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Agricoltura e Turismo, AssoBio protesta

Il Palazzo della Burocrazia intestato alle Politiche Agricole ha complicato i requisiti di etichettatura degli alimenti biologici, DOP e IGP. Pretendendo che circa 280 mila imprese aggiornino l’acronimo ‘MiPAAF’ in ‘MiPAAFT’. È ora che il ministro Gian Marco Centinaio volti pagina. La condivisa protesta di AssoBio.

Ministero dell’Agricoltura eccetera eccetera

Il Ministero dell’Agricoltura è dotato di una competenza fondamentale in un Paese come l’Italia. Che è terza in Europa, dopo Germania e Francia, nelle produzioni alimentari.

Gli esecutivi che si sono succeduti nelle ultime decadi si sono tuttavia impegnati ad accentrare poteri su questo dicastero. Dietro ordine delle confederazioni agricole, le quali da sempre ne detengono di fatto il potere politico, a prescindere dai colori delle bandiere di governo.

Alle Politiche Agricole si sono così aggiunte quelle forestali, che secondo logica dovrebbero ricadere nella delega del Ministero dell’Ambiente. E poi quelle Alimentari, un tempo proprie dell’ex Ministero dell’Industria. Il quale a sua volta è stato depauperato di ogni potere, in assenza di politiche industriali di sorta.

Il MiPAAF, acronimo già sconosciuto ai più, ha da ultimo aggiunto una T che non sta per tabacchi (una voce di non trascurabile valore, nell’agricoltura italiana, bensì già compresa nel mandato), ma per Turismo. Del resto – se mangiare è un atto agricolo, come da sempre predica Carlin Petrini – ogni attività d’intermezzo tra un pasto e l’altro può cadere tra le voraci fauci del Ministero pigliatutto.

‘Certificato da’ MiPAAF a MiPAAFT, su ogni etichetta?

Il Palazzo della burocrazia di Roma in via XX Settembre ha attuato con farraginosa solerzia la risoluzione politica del governo giallo-verde. Pretendendo che tutte le etichette dei prodotti alimentari sottoposti alla vigilanza del Ministero delle Politiche Agricole – e dunque bio, DOP, IGP – vengano d’ora innanzi aggiornate aggiungendo la fatidica T. 

Non più MiPAAF ma MiPAAFT, dovrebbe venire scritto, a margine di una dicitura pomposa quanto inutile e ovvia, ‘Certificato da Organismo di Controllo autorizzato dal Mipaaft‘ o ‘Certificato da Autorità pubblica designata dal Mipaaft’, a seconda dei casi. Tali diciture, si noti bene, non sono neppure previste dai regolamenti europei in materia di produzioni biologiche, DOP e IGP. Ed è perciò dubbia la loro legittimità.

Il ministro Gian Marco Centinaio – dal quale si attende la promessa semplificazione degli odiosi cavilli burocratici romani – deve ora voltare pagina. Cambiare le teste al Palazzo della Burocrazia, eliminare subito l’obbligo di citare la pomposa dicitura sulle etichette dei prodotti tutelati, avviare una politica basata sulle vere priorità della filiera agroalimentare italiana. A partire dall’indicazione obbligatoria dell’origine delle carni nei pubblici esercizi.

Si allegano le note del MiPAAFT, ‘Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare’. Di seguito, la posizione di AssoBio – Associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici – che ne esprime con doverosa critica i concreti risvolti applicativi.

Dario Dongo

ALLEGATI 

Circ. 2018 56944

Circ. 2018-12297


L’INTERVENTO DI ROBERTO PINTON, SEGRETARIO DI ASSOBIO (1)

L’accorpamento del turismo all’agricoltura? Per ora porta agli agricoltori una nuova tassa per centinaia di milioni 

Dato che il neo-ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio poco sa in materia di agricoltura, mentre sa nel campo del turismo (in passato ha svolto l’attività di direttore commerciale di un tour operator), le competenze del suo dicastero gli sono state adattate su misura, dando vita all’inedito Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo, con acronimo MiPAAFT.

