Si è raccolta notizia, nelle ultime settimane, di controlli pubblici ufficiali sull’indicazione della sede dello stabilimento in etichetta dei prodotti alimentari Made in Italy. Un approfondimento.
Premessa, il reg. UE 1169/11
Il regolamento (UE) n. 1169/2011, c.d. ‘Food Information Regulation’ (FIR), reca disciplina generale armonizzata dell’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari.
Gli articoli 9 e 10 del FIR indicano l’elenco tassativo delle indicazioni obbligatorie in etichetta. Quali ad esempio la denominazione dell’alimento, l’elenco degli ingredienti (con evidenza grafica delle parole-chiave dei c.d. allergeni), il nome o ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore responsabile, il paese d’origine o luogo di provenienza dell’alimento, ove previsti dal successivo articolo 26, etc.
‘Quanto alle materie espressamente armonizzate dal presente regolamento, gli Stati membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell’Unione lo autorizza. Tali disposizioni nazionali non creano ostacoli alla libera circolazione delle merci, ivi compresa la discriminazione nei confronti degli alimenti provenienti da altri Stati membri’ (reg. UE 1169/11, articolo 38).
Sede dello stabilimento, d.lgs. 145/17
ll decreto legislativo n. 145/17 reca ‘Disciplina dell’indicazione obbligatoria nell’etichetta della sede e dell’indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 – Legge di delegazione europea 2015.’ Tale normativa tuttavia è stata emanata in violazione delle regole di notifica a Bruxelles. Regole previste dallo stesso FIC oltreché, per la generalità delle norme tecniche nazionali che incidano su produzione e immissione sul mercato di beni e alcuni servizi, dalla direttiva (UE) 2015/1535.
Il Ministero per lo Sviluppo Economico allora guidato da Carlo Calenda aveva in effetti notificato a Bruxelles lo schema di decreto, il 2.3.17. Senza tuttavia sospenderne l’iter legis, come invece doveroso, per un periodo minimo di tre mesi (c.d. standstill period) che la Commissione europea aveva prorogato al 2.10.17. Il 3.7.17 la Commissione notificava così al governo italiano un parere circostanziato, per chiarire l’inammissibilità del provvedimento nazionale. Poi confermata da successiva notifica di irricevibilità del d.lgs. 145/17, a firma del Commissario Vytenis Andriukaitis, da GIFT (Great Italian Food Trade) pubblicata in via esclusiva.
Sede stabilimento, decreto inapplicabile
In difetto di rituale notifica alla Commissione europea, i provvedimenti nazionali non sono applicabili neppure nei rispettivi territori. Sotto pena di procedura d’infrazione e gravi sanzioni a carico dello Stato membro. Secondo giurisprudenza europea consolidata, essi non possono venire opposti agli amministrati (in questo caso, le imprese della filiera alimentare in Italia) e devono anzi venire disapplicati dalle autorità. (1)
La Corte di Giustizia europea (ECJ) ha chiarito come l’obbligo di disapplicazione gravi su tutte le autorità amministrative nazionali, a livello centrale e locale, e non soltanto sulla magistratura. (2) La Corte ha altresì precisato l’inapplicabilità della normativa statuale anche solo per il mancato rispetto del periodo di sospensione dell’iter legis (c.d. standstill period) prescritto dalla direttiva 98/34/CE e successive (ora dir. UE 2015/1535) sulle norme tecniche nazionali. (3)
Il decreto legislativo n. 145/17 – al pari dei decreti nazionali relativi all’origine di pasta, riso, conserve di pomodoro – è dunque un provvedimento solo formalmente in vigore bensì illegittimo per contrasto con il diritto europeo. Il quale ultimo, nella gerarchia delle fonti di diritto, ha un ruolo sovraordinato rispetto alle norme costituzionali. E deve venire sistematicamente disapplicato da qualsivoglia autorità, nazionale o locale.
La giurisprudenza nazionale
L’ex v.ministro delle politiche agricole Andrea Olivero – dopo avere invano intimato la rimozione dal sito GIFT (Great Italian Food Trade) di uno dei molti articoli dedicati all’argomento in esame, aveva avuto la sfacciataggine di querelare lo scrivente per diffamazione, in ordine alla quale la Procura della Repubblica ha subito chiesto l’archiviazione. Ha pure presentato ricorso d’urgenza al Tribunale Civile di Roma, che ha respinto il ricorso e condannato Andrea Olivero a pagare le spese di giudizio.
