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Biofertilizzanti per combattere i cambiamenti climatici 

I biofertilizzanti offrono la possibilità di sostituire i fertilizzanti di sintesi chimica (1) e di contrastare l’impatto dei cambiamenti climatici sulle produzioni agricole. Questi composti sono elementi fondamentali in un approccio di gestione integrata del suolo per la produzione sostenibile di colture. Ottimi risultati sono stati ottenuti dalla sperimentazione di questi formulati condotta dai progetti europei Supreme e Ortumannu.

Emergenza agricoltura, gli impatti ambientali dei fertilizzanti chimici

L’utilizzo della chimica tradizionale per rispondere alla crescente produzione agricola su scala globale ha incrementato l’inquinamento ambientale e impoverito i suoli. I fertilizzanti chimici sono infatti associati alle emissioni di gas serra che alimentano il riscaldamento globale (2) e all’eutrofizzazione e destabilizzazione degli ecosistemi acquatici. A lungo termine questi fenomeni causano il deterioramento della produttività e della qualità del suolo attraverso l’acidificazione.

Tra i meccanismi alternativi di fertilizzazione delle colture, i biofertilizzanti rappresentano una soluzione efficace ed ecologica. Essi, infatti, funzionano in modo sinergico con le specie vegetali, non deteriorando i suoli ma aumentandone le potenzialità.

Definizione dei biofertilizzanti

I biofertilizzanti possono essere definiti come prodotti biologici contenenti microrganismi viventi (funghi, batteri, alghe) che, applicati alle sementi, alle piante o al suolo, promuovono la crescita attraverso diversi meccanismi, come l’aumento dell’apporto di nutrienti, l’aumento della biomassa o dell’area radicale o l’aumento della capacità di assorbimento dei nutrienti da parte della pianta (3).

Un esempio di biofertilizzanti sono i Plant Growth Promoting Bacteria (o PGPB), fertilizzanti microbici capaci di promuovere la crescita delle piante. I più interessanti sono formulati di rizobatteri (PGPR, Plant Growth Promoting Rizhobacteria), che presentano diverse funzioni vantaggiose nelle rizosfere delle piante, a partire dalla solubilizzazione dei nutrienti.(4)

Funzioni dei biofertilizzanti

Le funzioni ecologiche più importanti dei biofertilizzanti, utili a piante e suolo, (5) sono:

La fissazione dell’azoto

L’azoto è un macronutriente vitale essenziale per le piante perché migliora la crescita del sistema di germogli, aiuta nella riproduzione ed è un costituente della clorofilla responsabile del colore verde intenso. Azotobacter e Bacillus sp. sono coinvolti nella fissazione dell’azoto.

La solubilizzazione del fosforo

Il fosforo è il secondo macronutriente che limita la crescita delle piante, contribuisce al processo di nodulazione, alla sintesi degli aminoacidi e delle proteine nelle leguminose, il suo assorbimento è facilitato dai microbi della rizosfera che contribuiscono alla nutrizione delle piante. Esempi di batteri e funghi solubilizzatori di fosfati sono Bacillus, Rhizobium, Aerobacter, Burkholderia, Aspergillus e Penicillium.

La solubilizzazione del potassio

Il potassio (K) è il terzo componente principale dei macronutrienti necessari alle piante. È coinvolto nella regolazione della chiusura e dell’apertura degli stomi, nell’assorbimento dei nutrienti, nella sintesi proteica, nel miglioramento della qualità dei prodotti e nella resistenza agli stress ambientali. Esempi di batteri solubilizzatori di potassio sono ad esempio Bacillus mucilaginosa o B. edaphicus, e Clostridium spp., mentre, tra i funghi Aspergillus spp.

Il rilascio di fitormoni per la crescita della pianta

Gli ormoni vegetali o fitormoni svolgono un ruolo sostanziale nello sviluppo delle piante, secreti sia dalle piante che dai microrganismi, spesso, in condizioni di stress ambientale per proteggere le piante modulando il livello di fitormoni all’interno delle piante ospiti. B. licheniformis è noto per la produzione di auxine, acido abscissico e gibberellina che hanno migliorato la crescita della vite e protetto le piante da condizioni di stress.

La produzione di siderofori

Il ferro è un micronutriente che svolge diverse funzioni come la fotosintesi, la respirazione, la clorofilla e molte reazioni enzimatiche nelle piante ma spesso si trova in forma indisponibile in natura. I batteri producono molecole proteiche che legano il ferro e lo rendono disponibile, chiamate siderofori. L’inoculazione di Pseudomonas koreensis in piante di mais ha inibito la crescita di patogeni vegetali attraverso la produzione di siderofori ed enzimi antiossidanti.

La biodegradazione della materia organica

Nella materia organica sono generalmente presenti cellulosa, lignina, emicellulosa, chitina e lipidi, che vengono degradati da microbi come batteri, attinomiceti e funghi da cui questi ne ricavano energia e carbonio per la crescita della pianta. Il Trichoderma spp., coinvolto nella degradazione della lettiera a un ritmo più veloce, rilascia composti antimicrobici, migliora le proprietà fisico-chimiche del suolo e la diversità microbica.