Fin qua, niente di male, per adeguarsi a nuove strategie e accontentare un ministro, questo e altro.

Solo che il 2 agosto la Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell’ippica del ministero, con nota Prot. n. 56944 (allegata) ha informato tutti gli organismi di controllo dei prodotti DOP e IGP che le diciture “Certificato da Organismo di Controllo autorizzato dal Mipaaf” e “Certificato da Autorità pubblica designata dal Mipaaf” da riportarsi obbligatoriamente sulle etichette dovranno essere sostituite dalle diciture “Certificato da Organismo di Controllo autorizzato dal Mipaaft” o da “Certificato da Autorità pubblica designata dal Mipaaft” .

E il 9 agosto la distinta Direzione generale per il riconoscimento degli organismi di controllo e certificazione e tutela del consumatore, con nota Prot. n.12297 (allegata) ha informato tutti i 16 organismi di controllo del settore biologico (più i tre autorizzati a operare soltanto nella Provincia autonoma di Bolzano) che la dicitura da riportare obbligattoriamente in etichetta “Organismo di Controllo autorizzato dal Mipaaf” in vigore dal 2009 dovrà essere sostituita da “Organismo di Controllo autorizzato dal Mipaaft“.

Le note precisano che è consentito l’impiego delle etichette già realizzate fino al loro esaurimento (e ci mancherebbe: le aziende le avevano fatte stampare con la dicitura allora obbligatoria).

Sembra una sciocchezza o, ben che vada, una notiziola degna al più dell’attenzione dei periodici tecnici, ma così non è.

In Italia abbiamo 296 prodotti DOP e IGP (dalla A di abbacchio romano alla Z di zampone Modena) che interessano oltre 83mila aziende(fonte: Istat) di cui oltre 7.500 si occupano della trasformazione.

Aggiungiamo oltre 600 vini DOP E IGP (o, alla vecchia maniera, DOCG, DOC e IGT), che sono declinati nelle diverse varianti: bianco, rosso, rosato, spumante, passito, vendemmia tardiva, anche con la citazione di centinaia di sottozone e di vitigni, che pesano per oltre il 70% della superficie a vite nazionale (fonte: Unione Italiana Vini), prodotti da 125mila aziende agricole (fonte:Istat) con una produzione che varia d’anno in anno, ma si aggira intorno ai 30 milioni di ettolitri, che fanno circa 4 miliardi di bottiglie da 0,75 litri.
Se pensiamo che al solo consorzio di tutela del Chianti aderiscono 3.000 produttori d’ogni dimensione e quello del Prosecco raggruppa 1.500 tra cantine e spumantizzatori, e se pensiamo che ogni cantina ha in catalogo un’ampia varietà di prodotti, distinti per denominazione, uvaggio, cru e metodo di produzione, possiamo avere una vaga idea dell’impatto di disposizioni sulle modifiche dell’etichetta.

Aggiungiamo poi oltre 70mila aziende nel settore biologico (più di 64mila agricoltori, 7.500 dei quali trasformano direttamente i propri prodotti, e oltre 7.500 imprese di sola trasformazione, fonte: MiPAAFT).

Determinare quante etichette possano essere interessate dal provvedimento è impossibile, si può solo buttar lì una stima molto prudente di oltre 2 milioni, destinate a essere applicate su decine di miliardi di confezioni.

Ebbene, tutte queste 280.000 aziende (dal grande caseificio che esporta Grana Padano in Giappone alla micro-azienda agricola che confeziona duecento vasetti di confettura delle sue pesche biologiche per venderle ai mercatini, al piccolo viticoltore che sta a galla solo perchè imbottiglia una quindicina di etichette diverse invece di vendere l’uva alla cantina) saranno obbligati a sborsare alcune centinaia di milioni (non certo di un investimento produttivo, ma uno spreco che grida vendetta al cospetto di Dio): l’apparentemente banale aggiunta di una “t” (o, per i prolissi, di una più esaustiva “e del turismo”) comporta, infatti, la necessità di rivolgersi allo studio grafico per modificare gli esecutivi di questi 2 milioni di etichette.

