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Origine, l’UE mette in mora l’Italia

Ancora una volta purtroppo, l’annuncio dell’introduzione in Italia dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti viene smentita da Bruxelles. Dopo le ripetute bugie, abusi e omissioni del governo guidato da Paolo Gentiloni, giunge ora la notizia della messa in mora dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. La Commissione europea, questa volta, contesta il mancato rispetto delle regole UE nel c.d. ‘decreto semplificazioni.’ Testo e dettagli a seguire.

Origine degli alimenti, la grande menzogna

I cittadini italiani dovrebbero avere ‘fatto il callo’ alle false promesse sull’etichettatura d’origine degli alimenti, che i vari governi multicolore continuano a proporre da 15 anni ormai. La bugia è una merce di scambio elettorale, rivenduta da Coldiretti ai cittadini-elettori con la complicità di ogni giornale e giornalista che pur rivendichi la propria indipendenza, come da ultimo anche Milena Gabanelli. Le fake news  vengono sistematicamente riprese da tutti, associazioni dei consumatori e rappresentanze di filiera incluse. E a farne le spese non sono solo i consumAttori beffati, ma anche gli operatori  che con frequente periodicità si trovano costretti a rivedere le etichette, gettando al macero quelle credute non conformi, per dare seguito a norme solo formalmente in vigore bensì illegittime e inapplicabili per palese contrasto con le ‘regole di condominio Europa’. E il sistema-Paese, ça va sans dir, perde credibilità come sempre.

Chi scrive ha più volte evidenziato e denunciato la falsità dei numerosi provvedimenti nazionali che si sono susseguiti negli anni. Il primo fu la legge 204/04 (articolo 1-bis), con cui l’allora ministro dell’agricoltura Gianni Alemanno provò invano a introdurre l’obbligo di indicare la provenienza delle materie prime sulle etichette di tutti i prodotti alimentari. Salvo venire diffidato dalla Commissione ad astenersi dall’applicazione della norma, infatti mai avvenuta. Le ultime bugie risalgono invece al ‘circo Gentiloni’  Maurizio Martina, Carlo Calenda, Andrea Olivero, a suo fianco. Con i decreti che hanno previsto, solo a parole, l’indicazione obbligatoria in etichetta della sede dello stabilimento, nonché l’origine di pasta, riso e pomodoro. Con la beffa finale di un ultimo atto, mediante il quale Paolo Gentiloni e Carlo Calenda hanno maldestramente provato a estendere l’efficacia temporale di decreti non solo illegittimi, ma anche già scaduti per obsolescenza programmata.

L’unica voce fuori dal coro di queste bugie ha pure subito una querela e un ricorso d’urgenza al Tribunale civile di Roma per aver diffuso – proprio su questo sito indipendente, GIFT (Great Italian Food Trade) – la notizia delle balle spaziali del governo Gentiloni. Ma sia il giudice penale, sia quello civile hanno dato torto al litigante temerario Andrea Olivero, già condannato al pagamento delle spese legali, che risponderà anche delle sue false accuse.

Origine degli alimenti, la bugia giallo-verde

Dispiace ancor più annotare che anche il ‘governo del cambiamento’ abbia deciso di seguire le orme di quelli precedenti. Nei rapporti strategici con la Russia e i trattati tossici con Giappone e USA (TTIP) e altri Paesi (Singapore e Vietnam da ultimo), ma anche sull’etichettatura d’origine. Non ha avuto la forza, il governo di Giuseppe Conte, di emanciparsi dalla ‘fabbrica di voti’ di Coldiretti. E ha riproposto, con il decreto semplificazioni, una norma che chi scrive aveva già evidenziato essere in palese contrasto con il diritto UE. Fumo negli occhi, come si è già scritto. E ora, inesorabilmente, arriva il conto da pagare.

Per buona memoria e par condicio, non ci si può esimere dal ricordare i comunicati stampa di Coldiretti e quelli istituzionali – seguiti a ruota da giornali e tv – che a gennaio 2019 hanno accompagnato il cd. decreto semplificazioni. ‘Introdotto in Italia l’obbligo di etichettatura di origine per tutti i prodotti alimentari!’, gridavano gli strilloni e titolavano i quotidiani. Senza che nessuno si premurasse di effettuare il fact checking, antica regola di buon senso oltreché di giornalismo. Anzi addirittura, i ciclostili riportavano i comunicati stampa senza neppure badare al vero contenuto del decreto. Il cui articolo 3 – a differenza di quanto falsamente riferito – si limita a delegare il governo a considerare l’introduzione in futuro di nuovi obblighi in tal senso, attraverso decreti legislativi (in virtù della citata delega, senza bisogno di ricorrere a ulteriori passaggi in Parlamento).

