mercato dei prodotti gluten-free in Italia ha registrato nel 2016 una crescita del 27% rispetto all’anno precedente. Per un valore complessivo di 320 milioni di euro, di cui solo 215 sono stati spesi da pazienti con diagnosi (dati Nielsen presentati da AIC a maggio 2017, in occasione della Settimana della celiachia)
(7) La minore capacità della popolazione europea di assimilare il mais è dimostrata dalla pellagra endemica, che ha colpito anche il Nord Italia tra il XVIII e il XIX secolo
(8) Cfr. reg. UE 609/2013, in vigore dal 20.7.16
(9) 20 ppm e 100 ppm, rispettivamente, per le diciture ‘senza glutine’ e ‘a ridotto tenore di glutine’
(10) Il decreto del Ministero della Salute 17.5.16 ha poi chiarito che, ai fini dell’inserimento degli alimenti senza glutine nel registro dei prodotti erogabili ai celiaci, è necessario che essi riportino in etichetta tali apposite indicazioni
(11) V. precedenti note 1 e 2
(12) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 7.1.c
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.