HomeConsum-attoriCanapa industriale, il bluff delle Sezioni Unite di Cassazione

Canapa industriale, il bluff delle Sezioni Unite di Cassazione

Il 30.5.19 la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, ha statuito l’ipotetica applicazione del Testo Unico Stupefacenti (TUS) alla vendita di canapa industriale. Riferendo espressamente a foglie e inflorescenze, olio e resina di Cannabis Sativa L. Le ‘motivazioni’ della sentenza ci confermano però che essa non introduce alcun elemento di novità rispetto allo status quo. (1) È solo un grande bluff, che ha causato gravi danni a onesti operatori della filiera.

Fischi per fiaschi

‘Fischi per fiaschi’ è la soluzione al rebus di copertina al precedente articolo ove abbiamo commentato lainterpretazione provvisoria n. 15 dei giudici della Cassazione. I quali però si sono guardati bene dal risolvere il rebus a loro sottoposto. Gli ‘ermellini’ – così chiamati per il bordo di pelliccia delle loro toghe in velluto rosso – hanno solo fatto una Suprema confusione,

– tra una pianta, la canapa industriale, che in Italia si coltiva legittimamente fin dal Medioevo ed è autorizzata in tutta Europa, proprio in quanto priva di effetti psicotropi

– e un’altra pianta, la marijuana, che ha una diversa identità genetica e finalità d’impiego completamente diverse.

La vicenda ebbe inizio con il sequestro di 13 kg di foglie e inflorescenze di una varietà di canapa della seconda specie, così identificata in ragione della presenza del principio attivo psicotropo (tetraidrocannabinolo, THC) in quota superiore alla soglia massima ammessa dalla legge 242/16 sulle piante di canapa industriale (0,6%). A esito delle analisi, la magistratura inquirente aveva proceduto al sequestro della merce, convalidato dal G.I.P., e alla contestazione del delitto di traffico di stupefacenti. (2)

Il Tribunale di Ancona, Sezione del Riesame, aveva poi correttamente revocato il sequestro preventivo disposto limitatamente ai prodotti risultati contenere un tenore di principio attivo non superiore allo 0,6%. Osservando che ‘solo a seguito del superamento del limite dello 0,6 per cento di principio attivo è possibile procedere al sequestro ed alla distruzione della coltivazione e dunque anche del prodotto derivato’. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancora aveva però proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame.

I giudici della Cassazione si sono trovati ad affrontare un solo apparente conflitto di norme:

– il quasi trentennale Testo Unico Stupefacenti (TUS, DPR 309/90), che vieta coltivazione e vendita de ‘la cannabis e i prodotti da essa ottenuti’. Escludendo, si noti bene, la ‘canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli indicati dall’art. 27 [uso terapeutico, a seguito di autorizzazione ministeriale] consentiti dalla normativa dell’Unione Europea,’

– la recente legge 242/16, ‘disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa’, che disciplina la coltura e trasformazione della canapa industriale. La legge si applica alle varietà di Cannabis Sativa L. iscritte nel Catalogo comune delle piante agricole autorizzate in Europa. (3) Le quali devono perciò intendersi escluse dal campo di applicazione del TUS, per espressa previsione del DPR 309/90.

Sezioni Unite, il bluff  degli ermellini

Gli ermellini di Roma – a ben vedere – non hanno deciso proprio nulla. Limitandosi a statuire che ‘dalla coltivazione di cannabis sativa L. non possono essere lecitamente realizzati prodotti diversi da quelli elencati dall’art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016 e, in particolare, foglie, inflorescenze, olio e resina.’ Bisogna quindi riferirsi al comma 2.2 della legge 242/16, il cui testo espressamente richiamiamo affinché anche i muli possano intendere le attività e i prodotti ammessi. La normativa, si noti bene, viene applicata alle sole varietà di Cannabis Sativa L. iscritte nel Catalogo europeo. (4) Le quali possono venire coltivate, si ribadisce, senza alcuna autorizzazione di sorta. Da esse si possono ottenere e commercializzare, ai sensi della citata norma:

‘a) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;

b) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;

c) materiale destinato alla pratica del sovescio;

d) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;

e) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;

f) coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;

g) coltivazioni destinate al florovivaismo’ (articolo 2).

Ne deriva che gli stessi prodotti citati dalle Sezioni Unite – foglie, infiorescenze, olio e resina – possono venire legittimamente utilizzati e commercializzati per finalità alimentare e cosmetica. Vale la pena al proposito approfondire lo status giuridico dei diversi prodotti:

– infiorescenze e foglie sono pacificamente ammesse in Europa quali alimenti tradizionali, con prevalente destino tisana. Oltreché come ingredienti cosmetici,

– l’olio estratto dalle infiorescenze (mediante etanolo o CO2 supercritica ) è naturalmente ricco di CBD, cannabidiolo, sostanza priva di effetti psicotropi. Alcuni Stati membri riconoscono la sua possibilità d’impiego in alimenti e integratori alimentari, altri considerano doversi applicare la legislazione sui Novel Food. La Commissione conferma la divergenza di opinioni, senza assumere posizione,

