L’indicazione in etichetta della sede dello stabilimento, se pure apposta su base volontaria, può comportare l’obbligo di indicare l’origine del prodotto. A cui si dovrà aggiungere – in molti casi, a partire dall’1.4.19 – l’indicazione obbligatoria di origine o provenienza dell’ingrediente primario. Gli scaffali ridondano di etichette non conformi, a causa dei cattivi consigli delle autorità italiane.
Indicazione d’origine in etichetta, quando scatta l’obbligo
L’indicazione di origine è tuttora facoltativa, per la generalità dei prodotti alimentari. Al di fuori delle seguenti ipotesi:
– normative verticali. Vale a dire, prescrizioni specifiche UE relative a singoli prodotti o categorie di prodotti,
– regimi europei di qualità. Siano essi legati ai prodotti biologici e alle indicazioni geografiche. Vale a dire DOP (denominazioni d’origine protetta), IGP (indicazioni geografiche protette) e STG (specialità tradizionali garantite),
– possibile confusione del consumatore, ‘se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza’. (1)
La Commissione europea ha a tal uopo precisato che è doveroso citare in etichetta l’origine dell’alimento ogni qualvolta essa sia diversa da quella suggerita. Anche nell’ipotesi in cui la suggestione sia realizzata con le immagini o diciture evocative contenute nel marchio. (2) Così ad esempio, l’apposizione del marchio tricolore con il nome ‘Miracoli’ sulla pasta Kraft Foods realizzata in Germania comporta l’obbligo di indicare ‘Made in Germany’.
Sede dello stabilimento. ‘Confezionato in’, ma prodotto dove?
Il d.lgs. 145/17 ha previsto che ‘i prodotti alimentari preimballati destinati al consumatore finale o alle collettività’ destinati al mercato italiano riportino in etichetta ‘l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento’ (art. 3). Tale provvedimento è peraltro inapplicabile, come si è già annotato, per palese contrasto con il diritto europeo. (3)
Le etichette di alimenti confezionati in Italia bensì prodotti altrove che riportino una dicitura del tipo ‘confezionato (da…) in…, …, Italia’, in tutta evidenza, possono indurre il consumatore medio in errore circa l’effettiva origine del prodotto. In tutti questi casi è perciò doveroso aggiungere il diverso Paese d’origine dell’alimento. Come prescritto dal regolamento (UE) n. 1169/11 (Food Information Regulation, FIR, articolo 26.2.a).
A ben vedere, il FIR prevede che ‘il nome, la ragione sociale o l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare apposto sull’etichetta non costituisce un’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del prodotto alimentare ai sensi del presente regolamento’. (4) Tale esclusione è tuttavia riferita all’indicazione obbligatoria dell’operatore responsabile dell’informazione al consumatore, vale a dire il titolare o gestore del marchio con cui il prodotto viene venduto. (5) E non anche a un’indicazione volontaria sulla sede, ed eventualmente il titolare, dello stabilimento ove il prodotto è stato confezionato. (6)
Origine o provenienza ingrediente primario, ove diversa da quella del prodotto
‘Quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:
a) è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure
b) il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento.’ (7)
Il reg. UE 2018/775 (Origine Pianeta Terra, OPT), in vigore dall’1.4.20, prescrive quindi di indicare l’origine o provenienza dell’ingrediente primario, ogni qualvolta essa sia diversa dall’origine attribuita al prodotto. (8)
Di conseguenza, ad avviso di chi scrive, l’indicazione in etichetta della sede italiana dello stabilimento – di produzione o confezionamento – fa scaturire l’obbligo di indicare anche la diversa origine dell’ingrediente primario. Vale a dire, l’ingrediente che rappresenta ‘più del 50 % di tale alimento’ ovvero è associato ‘abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore’ e per il quale ‘nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa’. (9)
Le autorità di controllo competenti a vigilare l’applicazione in Italia del regolamento UE 1169/11 e del d.lgs. 231/17 di sua attuazione dovranno in ogni caso applicare una moratoria. A favore delle centinaia di migliaia di operatori della filiera alimentare italiana che fino a oggi hanno indicato in etichetta la sede dello stabilimento, affidandosi alle informazioni errate sull’(in)applicabilità del d.lgs. 145/17 che quelle stesse autorità hanno fornito pubblicamente. In attesa che la Commissione europea riporti ordine nel Mercato Unico, per garantire la certezza del diritto. (10)
Dario Dongo
Note
(1) Cfr. reg. UE 1169/11, art. 26.2.a. Una norma utile a ostacolare il fenomeno del c.d. ‘Italian sounding’, vale a dire le ipotesi di prodotti presentati come made in Italy (con indicazioni esplicite o l’evocazione di immagini o simboli) se pure realizzati altrove
(2) Risposta dell’ex Commissario europeo Vytenis Andriukaitis a interrogazione proposta dallo scrivente, attraverso l’eurodeputata On.le Elisabetta Gardini. Si veda il precedente articolo https://www.foodagriculturerequirements.com/archivio-notizie/europa-obbligo-di-indicare-il-paese-d-origine-sui-prodotti-italian-sounding#
(3) Il decreto legislativo 145/17 – al pari dei DM su origine grano e semola nella pasta, riso, pomodoro nelle conserve – è stato adottato in violazione delle regole che prescrivono la preventiva notifica alla Commissione europea degli schemi di norme tecniche nazionali. E la successiva sospensione dei loro iter legis per un periodo minimo di tre mesi (c.d. standstill period). Il difetto di notifica, così come il mancato rispetto dello standstill period, comportano l’inefficacia dei provvedimenti nazionali. I quali, secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, non possono venire opposti agli amministrati e devono venire disapplicati d’ufficio dalle autorità. Si vedano, su tutte, le storiche sentenze ‘CIA Security International’, del 30 aprile 1996 (C-194/94, punto 54) e ‘Ince’, del 4 febbraio 2016 (C-336/14, punto 67). Si veda anche il precedente articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/sede-dello-stabilimento-in-etichetta-controlli-a-rischio
(4) V. reg. UE 1169/11, art. 2.2.g
(5) Ai sensi del regolamento (UE) n. 1169/11, articolo 8.1
(6) Le informazioni volontarie in etichetta, secondo quanto prescritto dal Food Information Regulation all’articolo 36, a loro volta devono essere ‘non ambigue’. E l’etichettatura di un alimento realizzato all’estero come ‘confezionato in… Italia’ è senza dubbio ambigua, ove non corredata di precisazione del vero Paese d’origine del prodotto
(7) Cfr. reg. UE 1169/11, 26.3
(8) Tale indicazione può peraltro venire offerta con modalità del tutto generiche, del tipo ‘con ingrediente… di origine (o provenienza) diversa (o UE/non UE)’. Si vedano i precedenti articoli https://www.greatitalianfoodtrade.it/consum-attori/origine-ingrediente-primario-reg-ue-2018-775-call-for-action, https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/origine-ingrediente-primario-via-libera-da-bruxelles-all-italian-sounding
(9) Cfr. reg. UE 1169/11, 2.2.q
(10) Si veda anche l’articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/sede-stabilimento-decreti-origine-scadenza-latte-gift-mette-in-mora-la-commissione-europea
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.