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Pane fresco e conservato, ABC decreto ministeriale

A panifici, pane fresco e conservato è dedicato il decreto interministeriale 1.10.18 n. 131. Un atto di normazione secondaria, di impatto relativamente modesto e pur degno di attenzione. Due le novità, divieto di aggiungere conservanti al pane fresco e limite di tre giorni al suo ciclo di lavorazione. L’ABC a seguire.

DM 1.10.18 n. 131, panificio

Il decreto interministeriale 1 ottobre 2018, n. 131, è volto a disciplinare ‘la denominazione di «panificio», di «pane fresco» e dell’adozione della dicitura «pane conservato».’ (1)

Per panificio si intende l’impresa che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno e assimilati o affini e svolge l’intero ciclo di produzione dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale’ (articolo 1).

Niente di nuovoa prima vista. Salvo forse un flebile sospiro d’orgoglio degli aderenti alla corporazione. Dal punto di vista operativo, si tratta in ogni caso di uno ‘stabilimento’ per la produzione alimentare. (2) Al più, gli esercizi che si limitino a cuocere impasti realizzati in altri laboratori – magari della stessa impresa – rivedranno il nome dell’insegna.

Decreto ministeriale 1.10.18 n. 131, pane fresco

Il pane fresco è quello preparato ‘secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante’ (articolo 2). La continuità del processo è condizionata a un limite temporale, non devono decorrere più di 3 giorni – 72 ore – dall’avvio della lavorazione alla messa in vendita del prodotto.

Il congelamento degli impasti e del pane crudo era e rimane ammesso, entro le 72 ore. Tale limite, peraltro privo di spiegazioni, può invece risultare di ostacolo a quei piccoli panifici, al Meridione soprattutto, che realizzano pani di alta qualità con lievitazioni e rinfreschi (c.d. fermo impasto) che superano le 48 ore di lavorazione.

Il divieto d’impiego di conservanti significa che non si potranno più usare additivi come il propionato di calcio (E282), finora utilizzato nella stagione estiva per migliorare la conservazione del pane fresco di piccolo formato. Di fatto, fino a oggi si sono aggiunte come additivi quelle stesse sostanze – l’acido propionico, in vari sali – che si formano naturalmente nei pani a lievitazione naturale ma a volte difettano poiché richiedono una lunga fermentazione. (3)

Il pane a fette preimballato spesso venduto nei supermercati, a sua volta, non potrà più venire denominato ‘pane fresco’ qualora contenga conservanti – pur autorizzati in UE – come acido sorbico e sorbato di potassio.

DM 1.10.18 n. 131, pane conservato

Al pane sfuso o preincartato si applicano gli obblighi di informazione sullo stato fisico del prodotto (es. congelatodecongelato) che devono accompagnare la denominazione dell’alimento. Informazioni già previste come obbligatorie, dal regolamento (UE) n. 1169/11, sulle etichette degli alimenti preimballati. (4) Tali obblighi in ogni caso non si applicano:

– ‘agli alimenti per i quali il congelamento costituisce una fase tecnologicamente necessaria del processo di produzione,

– agli alimenti sui quali lo scongelamento non produce effetti negativi in termini di sicurezza o qualità’. (5)

Il pane conservato o a durabilità prolungata deve perciò venire designato come ‘decongelato’, in tutti i casi in cui sia stato congelato a seguito della cottura e decongelato ai fini della vendita.

Lo stato ‘decongelato’ deve venire indicato, applicando le norme UE cui il decreto fa richiamo, anche quando l’abbattimento termico abbia avuto luogo sul pane crudo. Anche in questo caso infatti il consumatore potrebbe venire indotto in errore dall’omissione della notizia. (6) Potrebbe fidarsi dell’apparenza e credere nella ‘freschezza’ di un pane che in realtà deriva da una forma congelata mesi prima.