Comunque la si chiami, si tratta di un’assurda tassa speciale sulle spalle che colpisce migliaia di aziende agricole, imprese di trasformazione e distribuzione.

Il tragico è che non stiamo parlando delle anonime commodities malviste dagli appassionati del made in Italy: la disposizione penalizza proprio le aziende delle filiere italiane di cui lo stesso ministero decanta l’eccellenza.
“Il sistema delle Indicazioni Geografiche dell’Ue favorisce il sistema produttivo e l’economia del territorio; tutela l’ambiente, perché il legame indissolubile con il territorio di origine esige la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità; sostiene la coesione sociale dell’intera comunità” scrive nel suo sito il MiPAAF(T).
Ma
 dovrebbe aggiungere “E noi lo tartassiamo per valorizzare le competenze in materia di turismo del nuovo ministro”…

Il primo punto del programma presentato alle Camere dal neo-ministro Centinaio s’intitola “Semplificazione e organizzazione”, recita che la prima istanza è “ridurre drasticamente i costi della burocrazia che gravano sul mondo della agricoltura” ed esprime l’impegno “In tutte le azioni dobbiamo ridurre al minimo il peso della burocrazia. Un costo occulto delle nostre aziende, che troppo spesso spendono giornate e giornate dietro moduli, richieste, duplicazioni di controlli”, annunciando che “Semplificazione, quindi, non dovrà essere una parola vuota, ma la nostra cifra distintiva”.

Ma c’è anche qualche altra considerazione:

a) Qual è l’utilità della modifica per il consumatore? Prima non aveva idea di cosa fosse il MiPAAF, ora non avrà la minima idea di cosa sia il MiPAAFT…

b) Dato che l’autorizzazione agli organismi di controllo o alle autorità pubbliche è stata a suo tempo rilasciata con decreti del MiPAAF e su carta intestata del MiPAAF, come può il ministero imporre che  in etichetta si inserisca un’indicazione falsa? Il MiPAAFT esiste solo dal 15 agosto 2018, data di entrata in vigore della legge 9 agosto 2018, n. 97 che ha convertito il decreto legge 12 luglio 2018, n. 86, e da allora non ha ancora autorizzato un solo organismo di controllo che sia uno.
Se, per evidente legame tra uno stile di vita attivo e benessere, la competenza sullo sport fosse stata trasferita al ministero della Salute, si sarebbe imposto il cambio di confezione dell’aspirina e degli sciroppi per la tosse, indicando l’autorizzazione come rilasciata dal nuovo ipotetico ministero della Salute e dello Sport?

c) Peggio: nessun regolamento europeo prescrive indicazioni quali “Certificato da Organismo di Controllo autorizzato dal Mipaaft”. Il ministero, nel tempo, ha più volte dimostrato insofferenza nei confronti della normativa UE, ma rimane il fatto che le disposizioni nazionali non possono obbligare a indicazioni in etichetta diverse da quelle tassativamente richieste dalla pertinente disciplina europea.
Per garantire il funzionamento del mercato unico ed evitare la bolgia di 28 legislazioni differenti, la facoltà dello Stato membro di prevedere proprie disposizioni è strettamente limitata a problemi specifici relativi a soli motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, di tutela della proprietà industriale e commerciale, oppure a fronte di nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell’ambiente o dell’ambiente di lavoro, esclusa ogni altra motivazione. Il ministero adotta disposizioni (le precedenti e la più recente) che vanno disapplicate per conflitto con la normativa gerarchicamente superiore, ma in ogni caso dan luogo a contestazioni e verbali.

Delle due l’una: o i tecnici del ministero hanno somministrato al neo ministro Centinaio una polpetta avvelenata che fa infuriare 280mila aziende o fluttuano in un iper-uranio lontano mille miglia dalla realtà quotidiana degli operatori del settore primario, che rimane uno dei più importanti per l’economia del nostro Paese e merita ben altra considerazione.
E non so quale delle due ipotesi sia peggiore.

Roberto Pinton

 

 

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