La protezione dai fitopatogeni

Il controllo biologico delle malattie delle piante avviene attraverso la distruzione dei patogeni da parte di microbi benefici come Bacillus spp., Pseudomonas spp., Streptomyces, Pantoea spp. e diverse specie fungine. Lo sfruttamento di potenziali biofertilizzanti come endofiti potrebbe essere utile per migliorare le piante coltivate da varie malattie batteriche e fungine.

Il progetto Ortumannu

Ortumannu (6) è un progetto in collaborazione tra la Sardegna con l’Università di Cagliari, e la Giordania tramite il MUTAH (7)e il CRS4.(8) Il progetto ha avuto durata di un anno e si è concluso a fine 2022. Ortomannu è un follow-up del progetto triennale Supreme, (9) che mira a favorire la creazione di un modello di produzione agricola sostenibile, rivolgendosi alle comunità vulnerabili che vivono nelle aree semi-aride e aride del Mediterraneo.

L’obiettivo del progetto è combattere l’impoverimento del suolo e ridurre l’uso di acqua, fertilizzanti e pesticidi mediante il potenziale del microbioma per stabilizzare il suolo e promuovere la crescita delle piante in condizioni avverse.

Supreme e il suo follow-up gettano ulteriori basi per l’implementazione dell’agroecologia, definendo i metodi, le modalità, le tempistiche, di sostituzione dei fertilizzanti chimici con quelli microbici.

Sviluppo del progetto Ortumannu

Il primo passo del progetto è stato identificare le specie endogene del territorio di sperimentazione ovvero la stazione agronomica di Al-Gwaer in Cisgiordania, un’area molto arida che convenzionalmente non si presta all’agricoltura. A tal fine è stata effettuata la caratterizzazione microbiologica del suolo. Successivamente, in laboratorio, sono stati isolati 40 ceppi di batteri dal suolo e sono stati identificati molecolarmente per poi testarli sulla base delle loro capacità nel promuovere la crescita delle piante. Nello specifico si è indagata la loro capacità di fissare l’azoto, di metabolizzare il fosforo, di solubilizzare il potassio, produrre siderofori e fitormoni.

I ceppi con le caratteristiche di promozione della crescita sono stati selezionati per creare una formula microbica sito specifica naturale ed endemica che è stata applicata, infine, nel campo sperimentale di sorgo in Giordania.

I risultati del progetto

This is an inexpensive way and will not harm the soil, as the microbial inocula are indigenous‘. (10)

Il progetto Supreme aveva dato ottimi risultati sull’utilizzo dei fertilizzanti microbici su orzo, comparabili con quelli ottenuti con i fertilizzanti chimici. Allo stesso modo, anche il monitoraggio delle piante di sorgo di Ortomannu sta fornendo segnali positivi.

Lo stesso modello ottenuto dal progetto può poi essere replicato su altri terreni per ora inaccessibili per pratiche agricole di stampo tradizionale, al fine di avere un profondo impatto positivo anche sulla vita delle comunità locali guidate dall’agricoltura.

Prospettive future

I vantaggi agronomici derivanti dall’impiego di questi microrganismi non è tuttavia sempre evidente e studi come Ortumannu servono per portare maggiori evidenze al fine di contribuire all’introduzione di questo patrimonio microbico nel settore agricolo.

Dai risultati ottenuti, infatti, la loro applicazione risulta utile non tanto per migliorare la resa, ma per incrementare la resilienza delle colture agli stress abiotici, termici e idrici, in conseguenza del cambiamento climatico.

Giulia Pietrollini

Note

(1) Dario Dongo. Farm to Fork, risoluzione a Strasburgo. Focus su pesticidi e fertilizzanti. GIFT (Great Italian Food Trade). 23.10.21

(2) Carmo, J. B. D., Filoso, S., Zotelli, L. C., De Sousa Neto, E. R., Pitombo, L. M., Duarte-Neto, P. J., et al. (2013). Infield greenhouse gas emissions from sugarcane soils in Brazil: effects from synthetic and organic fertilizer application and crop trash accumulation. Glob. Change Biol. Bioenergy 5, 267–280. doi: 10.1111/j.1757-1707.2012.01199.x

(3) Vessey, J.K. Plant growth promoting rhizobacteria as biofertilizers. Plant and Soil 255, 571–586 (2003). https://doi.org/10.1023/A:1026037216893

(4) Chaudhary P, Singh S, Chaudhary A, Sharma A, Kumar G. Overview of biofertilizers in crop production and stress management for sustainable agriculture. Front Plant Sci. 2022 Aug 23;13:930340. doi: 10.3389/fpls.2022.930340. PMID: 36082294; PMCID: PMC9445558.

(5) Mohammadi, K., & Sohrabi, Y. (2012). Bacterial biofertilizers for sustainable crop production: a review. ARPN Journal of Agricoltural and Biological Science, 7(5), 307-316

(6) Progetto Ortumannu. ENEAhttps://sostenibilita.enea.it/projects/ortumannu

(7) Mutah University. https://www.mutah.edu.jo/Home.aspx

(8) CRS4 (Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna). https://www.crs4.it/it/

(9) Progetto Supreme. https://sites.unica.it/supreme/

(10) Prof. Tayel El-Hasan. https://www.youtube.com/watch?v=3VqnDGK-vn8

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