‘Vince il Made in Italy, vincono i produttori onesti e i consumatori che ora potranno scegliere in totale trasparenza. Niente più informazioni ingannevoli né falsi sulle nostre tavole. Lo avevamo promesso e ora portiamo a casa questo importante risultato. Ce lo avevano chiesto i cittadini, le associazioni di categoria e le nostre aziende che ogni giorno, con il loro lavoro e le eccellenze agroalimentari prodotte, portano in alto il nome del nostro Paese nel mondo. Noi siamo dalla loro parte.’ (ipse dixit Gian Marco Centinaio, ministro delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, gennaio 2019)

Norme nazionali, le regole da seguire in UE

Le norme tecniche nazionali che attengono a produzione e immissione in commercio di beni e alcuni servizi sono sempre soggette a dovere di preventiva notifica alla Commissione europea. Sulla base di una regola che risale al lontano 1983, ora contenuta nella direttiva 2015/1535/UE. Ovvero, quando la normativa nazionale riguardi dell’informazione al consumatore sui prodotti alimentari, ai sensi del reg. UE 1169/11. A seguito della notifica, lo Stato membro deve sospendere l’applicazione della norma per un periodo minimo di tre mesi (standstill period), in attesa di osservazioni e commenti della Commissione europea e degli Stati membri. In difetto di notifica, come pure in caso di mancato rispetto del dovere di sospensione, la norma nazionale è illegittima e non può venire applicata. Vale cioè come carta straccia, a dispetto della sua solo apparente, formale vigenza. Ed espone lo Stato irrispettoso delle regole al concreto rischio di subire una procedura di infrazione, ai sensi dell’art. 278 TFUE.

‘Lo Stato membro che ritenga necessario adottare nuova normativa in materia di informazioni sugli alimenti può adottare le disposizioni previste solo tre mesi dopo la notifica di cui al paragrafo 1, purché non abbia ricevuto un parere negativo dalla Commissione.’ (reg. UE 1169/11, art. 45).

La Corte di Giustizia UE ha consolidato la propria giurisprudenza su questi temi, nel corso degli anni, con una serie di pronunce ormai note anche alle matricole universitarie (o almeno si spera) letteralmente inopponibili ai privati, in forza di solida giurisprudenza della Corte di Giustizia. In particolare:

– la sentenza ‘Fratelli Costanzo’ ha chiarito come la mancata notifica comporti l’obbligo di disapplicare la norma nazionale da parte di tutte le autorità amministrative, a livello centrale e locale, e non solo da parte della magistratura. (1) La norma non notificata è dunque inopponibile ai privati, in attesa che Bruxelles ne ordini l’abrogazione,

– la sentenza ‘Unilever Italia’ ha inoltre confermato l’inapplicabilità della norma tecnica nazionale anche soltanto a causa del mancato rispetto del periodo di sospensione dell’iter legis previsto dalle regole UE sopra citate. (2)

Decreto semplificazioni, messa in mora dell’Italia

Il 7.3.19 l’Italia aveva notificato alla Commissione europea l’art. 3 bis del ‘decreto semplificazioni’ (D.L. 135/2018, convertito in legge 12/2019) sull’origine degli alimenti. Troppo tardi, atteso che il ‘Food Information Regulation’ prescrive agli Stati membri di sospendere l’applicazione di ogni normativa nazionale in tema d’informazione al consumatore per un periodo minimo di tre mesi, a decorrere dalla sua doverosa notifica preventiva a Bruxelles. Affinché la Commissione europea e gli Stati membri possano esprimersi in merito alla sua compatibilità con il diritto comune, e se del caso discuterne con lo Stato che ha assunto l’iniziativa, anche in vista di eventuali correzioni. Con l’obiettivo di garantire la libera circolazione delle merci – primo pilastro del TFUE (Trattato per il Funzionamento dell’Unione Europea) nel Mercato interno.

Il 21.5.19 la Commissione europea – con missiva da noi raccolta, purtroppo, solo oggi – ha comunicato all’Italia di avere ricevuto la notifica del decreto semplificazioni in data successiva alla sua entrata in vigore. (3) Bruxelles rileva altresì che la misura esula dall’ambito di legislazione concorrente riservata dal ‘Food Information Regulation’ agli Stati membri, ed è perciò in contrasto con il regolamento detto. Trattandosi di una disposizione di carattere generale, che insiste su materia già disciplinata nel dettaglio dal reg. UE 1169/11. La Commissione evidenzia perciò la violazione, da parte del governo italiano, del diritto europeo applicabile. Nella forma, a causa di notifica tardiva, e nella sostanza per le ragioni anzidette.

L’Italia dovrà ora abrogare la norma in esame – che già ora, si ribadisce, è illegittima e inapplicabile – sotto pena di incorrere in una procedura d’infrazione. E se qualcosa di utile si vorrà fare, per garantire ai consumAttori la trasparenza su origine dei prodotti e provenienza delle loro materie prime, si dovrà piuttosto lavorare alacremente sull’iniziativa dei consumatori europei #EatORIGINal! Unmask your food! Nell’ambito delle proprie competenze, l’Italia potrà invece garantire la trasparenza introducendo l’obbligo di origine delle carni al ristorante, riferendosi allo schema di decreto che lo scrivente ha già predisposto per conto del Consorzio Italia Zootecnica. Potrà inoltre stabilire l’obbligo, in Italia, di indicare l’origine di frutta e ortaggi impiegati in spremute e frullati serviti dalle collettività. All’insegna della #SpremutaItalianaLibera, che pure questa voce isolata ha invano proposto, per valorizzare l’agrumicoltura italiana. Provvedendo, anche in questi casi, alle doverose notifiche a Bruxelles. Niente di più, niente di meno. Trasparenza e onestà.

Dario Dongo

Missiva Commissione europea 21.05.19

Note

(1) causa C-103/88, punti 31-33. Si vedano anche case C-194/94 CIA Security International e case C-144/16, Municipio de Palmela

(2) causa C-443/98, punti 39-44

(3) V. reg. UE 1169/2011, art. 39

 

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