– le resine formatesi a esito del processo di estrazione del CBD possono a loro volta venire mescolate all’olio di semi di canapa, per integrarlo con il cannabidiolo che vi residua e rafforzarne i profili aromatici,

– l’olio di semi di canapa è un alimento di rinomato pregio, che si distingue per l’ottimale equilibrio tra Omega 3 e Omega 6, in rapporto 3:1. Ed è addirittura riconosciuto come ingrediente botanico per integratori alimentari, dai Ministeri della Salute di Francia, Italia, Belgio. A conferma non solo della liceità del suo impiego, bensì anche delle sue riconosciute proprietà salutistiche,

– semi e farina di canapa, a loro volta, già si trovano a scaffale dei supermercati di tutta Europa. A buona ragione, trattandosi di vero superfood con il 25% circa di proteine e un plafond di aminoacidi essenziali forse unico, per completezza, nel regno vegetale. Oltre a vitamine (A, B1, B2, B6, D, E), sali minerali (calcio, ferro) e gli acidi grassi polinsaturi citati al precedente capoverso.

Canapa inoffensiva e responsabilità delle toghe

Tra il detto e il non detto, gli ermellini di Roma hanno di fatto riconosciuto la piena legittimità dei prodotti di cui sopra. Precisando, viceversa, che la produzione, detenzione e commercializzazione di soli prodotti diversi da quelli elencati dalla legge 242/16 – vale a dire, ad esempio, quelli derivati da varietà di canapa non iscritte nel Catalogo comune – potrebbero integrare il reato previsto dal Testo Unico Stupefacenti. A condizione però che la condotta risulti offensiva in concreto, vale a dire che le sostanze commercializzate siano effettivamente stupefacenti. In ragione, ad esempio, di un alto tenore di THC. (5)

Le Sezioni Unite così rammentano che, ai fini della verifica di offensività della condotta, non rileva il superamento della dose media giornaliera. Bisogna invece verificare se la sostanza abbia un concreto ‘effetto drogante’. Come già in precedenza affermato dalle stesse Sezioni Unite, con riguardo alla coltivazione domestica. Lo stesso ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, con circolare 22.5.18, aveva del resto ribadito la liceità di coltivazione delle varietà iscritte nel ‘Common plant catalogue of varieties of agricultural plant species’. (6)

La responsabilità degli ermellini per colpa grave nell’esprimere una pronuncia di dubbia legittimità costituzionale – avuto anche riguardo alle regole europee applicabili, che nella gerarchia delle fonti di diritto hanno un ruolo sovraordinato rispetto alle stesse norme costituzionali – merita piuttosto di venire esplorata. Tenuto conto che la ‘interpretazione provvisoria’ delle Sezioni Unite, poi confermata nella pronuncia in esame, ha causato gravissimi danni a una filiera che in Italia occupa 10.000 lavoratori in 1500 imprese, le quali realizzano 150 milioni di euro/anno di fatturato.

Il grande bluff è frattanto già stato superato dalla più recente ordinanza del Tribunale Penale di Genova, Sezione del Riesame, ove giustizia e buon senso hanno prevalso sulle inesplicabili manovre romane.

#Égalité!

Dario Dongo

Note

(1) V.  sentenza 30.5.19 Sezioni Unite Penali Corte di Cassazione http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/30475_07_2019_cannabis_no-index.pdf
(2) D.P.R. n.309/1990 (Testo Unico Stupefacenti, TUS), articoli 73 comma 1,2,4 e 80, comma 2
(3) Ai sensi della direttiva 2002/53/CE, articolo 17
(4) Si segnalano a tal fine:
– Trattato sul Funzionamento dell’UE (art. 38 e All. I), ove si qualifica la Cannabis Sativa L. (‘canapa greggia, macerata, stigliata, pettinata o altrimenti preparata, ma non filata’, v.d. 57.01) come prodotto ‘agricolo’ oggetto di politica comune europea,
– reg. UE 220/2015, ove la canapa è citata tra le ‘piante industriali’, in relazione alla coltura e alla produzione di sementi,
– reg. UE 1307/2013, recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, ove si specifica che ‘le superfici utilizzate per la produzione di canapa sono ettari ammissibili solo se il tenore di tetraidrocannabinolo delle varietà coltivate non supera lo 0,2 %’ (art. 22.6)
(5) Il principio di offensività trova fondamento nella Costituzione della Repubblica italiana che, all’articolo 13, prevede la compressione del diritto inviolabile della libertà personale solo in funzione della tutela di un bene giuridico di pari rango. Il successivo articolo 27, nel disporre i criteri a base della giustizia penale, postula la riconoscibilità del disvalore oggettivo del fatto illecito in quanto offensivo di valori fondamentali dell’ordinamento. Al riguardo si veda anche Corte Costituzionale, sentenza 354/02
(6) Cfr. Circ. MiPAAF 22.5.18. Chiarimenti sull’applicazione della legge 2 dicembre 2016, n. 242 

 

 

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