Pane decongelato, conservato, parzialmente cotto. Modalità di vendita

Al momento della vendita, il pane per il quale è utilizzato un metodo di conservazione durante la sua preparazione o nell’arco del processo produttivo, deve essere esposto in scomparti appositamente riservati.’ (7) Niente di nuovo, rispetto a quanto già a suo tempo stabilito dal DPR30.11.98, n. 502, tuttora vigente. (8)

Il pane ottenuto mediante completamento di cottura da pane parzialmente cotto, surgelato o non surgelato, deve essere distribuito e messo in vendita in comparti separati dal pane fresco e in imballaggi preconfezionati riportanti oltre alle indicazioni previste dal D. L.vo 27.1.92, n. 109 [ora reg. UE 1169/11 e d.lgs. 231/17, ndr], anche le seguenti:

a) “ottenuto da pane parzialmente cotto surgelato” in caso di provenienza da prodotto surgelato;

b) “ottenuto da pane parzialmente cotto” in caso di provenienza da prodotto non surgelato né congelato.

Ove le operazioni di completamento della cottura e di preconfezionamento del pane non possano avvenire in aree separate da quelle di vendita del prodotto, dette operazioni possono avvenire, fatte salve comunque le norme igienico-sanitarie, anche nella stessa area di vendita e la specifica dicitura di cui al comma I deve figurare altresì su un cartello esposto in modo chiaramente visibile al consumatore nell’area di vendita’. (DPR 502/88, art. 1)

Il problema dei resi – il vero problema, nella filiera del pane, che secondo alcuni esperti incide fino al 30% sul suo costo, con la maggior onta dello spreco alimentare e i conseguenti oneri di gestione ambientale – non è stato neppure sfiorato dal nuovo decreto. L’Antitrust, tra l’altro, ha di recente avviato un’istruttoria nei confronti dei colossi della GDO in Italia (Coop Italia, Conad, Esselunga, Eurospin, Auchan,Carrefour). Ma le pratiche commerciali sleali, si sa, scottano più del pane appena sfornato. E forse solo la nuova direttiva europea potrà aiutarci a porvi argine. (9)

Dario Dongo

Note

(1) Cfr. Gazzetta Ufficiale 19.11.18

(2) V. reg. CE 852/04, art. 2.1.c

(3) L’impiego di acido propionico e propionati (E 280-283) è ammesso, in Europa, su ‘pane e panini’ (reg. CE 1333/08, voce 7.1). Con esclusione del ‘pane preparato unicamente con i seguenti ingredienti: farina di frumento, acqua, lievito di birra o lievito, sale’. Ed è diffuso, nel periodo estivo, nei pani di piccolo formato. I quali hanno una lievitazione più breve rispetto ai pani più grandi e non producono perciò sufficiente acido propionico durante la fermentazione. L’aggiunta di acido propionico serve perciò a prevenire la formazione di muffe

(4) V. DM 131/18, articolo 3.1, reg. UE 1169/11, Allegato VI.A.1

(5) Cfr. reg. UE 1169/11, Allegato VI, Parte A, punto 2, lettere ‘b’ e ‘c’

(6) Ed è proprio il rischio di possibile confusione del consumatore sulle effettive caratteristiche del prodotto (qualità e processo produttivo, tra le altre) a innescare l’obbligo informativo sul suo stato fisico. V. reg. UE 1169/11, art. 17

(7) Cfr. DM 131/18, articolo 3.3

(8) DPR 502/88, ‘Regolamento recante norme per la revisione della normativa in materia di lavorazione e di commercio del pane, a norma dell’articolo 50 della legge 22 febbraio 1994, n. 146

(9) L’AGCM (Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato) avrebbe dovuto vigilare l’applicazione dell’articolo 62 della legge 24.3.12 n. 27. Ma non ha fatto nulla, salvo concludere un procedimento a favore di una microimpresa che era frattanto fallita, in 6 anni di colpevole inazione. Si vedano il precedente articolo e l’ebook dell’Autore, ‘Articolo 62, una rivoluzione?

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Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.

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