Sede dello stabilimento di produzione in etichetta, il Ministro Martina comunica l’approvazione dello schema di decreto da parte del Consiglio dei Ministri, venerdì 17 marzo 2017. Sarà la volta buona?
L’obbligo di citare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione degli alimenti Made in Italy ricompare in un comunicato del Ministro Maurizio Martina. L’ultima volta si era rivelato un bluff. Speriamo che questa sia quella buona.
Il 17 marzo 2017 il Consiglio dei Ministri, si legge nella nota, ha approvato lo schema di decreto legislativo (1) per ripristinare l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’indirizzo di produzione o confezionamento (vedi allegato).
La sede dello stabilimento era stata prevista come informazione essenziale in etichettatura degli alimenti già a partire dal 1992. (2) Ma era venuta meno a far data dall’applicazione del regolamento UE 1169/11, poiché il governo italiano non aveva notificato a Bruxelles la relativa norma.
A seguito della nostra petizione e delle ripetute istanze della società civile, il 16 settembre 2016 il Parlamento ha finalmente delegato Palazzo Chigi a ripristinare l’obbligo in questione. (3)
Sede dello stabilimento e vero Made in Italy
L’informazione esatta sull’origine dei prodotti alimentari ha un triplice significato:
– ottimizzare la rintracciabilità dei prodotti, indispensabile nella gestione delle crisi di sicurezza alimentare, (4)
– permettere ai consumAttori di eseguire scelte consapevoli d’acquisto con riguardo al luogo di produzione, che esprime una cultura e un sistema di valori,
– consentire agli utenti planetari di distinguere con certezza il Made in Italy rispetto alle sue imitazioni, il c.d. Italian sounding.
La logica è semplice, solo l’etichetta ove è riportato l’indirizzo di produzione garantisce che il prodotto è italiano. Se l’indirizzo manca, chiunque saprà di trovarsi di fronte a una banale imitazione. (5) Quale miglior tutela?
Scegliere merci prodotte in Italia significa affidarsi a filiere ove la sicurezza è garantita meglio che altrove. (6) Significa anche compiere efficaci Jobs Act con i nostri consumi quotidiani. Salvaguardare l’occupazione, in agricoltura e industria, e le produzioni locali. Contribuire al PIL, e pure al BES. (7)
Lo schema di decreto passerà ora all’esame delle Commissioni agricoltura di Camera e Senato. E poi a Bruxelles, ove si preannunciano le obiezioni imposte da Big Food. Le grandi sorelle del cibo (8) macinano grandi affari con il falso Made in Italy, e non sopportano ostacoli.
Dario Dongo
ALLEGATO Schema di decreto stabilimento
Note
(1) Si veda l’articolo http://www.foodagriculturerequirements.com/sede-dello-stabilimento-in-etichetta-legge-in-vigore-da-ieri-non-e-cosi-purtroppo/
(2) D.lgs. 109/1992, c.d. decreto etichettatura
(3) Legge di delegazione comunitaria 2015, n. 170/2016, art. 5, comma 3
(4) Reg. CE 178/02, c.d. General Food Law, articoli 18 e 19
(5) In ogni parte del globo tra l’altro la falsificazione dell’indirizzo dell’operatore é soggetta a gravi sanzioni. Poiché tale condotta compromette la rintracciabilità e ha quindi un rilievo sanitario. Mentre l’Italian sounding non può venire sanzionato neppure nel Bel Paese
(6) Non a caso l’Italia é rimasta indenne dall’ultima frode pan-europea, lo Horse-gate. E da tante altre, a partire da quella della ‘mucca pazza’. Non a caso produciamo meno carni della Francia e abbiamo il decuplo dei veterinari pubblici ufficiali
(7) Benessere Equo Sostenibile (Cnel)
(8) Le 10 grandi sorelle del cibo, su https://www.greatitalianfoodtrade.it/big-food-i-marchi-italiani-delle-10-grandi-sorelle-del-cibo/
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.