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Uova da galline in gabbia, anche Conad dice basta

Mai più uova da galline costrette in gabbia. Chiamata in causa nella petizione ‘End the Cage Era’, anche Conad decide di eliminare da scaffale tutte le uova da galline in gabbia, a partire dall’1.7.19. Meglio tardi che mai.

Uova da incubo

Una vita da cani, anzi da galline. Le chiocce in gabbia patiscono sofferenze continue. Il loro becco viene amputato alla nascita, per impedire che si feriscano a vicenda negli spazi angusti ove sono costrette. Gabbie ove l’area per ogni ovaiola è inferiore a quella di un foglio A4. Non possono muoversi né allargare le ali, le loro ossa sono fragili e spesso subiscono lesioni.

21 milioni di galline in Italia, il 65% del totale, sono ancora allevate così. Le loro uova sono in prevalenza destinate alla produzione di ovoprodotti, poiché i consumAttori stanno imparando a scegliere le uova da galline allevate a terra. Bisogna perciò proseguire l’opera di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica, affinché la tortura dei volatili cessi al più presto.

La Grande Distribuzione Organizzata (GDO) ha saputo rispondere alla sensibilità espressa dai consumatori. Addirittura ad anticiparla nel caso di Coop Italia, che già a partire dal 2010 ha escluso dai propri scaffali tutte le uova – a marchio proprio e di terzi – da galline allevate in gabbia. Auchan, Carrefour ed Esselunga si sono a loro volta attivate, sette anni dopo.

Uova da galline libere, quali sigle sul guscio

Le uova da galline libere costano pochi centesimi in più delle altre. Le opzioni sono diverse, sempre indicate in etichetta oltreché sulla sigla impressa sul guscio di ciascun uovo. A ogni codice corrisponde infatti un determinato metodo di allevamento.

– Allevate a terra, codice 2

– Allevate all’aperto, codice 1

– Biologiche, codice 0. Nell’allevamento biologico – oltre alla libertà di movimento – è garantita l’alimentazione con mangimi bio, rigorosamente non Ogm.

Le uova senza antibiotici, altra iniziativa di Coop Italia, meritano a loro volta attenzione. Anche a confronto con quelle biologiche.

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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