‘Il decreto legislativo 145/2017, che impone ai produttori di alimenti di elencare nelle etichette dei prodotti alimentari la sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento sulla confezione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7/10/2017, risulta carente del suo iter di perfezionamento e di efficacia perché non è stato debitamente notificato alla Commissione Europea, sulla base della direttiva 98/34 UE, sostituita dalla direttiva 2015/1535 /UE.
Sulla base della interpretazione in più occasioni fornita dalla Corte di Giustizia, l’inadempimento dell’obbligo di notifica di una regola tecnica, per il conseguente contrasto alla normativa della Unione, comporta la inapplicabilità della normativa interna e la non opponibilità ai privati, con la conseguenza che questi ultimi possono avvalersi del vizio procedurale – la mancata notifica – per eccepire l’inapplicabilità delle regole tecniche interne nei loro confronti innanzi ai giudici nazionali, ai quali compete la disapplicazione di una regola tecnica nazionale che non sia stata notificata conformemente alla direttiva citata.’ (4)
Sede stabilimento, un dovere morale senza obblighi. Controlli a rischio
La sede dello stabilimento in etichetta dei prodotti alimentari – come chi scrive ha sempre sostenuto e tuttora ribadisce – è un Must per la salvaguardia e la valorizzazione del Made in Italy a livello globale. Si invitano perciò gli attuali esponenti di governo a lavorare affinché tale informazione venga prescritta a livello UE sulle etichette di tutti i prodotti, alimentari e non, immessi nel mercato interno. A integrazione di quanto richiesto nell’iniziativa dei cittadini europei #EatORIGINal! Unmask your food!
L’indicazione della sede dello stabilimento rimane però a tutt’oggi meramente facoltativa. Poiché il governo allora presieduto da Paolo Gentiloni ha deliberatamente violato le regole europee che presiedono all’adozione delle norme tecniche nazionali, e tali violazioni sono insanabili. L’indicazione della sede dello stabilimento può quindi venire mantenuta su base volontaria, e ne raccomandiamo l’impiego anche perché i consumatori italiani hanno finalmente compreso il valore della scelta di prodotti che contribuiscono all’economia e all’occupazione in Italia.
I pubblici ufficiali che violino il dovere su di essi incombente di disapplicare le norme tecniche nazionali non notificate o comunque illegittime per palese contrasto con il diritto UE – su sede stabilimento e origine – incorrono invece nel concreto rischio di contestazione nei loro confronti del delitto di abuso d’ufficio. Si trovano così ingiustamente esposti a responsabilità penale, per causa di irresponsabili e impuniti ex ministri che hanno deliberatamente violato le regole che vigono in Europa fin dal lontano 1983.
I provvedimenti impositivi e sanzionatori, oltretutto, sono destinati a sicuro annullamento in caso di ricorso. E gli enti pubblici potranno venire condannati al risarcimento dei danni ingiustamente, se pure in buona fede, causati ai destinatari dei provvedimenti stessi. È perciò urgente un intervento chiarificatore sia dei competenti ministeri, sia dell’ICQRF, e soprattutto della Commissione europea. La quale continua a omettere i doverosi atti al riguardo, in questi casi come in quello ancor più osceno sulla ‘scadenza forzata’ del latte fresco in Italia.
Non è questo il modus operandi delle Istituzioni, italiane ed europee, che vogliamo. Per le convenienze politiche di pochi, il grave danno agli operatori della filiera e ai funzionari delle autorità che con lodevole diligenza ne garantiscono i controlli pubblici. Vergogna!
#Égalité!
Dario Dongo
Note
(1) Si vedano, su tutte, le sentenze della Corte di Giustizia UE (ECJ) ‘CIA Security International’ (30.4.96, C-194/94, punto 54) e ‘Ince’ (4.2.16, C-336/14, punto 67)
(2) ECJ, sentenza ‘Fratelli Costanzo’ (causa C-103/88, punti 31-33)
(3) ECJ, sentenza ‘Unilever Italia’ (causa C-443/98, punti 39-44
(4) Tribunale di Roma, XVIII Sezione Civile, ordinanza 3.1.19 in procedimento n. r.g. 41840/2018
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.